Antoine de Saint-Exupéry: il suo nome è immediatamente associato alla più conosciuta delle sue opere, Il Piccolo Principe, «una favola dedicata ai grandi che sono stati bambini una volta e poi se ne sono dimenticati», come dirà lui stesso, tradotta in oltre duecento lingue e dialetti diversi.

Antoine de Saint-Exupéry è molto presente nella stanza dove scrivo, ed è stato molto presente nella vita di tanti altri che hanno scritto di lui. Conservo tutti i suoi libri, e anche molti scritti da altri: il volume con le foto scattate da John Phillips nel 1944 (Poet and Pilot: Antoine de Saint-Exupéry, Scalo, Zürick 1994), un fumetto di Hugo Pratt (Saint-Exupéry: l’ultimo volo, Lizard, Milano 1995), la biografia di Luciano Deriu con i disegni che riproducono le fotografie di John Phillips (Il Piccolo Principe dall’isola alle stelle, Delfino, Sassari 2013), un cd con una canzone che gli ha dedicato Francesco De Gregori (Pilota di guerra, 1987). Nella mia libreria c’è anche una banconota francese da 50 franchi del 1992, che conservo all’interno di una piccola cornice. Su un lato sono riprodotti il viso dell’autore, il disegno del Piccolo Principe, della stella, del pianeta lontano e quello del boa che ha inghiottito l’elefante, indimenticabili per chi ha letto il libro, mentre sull’altro lato, quello che tengo in evidenza nella mia cornice, appaiono nuovamente il Piccolo Principe, la stella, e il Bréguet XIV, un biplano monomotore con il quale negli anni Trenta Saint-Exupéry volava sulle Ande come pilota della Société Aéropostale. Per chi come me è appassionato di aeronautica il nome di Saint-Exupéry è associato al mestiere che, insieme a quello di scrittore e di disegnatore, lo ha accompagnato per tutta la vita: il pilota di aeroplano, il mestiere che amava, che fece di tutta la sua vita un romanzo, e che alla fine lo condusse alla morte. Umberto Eco ha scritto che non è certo se Antoine de Saint-Exupéry volasse per scrivere o scrivesse per volare. Per questo ho deciso di raccontare non del poeta, ma del pilota.

Il volo nel sangue

Antoine de Saint-Exupéry nasce a Lione il 29 luglio del 1900, in una famiglia aristocratica. Il padre, morto quando Antoine aveva quattro anni, era ispettore di una compagnia di assicurazioni e la madre una talentuosa pittrice. Fin da bambino Saint-Exupéry ha il volo nel sangue. Nel 1912 all’aeroporto di Ambérieu-en-Bugey sale per la prima volta su un aereo. Nel 1914 tenta di decollare a bordo di una bicicletta su cui ha montato una vela, con esiti disastrosi. Nel 1921, a vent’uno anni, parte per il servizio militare in aeronautica. Qui inizia una lunga serie di incidenti dai quali si salva sempre fortunosamente. La prima volta è con un Hanriot HD-I4 che ha preso senza autorizzazione. Nello stesso anno compie il suo primo volo da solo a bordo di un biplano Sopwith e nel 1922 riceve il brevetto di pilota.

Finito il servizio militare trascorre un periodo in Francia lavorando prima come contabile e poi come venditore di auto, ma le sue aspirazioni sono altre. Nel 1927 trova lavoro come pilota del servizio postale della Compagnia Latécoère che opera tra la Francia e il Nord Africa. Sono i tempi pionieristici dell’aviazione commerciale: gli aerei sono sprovvisti di radio, i rilevamenti a terra inesistenti, i motori sono ancora rudimentali e spesso ammutoliscono senza preavviso. Prima della partenza per il suo primo volo da Tolosa a Casablanca il suo capo-scalo gli ricorda che è molto bello e molto elegante navigare a bussola, ma sotto i mari di nuvole non c’è altro che l’eternità. Questo monito, come vedremo, avrà un seguito qualche anno dopo, durante un volo in Egitto.

Nel 1928 diventa capo-scalo del campo di aviazione di Cap Juby, sulla costa atlantica del Marocco. Nel 1929 si trasferisce in Sud America dove insieme ai colleghi Guillaumet e Mermoz presta servizio per Aéropostale, volando di notte sopra le Ande per consegnare la posta. Gli incidenti aerei non sono rari. Guillaumet, che aveva già trasvolato le Ande trecentottantatré volte, precipita tra le montagne e sopravvive su un ghiacciaio tra le cime per cinque giorni. Mermot perirà durante una traversata atlantica.

Anche Saint-Exupéry è protagonista di diversi incidenti aerei, alcuni dei quali spettacolari. Nel 1933 cappotta con un idrovolante Latécoère rischiando di annegare. Su un altro idrovolante perde in volo lo sportello che aveva dimenticato di bloccare. Nel 1935 partecipa al raid Parigi-Saigon a bordo di un C630 Caudron Simoun, un monomotore spesso utilizzato per record su lunghe distanze. Mentre è in volo di notte al di sopra delle nubi crede di essere sopra il Cairo. Si tuffa nelle nubi cercando il mare e si schianta in pieno deserto a duecentosettanta chilometri l’ora. Sia lui sia il suo meccanico ne escono indenni, e vengono ritrovati solo tre giorni dopo. Nel 1938 in Guatemala, mentre cerca di battere il record di velocità nel raid New York-Terra del Fuoco, si schianta in fase di decollo con un Caudron C635. Il suo meccanico esce con una gamba rotta e Saint-Exupéry con una frattura alla mascella e una alla clavicola che gli lascia la spalla anchilosata per sempre. In questi anni pubblica L’Aviatore (1926), Corriere del Sud (1929), Volo di notte (1931).

In guerra

La vita per Saint-Exupéry è vissuta come l’accettazione di un dovere. Nel 1939 con lo scoppio della Seconda guerra mondiale torna in Francia per prestare servizio come pilota nell’Aeronautica militare fran­cese, compie diverse missioni e viene decorato con una Croce di Guerra. Nello stesso anno pubblica La Terra degli Uomini. Dopo la disfatta francese del 1940 la sua squadriglia è trasferita ad Algeri, ma Saint-Exupéry non vuole servire sotto il governo di Vichy e si esilia in America.

Nel 1941, in conseguenza dell’attacco giapponese di Pearl Harbour, gli Stati Uniti entrano in guerra. Nel novembre 1942 gli americani sbarcano in Marocco e Algeria, a quel tempo possedimenti francesi. Dopo un accordo diplomatico con le autorità francesi, dipendenti dal governo di Vichy, e sospesa ogni opposizione agli sbarchi, gli Alleati possono proseguire verso la Tunisia. Saint-Exupéry ritorna da New York: la passione per il volo e il senso di responsabilità verso la Patria non gli permettono né di stare in disparte né di essere messo a terra. Riprende servizio nella squadriglia 11/33 de Grande Reconnaissance, un’unità da ricognizione aerea costituita da piloti francesi che volano su aerei americani. La squadriglia opera con i caccia Lockheed P38 Lightning, un aereo bimotore, veloce e pesante. L’aereo è disarmato: nella versione da ricognizione al posto delle armi sono montate macchine fotografiche, e lo scopo della missione è rientrare con le fotografie degli obiettivi assegnati. Saint-Exupéry ha ormai quarantatré anni e parecchi malanni. Viene dichiarato inabile al volo. Implora il comandante René Gavoille di essere rimesso in linea di volo e alla fine lo accontentano. L’addestramento sul P38 è come ricominciare da zero.

È troppo vecchio per un aereo come il Lightning, per il quale è fissato un limite di età di trent’anni, ma per lui volare è l’unico modo per contribuire alla liberazione della Francia dall’occupazione nazista. Dice a Gavoille che se non lo avesse fatto non avrebbe potuto parlare al suo Paese. Nel 1943 vengono pubblicati Lettera a un ostaggio e Il Piccolo Principe (Cittadella, scritta in quegli anni, verrà pubblicata postuma nel 1948).

Antoine de Saint-Exupéry è sempre stato con­siderato un pilota eccellente e di grande esperienza, ma irregolare e tremendamente distratto. Quando è in volo, specialmente su rotte lunghe e noiose, si estranea prendendo note sul suo taccuino. Compie le prime due missioni nel Sud della Francia e alla seconda, rientrando ad Algeri, atterra lungo e finisce fuori pista, danneggiando il prezioso aeroplano. Gli americani lo mettono a terra negandogli l’abilitazione al volo.

Il 9 luglio 1943 gli alleati sbarcano in Sicilia. L’8 settembre viene firmato l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati. Il 15 settembre i tedeschi si ritirano dalla Sardegna e la squadriglia 11/33 è spostata ad Alghero. Nel 1943 arriva ad Alghero anche John Phillips, uno dei più grandi fotoreporter di guerra del secolo scorso (è sua la foto di Stalin, Roosevelt e Churchill scattata alla conferenza di Teheran nel 1943). Quando Phillips arriva ad Alghero Saint-Exupéry è stato messo a terra e sta vivendo un momento di grande frustrazione e sconforto. Tra lo scrittore francese e il fotografo americano nasce un profondo rapporto di stima e di amicizia. Phillips, che dispone di canali privilegiati con il comando americano, contatta il generale Eaker dell’Usaaf, e lo convince a far tornare a volare il pilota francese. E così il 10 maggio 1944 i due amici sono di nuovo ad Alghero. A Saint-Exupéry è stato assegnato un P-38 F-5 Lightning. Phillips si fermerà ad Alghero tre settimane: sta lavorando a un servizio per la rivista Life, per la quale realizza decine di scatti tra la pista dell’aeroporto e la casa di Porto Conte dove alloggiano i piloti, documentando così nelle sue bellissime fotografie gli ultimi giorni dell’amico.

Saint-Exupéry è felice perché ha ricominciato a volare. Sa che i colleghi lo considerano troppo vecchio: si prendono cura di lui, lo aiutano a vestirsi con la tuta termica prima delle missioni, fanno battute sulle sue frequenti distrazioni. Saint-Exupéry lo sa e talvolta si diverte a prendersi gioco di loro, come un bambino troppo cresciuto. Ad Alghero, al rientro da una missione, esegue l’avvicinamento per l’atterraggio senza estrarre il carrello. A terra pensano si tratti di un’avaria o di una distrazione e cominciano a fargli segnali, a sparare razzi di segnalazione. Viene dato l’allarme, fanno partire il servizio antincendio e l’ambulanza. Lui sembra scendere fino alla pista, ma “riattacca”, fa oscillare le ali in segno di saluto dimostrando che si stava prendendo gioco di loro, e ritorna all’atterraggio con il carrello regolarmente abbassato.

Alla fine di maggio Phillips deve lasciare Alghero per andare a documentare la liberazione di Roma, dove le truppe alleate giungeranno il 4 giugno 1944. Il 29 maggio nella villetta di Porto Conte c’è un pranzo d’addio che Saint-Exupéry e il reporter offrono alla squadriglia 11/33 prima che Phillips riparta. John chiede all’amico Antoine di scrivere un testo da usare per accompagnare le fotografie che compariranno nel servizio per Life. Durante la notte Saint-Exupéry scrive Lettera a un americano, un bellissimo testo di sei pagine nelle quali esprime la gratitudine per i ragazzi americani che stanno dando le loro vite per la liberazione dell’Europa, che consegna a Phillips alle cinque del mattino seguente. Vi si legge: «I vostri ragazzi muoiono in una guerra che per loro, come mai nella storia dell’umanità, è una confusa esperienza di amore. Non traditeli».

I due amici non si rivedranno più: Antoine perderà la vita due mesi dopo, e Phillips ne proverà un grande dolore. Il manoscritto non viene pubblicato su Life: Phillips ha una sorta di senso di colpa per aver aiutato l’amico a riprendere a volare, e conserva lo scritto fino agli anni Ottanta, quando ne fa dono alla Biblioteca Nazionale di Parigi. Sente, però, una sorta di debito nei suoi confronti e nel 1989 pubblica la prima edizione di Poet and Pilot: Antoine de Saint-Exupéry, un volume che raccoglie le 140 foto scattate ad Alghero e la riproduzione del manoscritto autografo di Saint-Exupéry.

L’ultimo volo

Nel mese di luglio la squadriglia da ricognizione è schierata sull’aeroporto di Bastia, oggi sede dell’Aeroclub locale intitolato a Saint-Exupéry. La mattina del 31 luglio del 1944 all’aeroporto di Bastia è una bella giornata di sole. Saint-Exupéry è a bordo del suo caccia Lightning P-38 F-5 per una missione di ricognizione in Savoia, sopra Grenoble. Quella mattina il comandante Gavoille è rimasto a letto, perché la sera precedente avevano fatto tardi, ma ha dato istruzioni precise: Saint-Exupéry non deve volare. Pochi giorni dopo ci sarebbe stato lo sbarco alleato in Provenza, e la missione era quindi inutile. Ma Saint-Exupéry dormiva poco, si era alzato presto ed era andato dall’ufficiale alle operazioni e aveva ottenuto il permesso al decollo. Una missione che non gli spettava, una missione inutile. Una missione dalla quale non sarebbe mai rientrato.

Alle 11 del mattino Saint-Exupéry non è ancora rientrato e Gavoille ha già contattato tutti i centri radar alleati nel Mediterraneo, ma del suo volo non c’è traccia. A Bastia non si vuole credere alla fatalità, si rincorrono le ipotesi per giustificare il ritardo del rientro. Ma, come avviene in tutti i casi simili, il tempo limite è quello segnato dall’autonomia del velivolo.

Qualcuno si ricordava di quello che Saint-Exupéry aveva scritto quando il 7 dicembre 1936 il suo amico Mermoz era scomparso sopra l’Atlantico: «Non conosco nulla di più tragico del ritardo. Un compagno non atterra all’ora prevista. Un altro che doveva arrivare, o segnalarsi con un messaggio, resta muto. E quando sono passati dieci minuti, che nella vita ordinaria non darebbero nemmeno l’impressione di aver atteso, d’improvviso tutto si irrigidisce. Il destino ha fatto la sua apparizione. Tiene degli uomini in suo potere. Su di loro è stata pronunciata una sentenza. Il destino ha già giudicato e noi tratteniamo il respiro».

Il mistero della scomparsa

Per molti anni il luogo della morte di Saint-Exupéry è stato genericamente indicato come i “cieli del Mediterraneo”, fino a che nel 1998 a est dell’isola di Riou, non lontano da Marsiglia, il pescatore Jean Claude Bianco trova nelle sue reti un braccialetto d’argento con inciso il nome di Saint-Exupéry, quello della moglie e quello del suo editore americano. Nell’estate del 2001 nella stessa zona sono riportate in superficie alcune parti metalliche del suo aereo. Oggi sappiamo dove l’aereo di Saint-Exupéry è precipitato.

Se il “dove” è stato chiarito, ancora oggi sul “come” e sul “chi” ci sono soltanto diverse ipotesi. Inizialmente Gavoille si era fatto una sua idea sulla possibile dinamica dell’incidente. Pensava a una panne dell’ossigeno. Gli apparecchi da ricognizione volavano a quota molto elevata e poiché l’abitacolo del P38 non era pressurizzato, i piloti facevano uso dell’ossigeno. Saint-Exupéry già una volta si era dimenticato di aprire il rubinetto della bombola dell’ossigeno. Inoltre, era di corporatura possente e consumava molto più ossigeno degli altri piloti. A causa dell’esaurimento della bombola poteva quindi aver perso conoscenza e l’aereo poteva essere precipitato finendo in mare. Qualcuno aveva parlato di un possibile suicido.

Gavoille non ha mai smesso di interrogarsi e di cercare notizie sulla morte di Saint-Exupéry, pubblicando appelli su giornali e riviste. Negli anni Settanta, ormai generale in pensione, riceve uno scritto con alcune testimonianze, che fanno pensare a un possibile abbattimento da parte di un aereo tedesco. Le testimonianze parlano di quel 31 luglio 1944, di un Lightning P-38 proveniente dalla valle a nord di Biot che volava bassissimo, inseguito da due caccia tedeschi, che lascia una striscia di fumo dal motore destro e che arriva sul mare, si piega di lato e si inabissa.

Le testimonianze di persone diverse coincidono sulla data, sulla dinamica dell’evento, sul luogo e sull’ora, intorno a mezzogiorno. Inoltre, il Lightning di Saint Exupéry è l’unico scomparso quel giorno sul Mediterraneo nordoccidentale. Forse, come sostiene lo scrittore Jules Roy, Saint-Exupéry aveva deviato dal suo piano di volo abbassandosi sulla costa per rivedere i luoghi della sua infanzia.

Quanto all’autore del possibile abbattimento, anche questo resta avvolto nel mistero. Ci sono due segnalazioni in merito, ma entrambe presentano diverse incongruenze. La prima si riferisce a una lettera pubblicata sul numero 725 della rivista tedesca Der Landser, il cui presunto autore sarebbe il pilota tedesco Robert Heichele, che all’epoca aveva vent’anni e che cadde in combattimento una settimana dopo. Nella lettera racconta che il 31 luglio 1944 alle ore 11:56 lui e il sergente Hogel, a bordo di due FW-190D “naso lungo”, avrebbero abbattuto un Lightning, dopo averlo intercettato tra Le Logis e Castellane, nei pressi della Route Napoléon, che congiunge Nizza a Grenoble.

Il pilota afferma di avere visto una scia bianca che usciva dal motore destro, mentre l’aereo volava basso lungo la costa, per poi cadere in mare. Benché questa versione sembri coincidere con le testimonianze raccolte da Gavoille, la sua scarsa credibilità risiede nel fatto che in quel periodo il caccia FW-190D non era ancora entrato in servizio nella Luftwaffe. In realtà, per l’assenza di documentazione ufficiale, non è nemmeno possibile dimostrare che questo Heichele sia effettivamente esistito.

La seconda versione riguarda una dichiarazione di Horst Rippert, ex pilota della Luftwaffe con ventotto vittorie confermate. In un’intervista rilasciata nel 2006 a Jacques Pradel e Luc Vanrell, che stavano svolgendo un’inchiesta approfondita sulla morte di Saint-Exupéry, Rippert afferma che la mattina del 31 luglio 1944, a bordo di un Messerschmitt Me-109 aveva intercettato un P-38 F-5 che volava più basso di lui, e che lo avrebbe abbattuto, non avendo idea di chi fosse il pilota. I tedeschi erano ovviamente in ascolto delle frequenze radio nemiche, e appresero quindi che lo scrittore francese era dato per disperso. I piloti della squadriglia di Rippert intuirono che l’aereo abbattuto poteva essere quello scomparso, e decisero di non parlarne con nessuno.

Sempre nell’intervista del 2006 Rippert dichiarava: «Ho sperato e continuato a sperare, assurdamente, che non fosse lui. A scuola avevamo adorato tutti i suoi libri, sognato con le sue avventure nell’emisfero Sud. Come sapeva descrivere il cielo, le paure e le emozioni dei piloti! Era leggendolo che molti di noi avevano scoperto la passione di volare. Se avessi saputo che in quella carlinga era lui, giuro, non avrei sparato. Su tutti, ma non su di lui!». Solo nel 2008, a seguito del ritrovamento del relitto dell’aereo di Saint-Exupéry, avrebbe deciso di raccontare la storia. Anche in questo caso, però, non ci sono rapporti ufficiali dell’abbattimento che confermino i fatti.

Il ricordo di oggi

Antoine de Saint-Exupéry nelle sue opere ci ha lasciato brani memorabili. Ci ha ricordato che «si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». Per questo mi piace terminare con una citazione dall’ultimo capitolo de Il Piccolo Principe, lo stesso che John Phillips ha posto nell’incipit del suo volume: «Questo è per me il più bello e il più triste paesaggio del mondo. È lo stesso paesaggio della pagina precedente, ma l’ho disegnato un’altra volta perché voi lo vediate bene. È qui che il piccolo principe è apparso sulla Terra e poi è sparito. Guardate attentamente questo paesaggio per essere sicuri di riconoscerlo se un giorno farete un viaggio in Africa, nel deserto. E se vi capita di passare di là, vi supplico, non vi affrettate, fermatevi un momento sotto le stelle! E se allora un bambino vi viene incontro, se ride, se ha i capelli d’oro, se non risponde quando lo si interroga, voi indovinerete certo chi è. Ebbene, siate gentili! Non lasciatemi così triste: scrivetemi subito che è ritornato».