Editore e saggista, poeta e filosofo, socialista, dreyfusiano e cristiano: Charles Péguy sfugge a ogni tentativo di classificazione, di ruolo, di ideologia. In Charles Péguy. Amico presente, Ares, Milano 2022, pp. 256, euro 16, Giorgio Bruno offre un ritratto del poeta d’Orléans, morto a quarantun anni sul fronte occidentale: pubblichiamo qui la recensione di Cinzia Bigliosi, francesista e curatrice per Ares di Re di un’ora & altri testi inediti di Irène Némirovsky (2021, pp. 152, euro 15).

Da poche settimane è arrivato in libreria il saggio che Giorgio Bruno ha dedicato a Charles Péguy (1873-1914) per i tipi di Ares. A partire dal titolo, il libro è scritto in nome delle dichiarate simpatia e amicizia che legano Bruno all’editore, scrittore e poeta d’Orléans, la città della Pulzella del cui ideale Péguy fu indefesso testimone. Con un linguaggio immediato e mai ermetico, nella sua breve esistenza Péguy incarnò la lotta contro l’esclusione dei diseredati e dei miserabili in una Francia umiliata dall’ultima guerra vinta dai prussiani.

Rimasto orfano di padre a soli dieci anni, il piccolo Péguy portò a termine il percorso scolastico grazie a borse di studio che gli permisero di ottenere la licenza nel 1891.

Con la riforma dell’educazione pubblica del 1880, la Francia della Terza Repubblica aveva reso gratuita la scuola elementare; l’alfabetizzazione delle classi povere a livello capillare fu uno dei capisaldi d’una nazione che stava faticosamente rialzandosi dalla cocente sconfitta. Fin da piccolo Péguy si entusiasmò all’opera di Hugo e degli scrittori latini e greci.

Devoto alla morale materna fondata su lavoro, fatica e dovere quotidiani, dopo alcuni tentativi andati a vuoto entrò alla Scuola Normale: «Io ho sempre preso tutto sul serio e questo mi ha portato lontano».

Durante la battaglia per i minatori abbracciò il socialismo allontanandosi così dal cattolicesimo i cui organi di stampa, a suo dire, si erano schierati dalla parte del padrone. «La conversione dei giovani al socialismo è un avvenimento capitale […] importante quanto la Rivoluzione francese o la rivoluzione cristiana».

Fonda il “Circolo di studi e propaganda socialista” con sede nella stanza dove alloggia e sulla cui porta qualcuno scrive a caratteri cubitali la parola Utopia. Dopo aver abbandonato la Normale per dedicarsi a tempo pieno alla lotta politica, apre la libreria socialista Georges Bellais. Negli stessi anni partecipa all’affaire Dreyfus difendendo a spada tratta l’innocenza dell’ufficiale ebreo. La libreria diventa presto il punto di riferimento dei dreyfusardi del Quartiere Latino e fulcro di manifestazioni e proteste.

Nel luglio del 1898 Péguy viene arrestato e rilasciato subito dopo per aver aggredito un agente. Nel corso degli anni il pensiero politico di Péguy si radica sempre più nella necessità di realizzare nella pratica l’ideale di difesa dei più poveri, degli abitanti dei quartieri più malfamati di Parigi, gli stessi che pochi anni prima erano stati illuminati dai versi strazianti di Charles Baudelaire: «La miseria non rende solamente i miserabili infelici» ma anche «cattivi, abbruttiti, deboli. […] La miseria economica è un impedimento al miglioramento morale e mentale» e questo avrebbe dovuto essere ben presente all’ideale socialista. Così la speranza diventa il tema dominante di tutto il pensiero di Péguy («vede quello che non è ancora e che sarà / ama quello che non è ancora e che sarà»), consapevole che la sola possibilità di riscatto sia la costruzione di una cité harmonieuse, dove nessuno è escluso: «Noi non ammettiamo che ci siano uomini respinti dalle porte delle città». Se anche un solo uomo è escluso, tutta l’umanità sarà dannata, ed è in questo fondamentale passaggio che il pensiero di Péguy si fa esso stesso religione.

Il forte esempio di Giovanna d’Arco

Nel momento in cui si sente più lontano dal cristianesimo Péguy sceglie santa Giovanna d’Arco come eroina socialista e le dedica versi memorabili: «A tutte quelle e a tutti quelli che saranno morti / della loro morte umana / per cercare di portare rimedio al male universale umano». Per essere veramente rivoluzionari alle idee servono i corpi e il modo con il quale Péguy cercherà di rivoluzionare il mondo sarà la fondazione dei Cahiers de la Quinzaine che troverà sede definitiva al numero 8 di rue de la Sorbonne e che lo scrittore dirigerà fino al momento della morte. L’ideale di Péguy diventa quello di costruire «una società naturalmente libera di ogni libertà, una specie di famiglia di spiriti, non un gruppo […], ma la cosa più bella del mondo, un’amicizia, e una città».

Lo spirito indipendente della rivista diretta in nome della totale libertà di parola ed espressione entra presto in conflitto con la sinistra, «il partito intellettuale moderno», secondo la stessa definizione dell’editore, che lo ostacolerà in ogni modo. Per non perdere mai di vista il popolo da difendere e da rappresentare è necessario, ricorda Giorgio Bruno, «lavorare, amare, parlare, discutere, litigare, costruire un’opera con passione».

Così, i Cahiers si fanno presto portavoce di un’opposizione ai diktat dell’intellighenzia, «davanti al male, alla guerra e alla morte del mondo, io rifiuto l’ascolto all’incantatore»

Nel 1898 alla Normale Péguy aveva seguito le lezioni di Henry Bergson che nel tempo avrebbe eletto a padre putativo e al quale si sarebbe votato, come lo stesso Péguy ebbe a ricordare, con una «fedeltà filiale».

La rottura con Jaurès

Prima di partire per il fronte, ai primi di agosto 1914, Péguy salutò il maestro, un mese dopo l’allievo sarebbe caduto in battaglia. Nel futuro premio Nobel Péguy aveva trovato un compagno nella lotta all’intellettualismo che tendeva a schematizzare in modo astratto la visione del reale. «Pensatore religioso tra ebraismo e cristianesimo», Bergson aveva posto le basi per leggere finalmente la realtà come un discorso infinito, da esprimere esaurientemente, senza abbandonarsi alle idee preconcette tanto aborrite da Péguy.

Un’idea è e potrà essere moderna solamente qualora nasca dal sentire più profondo dell’uomo, altrimenti sarà solamente conforme al comune senso morale di una società volta al conformismo. «È una questione di natura o di artificio» come Péguy pensa la propria vita vivendola nel proprio pensiero. Su queste basi si consumerà la dolorosa rottura con Jean Jaurès con il quale Péguy aveva condiviso anni di militanza e pensiero. Jaurès aveva coraggiosamente denunciato il massacro degli Armeni e si era schierato dalla parte di Dreyfuss, ma, nel momento della riabilitazione dell’ufficiale, Péguy legge preoccupato i primi segnali della decomposizione del pensiero socialista, troppo condiscendente con le concessioni degli antidreyfusardi: il progetto ideologico ha iniziato a dimenticare gli uomini insieme al loro dolore.

Péguy si allontana dal pensiero ufficiale per ritrovarsi solo. Essere socialista non può necessariamente significare l’adesione all’ottimismo di Jaurès sempre più distante dalle ferite e dai soprusi, al contrario per Péguy continua a significare opporsi all’infelicità del genere umano, dei derelitti e degli abbandonati della terra, conservare l’umanità e la pluralità di tutte le voci. Ed è nel mito greco che Péguy ritrova l’uomo, in colui che prima fu re e che, attraverso il mistero del dolore, acquisì “la dignità del supplice”.

Grazie al dramma di Edipo, attraverso la grandezza del suo umano soffrire, Péguy comincia a sentire di nuovo prossima la supplica cristiana.

Ritorno al cattolicesimo

Tra il 1906 e il 1907 i Cahiers pubblicano Situations dove lo scrittore punta il dito sulla civiltà moderna, rea di aver abbandonato il cristianesimo, rinunciando alla profondità a favore della superficialità: una società che dopo essersi data il nome di moderna ha perso di vista l’uomo, avvilendolo in ogni sua espressione.

Nella parabola di Péguy, nella sua riscoperta del cattolicesimo vi è la storia stessa dell’uomo che torna a Dio solamente sotto il peso della croce e dell’impotenza. Sono i Getsemani a rendere definitivamente umano Gesù, assoluta la sua incarnazione sulla terra. È nella solitudine di un pensiero cristallino accompagnato sempre dalla pratica della misericordia e dell’amore per l’altro che Péguy torna finalmente nelle braccia di Dio, con i piedi nel fango della trincea e il pensiero rivolto al bene e alla libertà dell’uomo.