Ci ha lasciati Nicola Guiso, per ventidue anni collaboratore di Studi Cattolici e antico redattore de Il Popolo, il quotidiano della Democrazia cristiana, del quale è stato a lungo capo del servizio interni e dal 1978 cronista parlamentare. Nicola aveva una dimensione duplice, di giornalista e di intellettuale, e ognuna delle due dimensioni si compenetrava nell’altra, secondo la migliore tradizione pubblicistica italiana, vorremmo quasi dire di un tempo che è stato. Ha scritto una quantità di articoli e diversi libri, buoni libri di saggistica politica che aiutano a illuminare la storia del cattolicesimo politico italiano del Novecento. Nicola, come del resto chi ne sta parlando, ha vissuto la gran parte della vita professionale “prima” di internet. Perciò la sua memoria e il suo lavoro si trovano più nelle biblioteche e nelle collezioni dei giornali, che non sui “social” dei nostri giorni.

Una lunga gavetta

Nicola ha fatto nel lavoro il cursus honorum di una volta. Lo ha raccontato lui stesso in una stringata scheda professionale, dai suoi inizi. La prima collaborazione è stata sul periodico Per l’Azione, poi ha scritto su La Discussione, il settimanale della Democrazia cristiana fondato da Alcide De Gasperi, poi ancora su Lo Stato, su Il Mattino, il Nuovo Osservatore, e infine Il Popolo dove, come s’è accennato, ha ricoperto a lungo i due ruoli principali di un giornale politico: capo del servizio interni e del servizio parlamentare. Quello che nella sua nota non racconta sono invece le offerte professionali che aveva ricevuto nel tempo: nel 1983 di diventare direttore del Corriere del Giorno di Taranto, nel 1984 la rinuncia a passare alla Rai, dove era stato indicato da Ciriaco De Mita, segretario del partito, che nel 1986 aveva pensato a lui come possibile direttore del Popolo.

Per Feltrinelli, Nicola Guiso è stato autore nel 1982 del saggio Struttura e Organizzazione con riferimento alla Democrazia Cristiana negli anni 1943-1981. Nel 1999 ha pubblicato per Marsilio un’intervista a Sandro Fontana sulla figura di Carlo Donat Cattin, L’anticonformista della sinistra italiana. Ha pubblicato per le edizioni Ares Dovuto a De Gasperi, vincitore del premio Capri 2005, e nel 2008 La storia nei giornali; nel 2009 ha pubblicato di nuovo per Marsilio il libro intervista ad Arnaldo Forlani Potere discreto, cinquant’anni con la Democrazia cristiana.

Giornalista e intellettuale cattolico, Guiso era benvoluto all’interno del partito da tutto il variegato arco delle diverse correnti. Racconta la vita di Forlani, ma De Mita lo tiene nella considerazione più alta, scrive di De Gasperi e di Donat Cattin, ricostruisce la vita del partito nel suo complesso cercando di spiegare l’anima organizzativa, ma anche ideale di una forza politica protagonista per mezzo secolo della scena pubblica del Paese. Era un appassionato di politica. Specie negli anni Settanta, in redazione, o quando tornava dalla Camera alla fine delle sedute, le conversazioni con lui vertevano inevitabilmente sulle tante pieghe dei problemi del Paese, e come affrontarli. Non era mai fazioso, cercava di capire.

La redazione del Popolo era in questo senso una specie di pensatoio del partito, e non rifletteva il sistema delle correnti. A noi veniva chiesto in qualche modo di stemperare le polemiche interne, per rappresentare la visione nel suo insieme che la DC aveva delle questioni del Paese. Un giornale di partito, del resto, non racconta soltanto fatti, racconta le idee e le proposte di quel partito sui fronti sociale, economico, civile del Paese. Nicola era perfettamente a suo agio in questa dimensione, forte anche di una sicurezza personale che gli derivava dalla famiglia, l’amata moglie, originaria dell’isola di Capri, e la loro figlia che allora studiava, se non ricordo male, la lingua araba.

La redazione del “Popolo”

Il Popolo di quella stagione aveva una redazione, se posso dirlo, stellare, così come la rete dei suoi collaboratori. Ricordo per tutti alcuni nomi: alla cultura Angelo Paoluzi, Italo Chiusano, Luciano Luisi, per il teatro Mario Cimnaghi, per il cinema Paolo Valmarana, agli esteri Carlo Tasca, Giorgio Ceccherini, Filippo Palliotta, agli interni Paolo Pinna, corrispondente da New York Marcello Spaccarelli. Allo sport c’era Giancarlo Summonte. Quando il lunedì sera arrivava in tipografia il suo commento sulle partite di calcio della domenica, allora si giocavano tutte insieme non era come oggi, i linotipisti prima di comporlo si mettevano a leggerlo a voce alta. La redazione e la tipografia erano in piazza delle Cinque Lune, le finestre si affacciavano su piazza Navona, la grande stanza del direttore aveva ospitato negli anni personalità come Ettore Bernabei e tanti altri. Si diceva che ai suoi tempi, se si faceva tardi a stampare il giornale, a Ciampino gli aerei aspettavano, ma forse era una leggenda, il riflesso del grande potere del partito.

La realtà era molto più terra-terra. Chi scrive ricorda la figura di Natalicchi, un trasportatore del giornale che ogni notte, quale che fosse il tempo, si metteva in macchina e portava le copie del Popolo al Nord, a Verona mi sembra, dove poi i distributori locali facevano il resto. A ricordarli ora erano anni felici. Nei locali sottostanti la tipografia troneggiava la rotativa, una Mannesman. Sorridevamo con Nicola nel parlarne, per la sua storia rocambolesca. Negli anni Venti, i fascisti avevano sequestrato la rotativa del Popolo di Giuseppe Donati per stampare il loro Popolo d’Italia. Poi Hitler aveva regalato a Mussolini una nuova rotativa, appunto la Mannesman in questione. Finito il Fascismo, a titolo di rimborso, questa rotativa fu presa dal Popolo.

Il giornale non navigava nell’oro, ogni tanto si rompeva qualche pezzo del macchinario e c’era solo un vecchio artigiano in grado di rifarlo. Poi ogni tanto la rotativa veniva pignorata per i debiti del giornale e messa all’asta. Ma c’era un accordo tra gentiluomini con le altre tipografie romane, così all’asta si presentava solo il rappresentante del Popolo che riscattava la rotativa al minimo richiesto come base d’acquisto. Quante altre se ne potrebbero raccontare. Quando, per esempio, nel dopoguerra Popolo e Unità stamparono per un periodo nella stessa tipografia e l’Unità adoperava i tamburini del Popolo, i nomi delle sale cinematografiche di Roma con i film che proiettavano. Il Popolo dava per ogni film i giudizi del CCC, acronimo che stava per Centro Cattolico Cinematografico. L’Unità pubblicava anche quelli. Un giorno un lettore scrisse al direttore: grazie compagno, che per la scelta dei film ci fornite il giudizio del Comitato Centrale Comunista.

Nicola Guiso sta in questa storia, l’ha respirata, l’ha vissuta e non poteva non renderla in qualche modo. Penso a due suoi libri in particolare, che di fatto segnano l’inizio e la fine dell’avventura democristiana. È sempre un po’ arbitrario stabilire dei confini, ma è un fatto che De Gasperi è stato il primo segretario del partito già dal periodo clandestino, e Forlani è stato nel 1988 l’ultimo segretario eletto dal congresso. Mino Martinazzoli, dopo di lui, non ebbe questa investitura, e quando la Dc è stata sciolta, questo non è avvenuto con una formale, preventiva decisione degli organi legittimati a farlo, circostanza che per lunghi anni ha alimentato polemiche politiche e vertenze giudiziarie.

Guiso, nel libro intervista pubblicato del 2009 chiede conto a Forlani dei passaggi politici che nel 1992 culminano con le sue dimissioni da segretario, quasi lo incoraggia a pensare che se non si fosse dimesso… Nelle domande e nelle risposte finali si avverte un analogo rimpianto rispetto all’ineluttabile corso che poi presero le cose. E il pensiero di entrambi nelle ultime pagine va a De Gasperi, l’altro lavoro di Nicola che vorrei ricordare: Dovuto a De Gasperi, Ares 2005. È una raccolta di testimonianze di personalità delle più diverse parti politiche, a indicare quanto lo statista sia patrimonio della democrazia dell’intero Paese.

«Libertà, cristianesimo e autonomia del partito»: così Guiso descrive De Gasperi, e così Nicola identifica sè stesso nella irripetibile vicenda democristiana della quale per tutta la vita è stato al tempo stesso testimone, e protagonista.