La Legenda aurea racconta che san Gregorio Magno offrì una cena a dodici pellegrini e scoprì con stupore che uno di loro era Gesù in persona che lo ringraziava. Tanto bastò a Paolo Veronese per allestire su un enorme telero (468 x 861 cm) la cena di san Gregorio nell’ambiente magnifico e scenografico di un loggiato palladiano. Era il 1572. Il dipinto era destinato ai Servi di Maria del visitatissimo santuario di Monte Berico in Vicenza e delle famose cene del Caliari, detiene il primato di essere l’unica conservata ancora nella sua collocazione originaria. Non senza avventure e travagli, però. Nel 1811 fu rimossa nel corso delle spoliazioni napoleoniche e inviata a Milano per arricchire la Pinacoteca di Brera. Ritornò a Vicenza nel 1817. Nella Prima guerra d’indipendenza, nel 1848, il convento fu saccheggiato dagli austriaci e la tela lacerata in ben trentadue pezzi, in seguito ricomposta per volontà dell’imperatore Francesco Giuseppe.

Il progetto “Restituzioni”

Nel 2019 inizia un accuratissimo restauro preceduto da studi scientifici e stilistici, che termina ora. A finanziare il progetto è stata Intesa Sanpaolo nell’àmbito di Restituzioni, un programma biennale di restauri di opere d’arte appartenenti al patrimonio del Paese, svolto in coordinamento con le sovrintendenze e curato da nomi come Fernando Rigon, Carlo Bertelli, Giorgio Bonsanti e Carla Di Francesco.
Questa di Monte Berico appartiene alla categoria di Restituzioni monumentali. Per fare alcuni esempi, negli anni scorsi sono state restaurate la Casa del Manzoni a Milano, le vetrate del Duomo di Firenze, la Chiesa di San Masseo ad Assisi, l’Abbazia di Chiaravalle o la Torre civica di Bassano del Grappa.
Ma oltre a queste grandi opere, Restituzioni sviluppa un programma biennale di restauri di opere conservate in musei, chiese o palazzi, ovvero luoghi dalla fruizione aperta a tutti. La prima edizione si tenne nel 1989, questa è la XIX e consta di duecento opere restaurate, che vanno da reperti archeologici antichissimi fino a opere quasi contemporanee. La presente edizione include anche un dipinto di Vittore Carpaccio conservato al Museo Jacquemart-André di Parigi e un altro pezzo proveniente dal Brasile: un affresco pompeiano gravemente danneggiato dall’incendio che nel 2018 ha devastato il Museu Nacional di Rio de Janeiro.
Una mostra curiosa
La XIX edizione di Restituzioni si chiude con la mostra La Fragilità e la Forza. Antonello da Messina, Bellini, Carpaccio, Giulio Romano, Boccioni, Manet. 200 capolavori restaurati, nelle Gallerie d’Italia di Napoli (catalogo Edizioni Gallerie d’Italia / Skira).
Oltre ai grandi nomi accennati nel titolo e altri capolavori, ci sono in mostra opere che potremmo definire “divertenti”, o perlomeno singolari. E mi soffermo su queste perché dichiarano l’imparzialità delle scelte. Curiosi e inattesi sono i mosaici con tre busti maschili di epoca costantiniana, provenienti da Aquileia, che raffigurano atleti famosi dell’epoca, come i nostri calciatori oggi. Buffi i capelli raccolti in una treccia arrotolata in tre ordini sul capo o, in un altro, acconciati nel cirrus, il ciuffo portato dagli atleti sulla sommità del capo.
Di Francesco Londonio sono le numerose figure di presepe dipinte in torno al 1770 e presumibilmente destinate a una delle dimore di Giacomo Mellerio a Milano. Si tratta di figure sagomate in cartone dipinto di grande effetto plastico. Il Londonio, scenografo alla Scala, rese popolare questo stile dal quale derivano i moderni presepi di carta. Oggi si trovano al Museo Diocesano di Milano.

L’eredità spagnola

Di provenienza spagnola è probabilmente la statuetta di un Gesù Bambino assopito mentre siede su un trono, la testa appoggiata alla mano destra e il globo nella sinistra mentre posa il piede su un teschio. Lo si data alla fine del Cinquecento ed è conservato nella chiesa di Sant’Agostino a Cagliari.
Il bellissimo, commovente dipinto di Cesare Fracanzano, Cristo legato alla colonna assistito da angeli, del 1635 circa, è anch’esso di ispirazione spagnola. Nell’àmbito della meditazione della passione di Cristo, massicciamente consigliata e praticata in Spagna, si faceva attenzione a quel momento doloroso quando Gesù, terminata la flagellazione, si trascina da solo in cerca delle sue vesti, tutto coperto di sangue. Esempi di alto profilo sono i dipinti di Zurbarán e di Alonso Cano. Qui l’artista presenta un’invenzione ancor più toccante: Gesù, distrutto, accetta la consolazione di tre angeli in quel momento di solitudine e sofferenza. La tela è conservata a Napoli, nella quadreria dei Girolamini.
E troviamo anche il mantello, lo scettro, la corona e altri simboli con i quali Napoleone fu incoronato a Milano nel 1805. Committente e ideatore di questa scenografia personale fu lo stesso Bonaparte e tutto venne prodotto a Parigi. Oggi appartengono alla Pinacoteca di Brera, in deposito al Museo del Risorgimento. Un fasto che oggi sorprende e quasi ripugna, progettato per trasformare un uomo in un mito.