Un ottantaduenne fitta una casa al mare per trascorrervi sperabilmente giorni pieni d’aria e vuoti di pensieri. Questo il succo de Il vecchio al mare (e si passi il richiamo ardito al capolavoro hemingwayano), ultima prova del bravissimo Domenico Starnone (Einaudi, Torino 2024, pp. 122, € 17) del quale – come si ricorderà – avevamo elogiato tempo addietro la storia della Bambina di Milano. Ecco, ora quella ci appare un po’ come una storia opposta e simmetrica a questa. Dove tutto era là aprirsi e fiorire, qui tutto è ritrarsi, cedere il passo, rinunciare, salvo ri-accarezzare le gioie della vita e i suoi piccoli piaceri come attraverso una sottile pellicola di ricordo, di malinconia, di scolorito profumo.

Gli incontri con un venditore di attrezzi sportivi (per fare più moto, il nostro Nico ha deciso di regalarsi un kayak), le chiacchiere svagate con una o due figure femminili che incontra spesso sulla spiaggia, i sognanti défilé che amabilmente gli sono offerti nella minuscola boutique del paese: la trama del libro, con poco altro, è tutta qui.

Ma si sarà capito che l’atmosfera e il pregio sono altrove, nella tenuta morbida della scrittura, nell’intoccabilità solo apparente dell’ottuagenario che dice io, nel riproporsi di certe figure cardine del passato e della memoria (si pensi alla figura di mamma Rosa), con gesti e parole che alla distanza appaiono nuovi di zecca. Se si aggiunge che questo «maschio allegro e indomito, anche se attempato», è di suo uno scrittore, uno che non abbandona mai il tentativo di trovare «le parole giuste per dare un senso a ciò che mentre vivi viene giù a vanvera», il quadro del personaggio proposto da Starnone è completato.

Chiara Valerio

Finalista (parrebbe con molti atout) alla prossima edizione del premio Strega, Chi dice e chi tace di Chiara Valerio (Sellerio, Palermo 2024, pp. 280, € 15) è un libro femminile fin nella fibra più intima: femminile nella concezione e nell’esecuzione, certamente non paragonabile a nessuno dei testi che qui veniamo esaminando. La vicenda è ambientata a Scauri, paesino sul mare a mezza strada tra Napoli e Roma, che dai settemila abitanti passa a oltre centomila nei mesi estivi. Tutto ruota attorno alla morte apparentemente banale e improvvisa, in una vasca da bagno, di Vittoria, affascinante e misteriosissima signora che in pochi anni, da quando vi si è trasferita, è divenuta il fulcro animatore, l’orologio, il modello, il punto di riferimento, l’imprescindibile stella polare degli stupiti compaesani.

Con ritmo avvolgente, come una macchina per tessitura, il libro acquisisce notizie e segreti, introduce supposizioni e dettagli, li assorbe ed elabora, ristruttura e ridisegna la trama, continuamente, in un turbine di scoperte e annessioni, verifiche e controprove, lanci e rimbalzi. E così sino alla fine, come in una sorta di assidua elaborazione del pettegolezzo.

L’abilità della scrittrice nel padroneggiare e orientare questo maelstrom di ipotesi e notazioni merita un plauso. Forse non si può dire lo stesso del piacere della lettura, che un simile procedimento inevitabilmente riduce.

Gianrico Carofiglio

Con L’orizzonte della notte (Einaudi, Torino 2024, pp. 280, € 18,50) Gianrico Carofiglio ci ha da poco regalato un’altra delle sue storie impeccabili. Non un romanzo criminale, ma un caso giudiziario, condotto e risolto con profonda consapevolezza delle regole dibattimentali. E non a caso il pubblico dei lettori gli è corso incontro ancora una volta, premiandolo con una lunga serie di piazzamenti ai primi posti delle classifiche di vendita, non solo di narrativa italiana ma di libri tout court.

La trama è ormai notissima. Una donna ha ucciso a colpi di pistola l’ex convivente della sorella, la quale si è da poco suicidata. Legittima difesa nello scontro con l’uomo o premeditato omicidio? L’avvocato Guido Guerrieri, a cui la signora Elvira Castell si è affidata attraverso la mediazione di un amico libraio, in attesa della sentenza cui è chiamata la Camera di consiglio, ripercorre le vicissitudini personali dell’ultimo anno. Fino a porsi domande, attraverso gli incontri con lo psicanalista, sul tempo trascorso, sul senso della sua professione, sull’dea stessa di giustizia.

Imbroccando d’istinto il ritmo e i tempi della narrazione, acuendo l’attesa dello scioglimento con calme parentesi autoriflessive, Carofiglio sfodera ancora una volta una serie di carte vincenti. Non c’è che da complimentarsi col sessantunenne scrittore barese per la tenuta dell’ispirazione e per la saggezza compositiva ormai raggiunta, dopo titoli e titoli di riconosciuto livello. È il caso di una padronanza tecnica così affinata, da mettere fuori gioco ogni velleità di piegare la scrittura a progetti più sperimentali.

Antonella Lattanzi

Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi (Einaudi, Torino 2024, pp. 210, € 19) è il diario infuocato e lancinante di una gravidanza infelice, seguìta all’esperienza di due aborti volontari, nella vita di una scrittrice che ha appena dato alle stampe con successo il suo nuovo romanzo. Divisa tra le mille incombenze di promozione del libro, con un marito perennemente impegnato sui suoi set nella capitale e un nugolo di amiche pronte a scortarla in giro per gli innumerevoli esami e test ginecologici via via necessari, Antonella impregna di sé e delle sue paure ogni pagina di questo memoir, fitto di imprecazioni e grida senza bersaglio.

I fatti e le novità di quella che a un certo punto si rivela una gravidanza trigemina dilagano per pagine e pagine con sconcertante vivezza e assoluto realismo. La scrittura è impetuosa e veemente, la sfida al microcosmo dei medici e degli ospedali quasi non ammette eccezioni. Storia clinica e storia privata s’intrecciano inesorabilmente. Ne risulta un testo dal respiro affannoso, che tiene avvinti fino all’ultimo, quando l’attesa della donna si scoprirà vana per la crudezza degli eventi sopravvenuti.

Donatella Di Pietrantonio

Candidato anch’esso al premio Strega, come i libri di Chiara Valerio e di Antonella Lattanzi, L’età fragile di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi, Torino 2024, pp. 180, € 18) è l’ultima prova di una scrittrice che si è già fatta ammirare in testi come L’Arminuta e Borgo Sud. Un drammatico fatto di cronaca nera avvenuto anni fa nella zona della Maiella in cui persero la vita due ragazze, viene raccontato ai giorni nostri con sensibilissima coscienza.

«L’età fragile non è un’età della vita», si legge nella motivazione con cui Vittorio Lingiardi ha presentato l’opera in concorso, «è la vita stessa. È la memoria che non può nascondere il dolore, la solitudine dopo la separazione, la colpa per la sopravvivenza. La vita dura come un sasso che Donatella Di Pietrantonio riesce a levigare con le mani sicure della sua scrittura. È la storia di una famiglia sospesa nel segreto del trauma, parole mai dette rinchiuse nel cuore di una montagna d’Abruzzo che è insieme psiche e paesaggio. È il romanzo di una madre che non trova respiro, stretta tra la severità del padre e il silenzio della figlia. Un libro che raccontando il dolore lo cura, perché a scriverlo è una donna che conosce il miracolo delle parole e il sangue delle ferite».

Il racconto è portato avanti su svariati registri, ma prevalgono i toni della sospensione, dell’avvilimento e dell’attesa. A giudicare però dalle reazioni del lettore, che trova non poca difficoltà nel recepire i fatti e dare un senso evolutivo alla loro ricostruzione, si ha l’impressione che il noir non sia propriamente nelle corde dell’autrice, che si è finora affermata in altra tipologia di racconto. Staremo a vedere come si esprimeranno nel merito i votanti del premio Strega al ninfeo di Villa Giulia, nel primo giovedì di luglio.

Roberto Vecchioni

Ecco ancora un ottantatreenne di incorreggibile vigore fisico e intellettuale, professore di greco e latino nei licei milanesi, poeta e cantautore storico di immutato successo, amato dal pubblico di slancio prima ancora che capito, autore di poesie, spettacoli teatrali, esibizioni televisive, successi a Sanremo. Insomma, Roberto Vecchioni, la cui vita privata si può anch’essa definire una storia italiana del nostro tempo, ripetutamente segnata da separazioni e dolori, da lutti, riconoscimenti e nuovi inizi.

L’ultimo libro di Roberto Vecchioni, Tra il silenzio e il tuono (Einaudi, Torino 2024, pp. 178, € 18) è una sorta di clamoroso memoir a due voci (quelle di un nipote giovane e di un nonno anziano), nutriti di sapienza greca e di rutilanti ambizioni pop, a colloquio epistolare come dovessero sostenersi e consigliarsi l’un l’altro, ma in sostanza assai simili nella tempra e nelle ambizioni, nella passione e nelle spavalderie. Il libro è un caleidoscopio in cui l’autore si mostra in ogni pagina scannerizzato e rifratto, attraverso una miriade di episodi e rimandi biografici e fantastici, così da dare al lettore l’impressione finale di conoscerlo a memoria, definitivamente, di condividere con lui tutto, a cominciare da quella sua scura fame di vita e di affermazione.