Come si dovrebbe costruire una chiesa? Che tipo di pitture o sculture sarebbero adatte? Siamo sicuri che certe canzonette vadano bene per il culto? Queste e molte altre domande si pongono anche nelle conversazioni correnti tra persone non addette ai lavori. Si percepisce qualcosa di stonato, se non di conclamatamente brutto nei nostri luoghi di culto e nelle nostre celebrazioni. Gli addetti ai lavori, per conto loro, lamentano il divorzio tra Chiesa e artisti avvenuto nel Novecento (ma c’è chi lo individua molto prima). Negli ultimi decenni abbiamo però visto un riavvicinamento: nelle realizzazioni più importanti sono tornati i grandi nomi di architetti e artisti. I Papi si sono sforzati di ricucire il più possibile il rapporto. Da san Paolo VI alla fine del Concilio, a san Giovanni Paolo II con la Lettera agli artisti, a Benedetto XVI con un altro testo rivolto agli artisti, a papa Francesco che, quando scriviamo, ha annunciato un incontro con gli artisti. Tutto questo infonde speranza, certo, ma ripropone la riflessione sul sacro cristiano – l’arte sacra, l’architettura sacra, la musica sacra; lungi dal voler dare risposte esaurienti, questo quaderno con contributi di Michele Dolz per le arti visive, Joseph di Pasquale per l’architettura e Carlo Alessandro Landini per la musica, si propone come un tassello nell’attuale dibattito. E non mancherà di accendere considerazioni gravide di significato oggi forse più ancora di quando fu scitto, anche l’articolo che Marcel Proust dedicava nel lontano 1904 alla “morte delle cattedrali”, che ha il sapore della grande cultura che fece l’Europa e che pertanto, in questo dibattito, ha un duplice significato: di memoria e di prospettiva della nostra identità culturale cristiana.

La strepitosa mostra di Bill Viola a Palazzo Reale di Milano (fino al 25 giugno, catalogo Skira) non lascia nessuno indifferente. Quei video, strani a dir poco, che si svolgono in lentissimo scorrere, sollevano emozioni, pongono domande ineludibili. A cominciare dai temi. The Quintet of the Silent (2000), cinque uomini a mezzo busto mostrano con le espressioni di volti e mani sentimenti drammatici. The Greeting (1995) si ispira alla Visitazione di Carmignano del Pontormo (1529) e mostra l’incontro di tre donne che non si fatica a identificare con i personaggi evangelici in vesti moderne. Catherine’s Room (2001) sono cinque piccoli schermi che propongono, sempre con la medesima inquadratura, una donna che in una stanza, sempre la stessa, cuce, studia, prega, dorme. Angosciante. Ocean without a Shore (2007) parla della vicinanza dei morti. Martyrs Series (2014) è, nella versione originale, un’installazione video permanente nella Cattedrale di St. Paul’s a Londra e presenta quattro persone martirizzate ciascuna con uno dei quattro elementi: terra, aria, fuoco e acqua. Man Searching for Immortality/Woman Searching for Eternity (2013) sono dei novelli Adamo ed Eva, in piedi e nudi come nelle raffigurazioni rinascimentali, ma vecchi, che osservano il proprio corpo decrepito.

Più forte di certa tradizione

Sicuramente il pezzo più toccante è Emergence (2002). Ai lati di un sepolcro, o altare, siedono dolenti due donne, una anziana e l’altra ben più giovane. Piano piano, dal sepolcro emerge la figura pallidissima di un giovane uomo dal corpo atletico, evidentemente morto. Emerge dall’acqua, di cui non pensavamo fosse pieno il sepolcro. Le donne lo sorreggono, lo distendono per terra e lo piangono. I riferimenti all’iconografia cristiana sono evidenti già nella disposizione delle figure, ma pure nell’evocazione di soggetti tradizionali come la imago pietatis e il compianto di Cristo morto. Ma nulla ci autorizza a pensare che costui sia Cristo né che stia risorgendo né qualunque altra cosa che attinga direttamente alla fede cristiana. E tuttavia emotivamente è molto più forte di tanti dipinti della nostra tradizione. Per tutto questo si dice che Viola sia l’artista contemporaneo più vicino al sacro. Ed è vero, anche nella destinazione di alcune sue opere. Ogni plauso a Viola, senza reticenza. Ma proprio questo suscita domande che richiedono un po’ di riflessione.

La proposta di Maritain

A confondere il discorso è sempre il concetto di sacro. Sacro viene dal latino sacer, che aveva come forma arcaica sakros, e che vuol dire separato, escluso a usi profani. È perciò facile identificare sacro con religioso, e generalmente il sacro appartiene all’àmbito religioso, ma non è sempre così. Per esempio, con un filo di retorica si chiama sacra la patria, la bandiera, si chiamano sacrari i cimiteri militari ecc. Luoghi e oggetti che non vanno “profanati”, che letteralmente vorrebbe dire “lasciati fuori dal tempo” e dunque “desacralizzati”, anche se con quell’espressione s’intende dire semplicemente offesi o mescolati senza distinzione con altre cose.

Tornando al sacro cristiano, sarebbe bene adottare una volta per tutte la distinzione proposta da Maritain tra arte religiosa e arte sacra. La prima tratta semplicemente un tema religioso, che può andare dalla storia della salvezza ai sentimenti religiosi dell’artista, compresi dubbi e perfino negazioni. Per esempio, la famosa Crocifissione di Guttuso, che vinse il premio Bergamo nel 1941, è un ottimo dipinto, di tema religioso, fatto da un non credente e con forti problematicità per i credenti; ma appartiene senz’altro all’arte religiosa. L’arte sacra è quella destinata al culto, alla liturgia, a essere esposta nelle chiese per la devozione e a volte l’istruzione dei fedeli. E questi àmbiti hanno le loro esigenze e perfino le regole che la Chiesa ha tutto il diritto – e la necessità – di stabilire. Così è tutto chiaro e semplice. Un artista può dipingere legittimamente uno sgorbio e intitolarlo L’ultima cena, lo può esporre, pubblicare, ma difficilmente sarà ammesso in una chiesa, meno ancora in qualcosa che abbia a che fare con la liturgia. O almeno così dovrebbe essere. Se non altro si eviterebbe la confusione regnante. Questa distinzione, che vale per la religione cristiana, si potrebbe applicarla allo stesso modo a tutte le religioni e in molti casi è già così: in una moschea non ci entra niente di figurativo né in un tempio buddhista nulla al di fuori dello stretto tradizionale.

Ma il concetto di sacro è complesso. Se guardiamo il sacro primitivo notiamo subito che determinati luoghi, oggetti o persone sono investiti di una forza soprannaturale che in molti àmbiti è stata chiamata mana, che è trasmissibile ma anche inavvicinabile senza le dovute purificazioni. È interessante notare che l’Antico Testamento è molto preoccupato di non lasciar entrare un simile concetto tra il popolo eletto, soprattutto quando viene da ambienti idolatrici. Per esempio: «Asa fece ciò che è bene e retto agli occhi del Signore, suo Dio. Rimosse gli altari degli stranieri e le alture; spezzò le stele ed eliminò i pali sacri» (2 Cr 14, 1-2). Ma al tempo stesso mantiene il concetto per il sacro proprio: «Giunti all’aia di Nacon, Uzza stese la mano verso l’arca di Dio e la sostenne, perché i buoi vacillavano. L’ira del Signore si accese contro Uzza; Dio lo percosse per la sua negligenza ed egli morì sul posto, presso l’arca di Dio» (2 Sam 6, 6-7).

Immagine e presenza

Già la disputa dell’VIII secolo sulle immagini lasciò chiaro che nelle sacre immagini e negli oggetti di culto non risiede alcuna presenza soprannaturale, benché la loro profanazione sia ritenuta sacrilega per il dileggio che comporta verso Dio o i santi. Discorso a parte, naturalmente, è quello dell’eucaristia.

Si racconta che papa Sisto V (1521-1590), che veniva chiamato “il Papa tosto” per la sua severità, volle vedere di persona un crocifisso che in una chiesetta della periferia romana aveva preso a sanguinare. Dopo aver sostato a lungo davanti alla statua, la prese con le mani e disse: «Come Cristo ti adoro, ma come legno ti spezzo», e lo ruppe in un colpo mettendo allo scoperto una spugna con sangue di gallina. Inutile dire che il proprietario del crocifisso in questione fece una brutta fine. Ma, appunto, solo legno, malgrado la sua utilità devozionale e forse anche liturgica.

Tutta la vita cristiana è Cristo, e Cristo non è sacro in quel senso, ma santo. Ora, nella Bibbia “santo” si dice solo di Dio e per estensione delle persone, luoghi, oggetti particolarmente “permeati” di Dio. Ma questi si chiamano santi per il Dio che li santifica, non per sé stessi. E da Cristo in avanti la santità è l’identificazione con lui.

Ci sarebbe un aspetto specifico in relazione a questo, che vale la pena di accennare. Gesù disse alla donna samaritana: «Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità» (Gv 4, 23-24). Non dunque sul monte Garizim né nel Tempio di Gerusalemme. A rigore, non esistono più luoghi sacri. Naturalmente la presenza dell’eucaristia e della ecclesia rendono la chiesa quanto meno un luogo speciale. Ora, la tendenza attuale a enfatizzare che la santità risiede nella ecclesia, nell’assemblea riunita, porta direttamente a togliere importanza al luogo, il quale è solo un tetto per coprirsi e non necessita di arte alcuna; se il solo momento importante è la convocazione dell’assemblea, la chiesa perde il valore di luogo di preghiera, di devozione anche comunitaria, di sede per gli altri sacramenti. L’arte non serve, come dimostrano le tante chiese nude progettate negli ultimi decenni. Sono solo alcuni appunti veloci, ma spero possano aiutare a far chiarezza nell’attuale, appassionante dibattito sull’arte sacra.