Quando J.R.R. Tolkien decise di scrivere un nuovo libro ambientato nel suo mondo immaginario, si ricollegò al suo lavoro precedente, Lo Hobbit, pubblicato nel 1937. Un libro molto più semplice, il cui notevole successo fu la base per una nuova storia.

Lo Hobbit partiva da una rielaborazione di fiabe e storie di creature fantastiche, l’antica letteratura inglese e le leggende nordiche riviste tramite la fantasia dell’autore, unite a una visione nostalgica della tranquilla vita di campagna. Per Tolkien, scrivere questa fiaba era stato una specie di divertimento e non pensava di pubblicarla. Una casa editrice, Allen & Unwin, se ne interessò quasi per caso, quando il manoscritto fu letto e apprezzato da una collaboratrice. Stanley Unwin fece allora leggere Lo Hobbit anche a suo figlio Rayner e ne ebbe una recensione positiva. Perciò, decise di proporre a Tolkien la pubblicazione.

Quando il successo incoraggiò Unwin a chiedere a Tolkien un’altra storia simile, l’autore non aveva nulla di pronto per la pubblicazione o anche allo stato di semplice idea. Venne proposto alla casa editrice Il Silmarillion, la collezione dei miti ideati da Tolkien e la storia del mondo di Arda e della Terra di Mezzo, e altri scritti che lasciarono l’editore perplesso. Non c’erano hobbit, non c’era la stessa atmosfera piacevole. Insomma, a Tolkien veniva chiesto di far qualcosa di non troppo serio e che contenesse i suoi simpatici ometti.

15 anni di lavoro

In un certo senso, Tolkien non fece mai quello che gli era stato chiesto. Nel Signore degli Anelli la Contea degli hobbit rimane, ma la storia ha un respiro molto più ampio e diventa sempre più seria a mano a mano che l’autore procede nella stesura. La Contea serviva a Tolkien anche per avere un collegamento tra il mondo moderno e il suo immaginario mondo mitico. Dal momento che i popoli della Terra di Mezzo sono ispirati al nostro mondo antico, la Contea è chiaramente anacronistica, perché vi troviamo tabacco e patate, prodotti giunti in Europa dopo la scoperta delle Americhe. Di queste incongruenze, l’autore non si è preoccupato. Del resto, Tolkien non si fece problemi a introdurre avvenimenti tragici e toni molto seri, intervallati magari da qualche momento di serenità e da intermezzi comici. D’altra parte, per l’autore la fiaba è una cosa seria, relegata al mondo dei bambini per pregiudizio, e se qualcosa val la pena di essere raccontato, andrà bene sia ai bambini che agli adulti.

Tolkien diede forma al Signore degli Anelli solo dopo alcuni tentativi. A dimostrarlo sta il fatto che, nella stesura iniziale, pensava a una nuova avventura per Bilbo: egli, durante la “festa a lungo attesa” salutava i suoi concittadini, s’infilava l’anello al dito e partiva, come racconta Humphrey Carpenter nella biografia ufficiale di Tolkien. Sebbene, alla fine de Lo Hobbit, ci venga detto che Bilbo visse serenamente per molti anni, sembrava che Tolkien avesse deciso di far rinascere in lui il desiderio di viaggio e avventura, e la ricerca di ricchezze. In seguito, veniva introdotto invece un figlio di Bilbo come nuovo protagonista delle avventure; inoltre, Tolkien decise di valorizzare un elemento de Lo Hobbit, l’Anello, che offriva chiaramente del potenziale per una storia più complessa. Tolkien decise di riprenderlo in esame e di dargli dei poteri, ma ancora non era divenuto l’oggetto potentissimo ed estremamente pericoloso che sarebbe stato nella versione finale. Quando il figlio di Bilbo parte per l’avventura assieme ad altri due hobbit, Odo e Frodo, compare anche un cavaliere nero che sta cercando di rintracciarli… Appare evidente che, all’inizio, Tolkien non avesse chiaro come procedere. Aveva comunque stabilito che l’Anello fosse stato forgiato da un Negromante, che aveva inviato il cavaliere a cercarlo, e che sarebbe stato necessario ritrovare Gollum. Il collegamento con Lo Hobbit era stabilito, e così l’embrione di una nuova storia con nuovi temi: i cavalieri neri, ora più di uno, erano diventati permanentemente invisibili grazie ad altri anelli; tornava in scena Gandalf, che spiegava la necessità di portare l’Anello nella temuta landa di Mordor e di gettarlo nelle fenditure della terra, in modo che venisse dissolto dal fuoco che si trovava al di sotto. Il protagonista diventava Frodo, cugino di Bilbo, e il personaggio del figlio spariva. Seguiva l’incontro con Tom Bombadil e l’arrivo a Brea, dove il gruppo incontrava un nuovo personaggio. Doveva trattarsi di uno strano hobbit dal nome Trotter, ma ancora l’autore non sapeva bene chi fosse e a cosa servisse nella trama. In seguito, ovviamente, diventerà un personaggio principale: un uomo di alta statura, Aragorn, di sangue Númenoreano, discendente di re e destinato a riprendere il potere di sua spettanza. Tra le differenze più curiose, il fatto che Barbalbero, l’Ent, nella prima stesura era una creatura malvagia, responsabile dell’imprigionamento di Gandalf. Soltanto in seguito entrerà in scena Saruman, il capo dei maghi (Istari) inviati nella Terra di Mezzo per contrastare il Male.

Anche i poteri dei Nazgûl, i cavalieri che cercano di rintracciare gli hobbit e di impadronirsi dell’Anello, non sono ben definiti a questo punto. Il critico Edmund Wilson ha osservato, esagerando, che non rappresentano alcuna minaccia: sono solo spettri, tutti ne sembrano terrorizzati, però basta un niente per scacciarli. Ma anche Tom Shippey osserva che, se i Nazgûl a Colle Vento avessero spinto l’attacco con un minimo di decisione, essendoci solo Aragorn a proteggere gli hobbit, avrebbero raggiunto lo scopo della loro missione senza grosse difficoltà. Invece, sebbene Frodo sia seriamente ferito, i cavalieri neri vengono respinti.

Pertanto, nei primi capitoli non succede moltissimo. Abbiamo l’uscita dalla Contea e ci vengono mostrati i paesaggi della Terra di Mezzo; grazie alla capacità degli hobbit di mettersi nei guai, incontriamo subito gravi pericoli, seguiti da momenti di tregua nelle “case accoglienti” che i nostri eroi incontrano durante questa parte del viaggio. Si alternano, insomma, momenti di terrore e aiuti provvidenziali, che permettono loro di proseguire. Tra il 1939 e il 1940, tuttavia, Tolkien prende una decisione: sebbene molto sia ancora da inventare e da riscrivere, adesso l’autore ha chiara, sia pure a grandi linee, la storia che vuole raccontare. Infatti, presso Granburrone si svolge un momento di decisivo svelamento dei retroscena, compaiono nuovi personaggi e abbiamo una decisa piega verso vicende serie e pericolose. Rispetto ai primi capitoli, lo stile cambia di conseguenza.

A Granburrone, il mezzelfo Elrond tiene un Consiglio per decidere come affrontare il problema dell’Anello. Il capitolo è complesso, con moltissimi personaggi che parlano: del resto è come se si trattasse di una conferenza internazionale fra alleati in guerra. I popoli liberi non possono servirsi dell’Anello, devono quindi eliminarlo per sempre. Non basta buttarlo in mare: non si sa cosa potrebbe avvenire in futuro, perciò, deve essere distrutto nella lava di Monte Fato, dove era stato forgiato. Gandalf non vuole portare l’Anello, teme la sua seduzione. Sarà quindi Frodo a farlo: le persone semplici e umili sono quelle più adatte a resistere alla malìa del potere.

Quindi, finalmente, l’autore aveva dei punti fermi. Restava solo da completare l’affresco. Non fu compito breve. Mentre, nel 1939, Tolkien pensava di essere a buon punto, tutto quello che c’era al di là delle Montagne Nebbiose doveva ancora prendere forma. Diversi impegni familiari e di lavoro rallentarono la stesura del libro: lo scrittore si trovò perfino addetto alla difesa antiaerea nel corso della Seconda Guerra Mondiale. 

Un sogno realizzato

Quando, finalmente, il libro fu completato, nel 1950 Tolkien cercò di imporre un ultimatum ad Allen & Unwin, per ottenere la pubblicazione congiunta del Silmarillion assieme al Signore degli Anelli. Ma la casa editrice giudicava il Silmarillion una potenziale fonte di trame per nuove storie, non qualcosa di interessante di per sé. Nel tentativo di risolvere l’impasse, Tolkien cercò un nuovo editore. Collins. Milton Waldman, cui si era rivolto, sembrava entusiasta, ma alla fine non se ne fece niente. Nel 1952, Tolkien decise di accettare l’offerta di Allen & Unwin: dopo un processo di revisione, Il Signore degli Anelli venne pubblicato diviso in tre parti, tra il 1954 e il 1955.

Tolkien ha scritto una storia che prende molti elementi dalle leggende nordiche, eppure è profondamente cristiana. Per lui, chi racconta storie è un sub-creatore: appartenendo al mondo Primario, creato da Dio, può prenderne gli elementi, usarli creativamente come gli ingredienti della propria composizione, e ideare così un mondo Secondario in cui il lettore può entrare. Questo mondo Secondario, quando creato con umiltà e aderenza all’immagine del Creato, può essere mito e fiaba, con un sottofondo di realtà. Non nel senso che i racconti della Terra di Mezzo riguardino fatti veramente accaduti, ma che contengono spiragli su “altri mondi”.

Il sub-creatore, quindi, svolge un’attività quasi mistica, cercando di raggiungere l’immagine della verità. Verità, in effetti, con la V maiuscola, in quanto Tolkien intendeva ovviamente riferirsi alla sua fede. Cosa sono, quindi, le fiabe di Tolkien? Mito cristiano? Insegnamento? Parabola? L’autore è rimasto volutamente sul vago, ma a suo parere, queste storie non erano “del tutto” inventate.

Un tema molto importante è la consacrazione degli umili, che ottengono i risultati che nemmeno i più valorosi eroi possono raggiungere. Un hobbit e una donna esclusa dai ranghi militari riescono a eliminare il capo dei Nazgûl. Frodo e Sam distruggono l’Anello, sia pure con l’intervento provvidenziale del povero Gollum. Il Signore degli Anelli non è la storia di una lotta tra buoni e cattivi, ma una storia di scelte individuali di fronte alla minaccia del Male: Tolkien invita il lettore ad avere fede e combatterla senza scoraggiarsi.