R.R. Tolkien doveva avere un certo caratterino. Almeno stando a quanto si può leggere nelle lettere che scambiava con l’editore. Nell’epistolario pubblicato se ne contano, tra tutte le altre, centocinque: dalla prima datata 4 gennaio 1937, in cui si parla dei disegni per Lo Hobbit, all’ultima scritta il 30 marzo 1972, dove chiede a Rayner Unwin, figlio del suo editore, di essere chiamato per nome: «poiché sei un amico di vecchissima data, e molto caro, mi piacerebbe essere anche un “familiaris”».

Lettere che raccontano l’attenzione maniacale e la passione per le proprie storie, per le parole, per le immagini, per i titoli, per le pubblicazioni; quell’attenzione che lo portava a esprimere in maniera chiara, a volte dura, la propria posizione, senza preoccuparsi di nascondere rabbia e disappunto. Accanto a questo si vede un uomo indaffarato, che fa i conti con la scarsità di tempo e denaro, e con la fatica del processo creativo. Attento alle relazioni che con le lettere, e non solo, si trovava a costruire e curare o, talvolta, a chiudere.

Si possono dividere le lettere tra Tolkien e la Allen & Unwin usando come spartiacque Il Signore degli Anelli (Lotr, Lord of The Rings), individuando così: 1) quelle pre-Lotr: indicando le lettere antecedenti la comparsa della scrittura del primo capitolo del seguito de Lo Hobbit; 2) quelle in-Lotr: è il periodo in cui il capolavoro prende forma; 3) quelle post-Lotr: sono gli scambi epistolari dopo la pubblicazione del libro.

Nel momento in cui il capolavoro esiste, molte delle questioni ruotano attorno a questo, che diviene, per così dire, ingombrante. Non è l’unica possibilità per affrontare le lettere, che potrebbero essere raggruppate in altri modi; tuttavia, utilizzando questo criterio, si è più vicini anche alla scelta editoriale di disporre le missive dell’epistolario in ordine cronologico. Altro criterio applicato in questa sede è quello di citare solo testi di Tolkien, tralasciando la letteratura secondaria.

Comincia l’avventura

I primi rapporti con la casa editrice sono finalizzati alla pubblicazione de Lo Hobbit e alla scelta delle illustrazioni, in merito alle quali lo scrittore si dice più volte «sorpreso che questi disegni mediocri siano stati accettati». Nella medesima lettera, Tolkien aveva proposto la pubblicazione di Mr. Bliss. Gli chiesero la semplificazione delle raffigurazioni: avevano troppi colori. La storia di Mr. Bliss sarà pubblicata postuma nel 1984.

Il lavoro di revisione su Lo Hobbit fu lungo. Tolkien intervenne sulle bozze, mantenendo la stessa lunghezza nel testo. L’editore comunicò che erano talmente tante che avrebbe dovuto partecipare alla spesa di correzione. Spese a cui rese disponibile, chiedendo però un atto di clemenza.

La vicenda di Bilbo fu pubblicata nel 1937. Fu un tale successo da essere ristampata già nel medesimo anno, con l’aggiunta di quattro tavole a colori. Si palesò subito l’interesse di una casa editrice americana. La cosa destò la curiosità dello scrittore, che si informò su chi fosse la casa editrice e quali fossero gli accordi economici, fissando un limite: «purché sia possibile (vorrei aggiungere) porre il veto a qualsiasi cosa provenga o sia influenzata dagli studi Disney (per tutte le cui Opere provo un sentito ribrezzo).

È nelle missive successive, in cui si parla di disegni da aggiungere all’edizione americana, chiesti dall’editrice Houghton Mifflin, che fanno capolino – e non sarà l’unica volta – i disagi economici: «Al momento sono in tali difficoltà (soprattutto per colpa delle spese mediche) che anche un compenso molto piccolo sarebbe una benedizione».

Le lettere diventano, già in questa fase, la testimonianza delle opere di Tolkien, che si trova a proporre all’editore vari manoscritti: da Il Silmarillion, passando per Beren e Lúthien, per finire con Le lettere di Babbo Natale. Fino alla lettera datata 19 dicembre 1937, dove compare, per la prima volta, «il primo capitolo di una nuova storia sugli hobbit: “Una festa a lungo attesa”».

Il capolavoro prende forma

Il lavoro fu lungo ed estenuante con riprese, rinvii e sogni disattesi. Il Signore degli Anelli vedrà la luce perché è richiesto un seguito a Lo Hobbit, ma diverrà molto di più: «la storia tende a sfuggirmi di mano e ha preso una direzione inaspettata». L’Opera si stava collegando con ciò che, da quando era giovane soldato, stava componendo. Talmente legata che lo portò a pretendere, più avanti, la pubblicazione integrale de Il Silmarillion e de Il Signore degli Anelli. La casa editrice negò la possibilità. Allora Tolkien cercò altre case ma dovette, con la coda tra le gambe, tornare alla Allen & Unwin e chiedere l’intercessione di Rayner per la pubblicazione, almeno, de Il Signore degli Anelli.

La comparsa del titolo all’intera Opera, incompleta, si ha in una lettera datata 21 luglio 1946. In questi anni, accanto ad altre storie proposte all’editore, prende forma la narrazione del capolavoro. Si mostra evidente l’interesse da parte di Tolkien per il pensiero del figlio di Unwin: in qualche modo si è creato, e crescerà, un legame tra i due. Da bambino fu lui il primo recensore de Lo Hobbit consigliandone al padre la pubblicazione; rimarrà sempre una voce rilevante nel giudicare le opere di Tolkien, anche quando succederà al genitore nella gestione della casa editrice. Si segnala la lettera 109, in cui Tolkien esprime alcuni concetti, in risposta a Rayner, che saranno fondamentali nella lettura dell’opera:

Ma se non sembra possibile che dei semplici, ordinari hobbit possano affrontare simili cose, allora ho fallito. Io credo che non esista un orrore concepibile che queste creature non possano superare, tramite la grazia (che qui appare in forma mitologica) combinata a un rifiuto della loro natura e della loro ragione di scendere a compromessi o di sottomettersi. Malgrado tutto questo, spero che Rayner non abbia sospetti di “allegoria”. Suppongo che in ogni racconto degno di essere narrato ci sia una “morale”. Ma non è la stessa cosa. Anche la lotta fra l’oscurità e la luce (come la chiama lui, non io) è per me solo una particolare fase della storia, un esempio dei suoi schemi, ma non Lo Schema; e gli attori sono individui: ovviamente, tutti contengono dei valori universali, senza i quali non potrebbero vivere, ma non li rappresentano mai in quanto tali. Si notano temi che gli studiosi di Tolkien hanno approfondito e ai cui testi si rimanda. Nelle indicazioni date a Rayner si riscontra la prospettiva, secondo Tolkien, con cui leggere le vicende de Il Signore degli Anelli.

Una volta concordata la pubblicazione dell’opera con l’editore, si è nel vivo dell’adattamento: divisione in 3 volumi dei 6 libri, titoli dei singoli volumi, aspetto grafico, correzioni e bozze, materiale per le appendici… Finalmente, tra il 1954 e il 1955, Il Signore degli Anelli fu pubblicato.

Dopo la pubblicazione

Il rapporto del post-pubblicazione racconta di un autore che ha successo, che fa i conti con le traduzioni in più lingue, criticando i lavori dei traduttori e sottolineando che la traduzione del Signore degli Anelli sarà un compito arduo, e non vedo come possa essere svolto in modo soddisfacente senza l’assistenza dell’autore. […] Nessuna variazione, grande o piccola, riorganizzazione o riduzione di questo testo sarà da me approvata, se non procede da me o da una consultazione diretta con me. Spero vivamente che si terrà conto di questa mia preoccupazione.

E aggiunge:

La questione (per me) è importante; mi ha grandemente agitato e irritato, e mi ha dato molto lavoro di cui non sentivo il bisogno in un periodo estremamente inopportuno. […] Di principio sono il più fermamente contrario possibile a ogni “traduzione” della nomenclatura (anche se fatta da una persona competente). Mi chiedo perché un traduttore dovrebbe sentirsi chiamato o autorizzato a fare una cosa simile. […] Sono sicuro che il modo giusto (nonché più economico per l’editore e il traduttore?) sia di lasciare la mappa e la nomenclatura quanto più possibile come sono […] Posso dire una volta per tutte che non tollererò in alcun modo un simile armeggiare con i nomi di persona. Né con il nome/termine hobbit.

Il resto dell’epistolario tra Tolkien e l’editore è segnato da questioni legate a traduzioni ed edizioni nel mondo dell’Opera. Il successo ridiede vigore all’idea di rendere editabile Il Silmarillion, così come la proposta di altre Opere. Il tutto a dimostrare che la relazione tra editore e autore si è via via trasformata in un rapporto di fiducia e rispetto, che è andata al di là di un rendiconto tra anziano autore di successo che ha fatto la fortuna dell’editore (e viceversa), e si è trasformata nella familiarità degli amici, quelli che possono chiamarsi per nome. Dentro una storia che può essere riletta in un disegno più grande: la vita e le circostanze «se Dio esiste […] sono i Suoi strumenti, o le Sue manifestazioni». E questo era il modo con cui lui, credente, guardava alla vita, persino dentro le dinamiche editoriali che accompagnavano le vicende delle opere della sua subcreazione. Ma per questo servono altre righe e altre lettere, non quelle all’editore.