Annie Ernaux (1940) è cresciuta a Yvetot, un paesino della Normandia. È nata in una famiglia di operai, ma i suoi genitori alla fine sono giunti a gestire un negozio di alimentari. Ha studiato nelle università di Rouen e poi di Bordeaux e ha conseguito una laurea in Lettere moderne (1971) e l’abilitazione all’insegnamento, lavorando poi come professoressa di lettere. Nel 1984, ha vinto il prestigioso Premio Renaudot per il suo romanzo autobiografico La Place (Il Posto, traduzione di Lorenzo Flabbi, L’Orma, Roma 2014, pp. 114) che è incentrato sul suo rapporto con il padre. Annie cresce in una piccola città di provincia, poi successivamente, giunta all’età adulta, si allontana per motivi professionali dal luogo di origine dei genitori. Il libro pone in contrasto la semplicità delle origini e dell’estrazione sociale dei genitori con il successo professionale che rappresenta per lei l’ottenimento di un posto (da qui il titolo) stabile come insegnante statale. Viene percorsa tutta la traiettoria sociale del padre, ne vengono narrati i gusti e i fatti, nella loro nuda realtà. Allo stesso tempo, l’autrice mette in luce la frattura che nel corso degli anni si va aprendo tra lei e il padre, mentre invece sente più vicina a sé la madre. Al padre, l’autrice rimprovera implicitamente, ma senza giudicarlo, il fatto che non desideri elevarsi al di sopra della propria posizione sociale. Questa frattura è effettivamente il motore del libro, ed è presentata senza sentimentalismi, senza emozioni apparenti: essa si accompagna al desiderio della scrittrice di rappresentare la situazione nella quale si ritrovano tutte le persone giovani provenienti da ceti popolari – ceti che spesso non hanno accesso al mondo dell’istruzione – e che, nonostante ciò, hanno avuto la fortuna di poter studiare e di raggiungere posti di responsabilità. Tutti i testi di Ernaux hanno questa dimensione autobiografica e la stessa sobrietà stilistica: sembrano quasi semplici raccolte di appunti. Con umiltà, la scrittrice si ritiene una donna assolutamente ordinaria che narra nei suoi libri vicende che capitano a tutti e che in qualche modo sono tipiche della condizione femminile. La scrittura, secondo Ernaux, non deve lasciare spazio all’immaginazione, bensì deve riferire in maniera scarna gli eventi conservati dalla memoria. Il mondo degli umiliati e degli offesi entra di nuovo nella letteratura.

Senz’altro la scelta di vita di Annie Ernaux è stata in chiave antiborghese, lei stessa riconosce però nel suo romanzo Il posto di essersi vergognata dei propri genitori, delle loro umili situazioni e cultura, nel momento in cui è giunta a stabilizzarsi in una situazione professionale borghese. Tuttavia, il libro è anche un vibrante omaggio alla figura del padre.

Nel libro del 1983 Une femme (Una donna, traduzione di Lorenzo Flabbi, L’Orma, 2018, pp. 99) la scarna narrazione riferisce che lunedì 7 aprile 1896 la madre di Annie è mancata in una casa di riposo. In tre anni, una malattia cerebrale che distrugge la memoria l’aveva portata al decadimento fisico e intellettuale. Profondamente colpita da questo evento, che non aveva previsto, Ernaux si è sforzata di ritrovare i diversi volti della vita di quella che era l’immagine stessa della forza e dell’apertura al mondo. Donna severa e profondamente cattolica, la madre aveva suscitato scandalo nell’ambiente familiare modesto da cui proveniva accettando di sposare un operaio e di svolgere con lui una “banale” attività commerciale. La famiglia della ragazza avrebbe voluto un matrimonio che ne migliorasse la condizione sociale. La madre della Ernaux si era rivelata un supporto indispensabile per il marito e un’educatrice eccezionale per la figlia. Grande lettrice, era stata proprio lei a instradare Annie allo studio della letteratura. L’autrice prova verso l’anziana madre malata sentimenti ambivalenti di amore e odio, di colpa, tenerezza e fastidio, affetto viscerale e rispetto silenzioso.

I due romanzi, forse i migliori di Ernaux, si completano a vicenda.

L’autobiografia del 2008 Les Années (Gli anni, traduzione di Lorenzo Flabbi, L’Orma, 2015, pp. 276) non ancora tradotta in italiano, con il quale ha vinto il premio europeo Strega nel 2016 comincia con alcune pagine struggenti (dove vengono menzionati tra tante altre cose e persone, Alida Valli, il Convento dei Cappuccini di Palermo, Padova, la stazione Termini a Roma): l’autrice scrive che tutto ciò che è stato, tutte le immagini belle, un giorno spariranno. Tutte le parole pronunciate o scritte svaniranno. Nella parte iniziale l’autrice parla della Prima Comunione, e del fatto che da piccola per lei era la religione cattolica a costituire il principale quadro di riferimento, anche a livello cronologico. Ricorda anche i programmi di studio che ha seguito a scuola e di tanti altri eventi della sua infanzia. Qui tuttavia lo stile appare ancora meno costruito rispetto a quello dei primi due romanzi. A volte c’è un trattino a introdurre una lista di cose, senza commento. Anche questo libro vuole essere un’autobiografia collettiva, cioè lo specchio fedele di un’epoca in cui tante altre ragazze hanno vissuto come lei la Liberazione, la Questione algerina, la politica del generale de Gaulle, l’emancipazione femminile, la politica di Mitterand, ma anche l’eccessiva presenza del consumismo, la tentazione del conformismo, l’avvento di internet, l’11 settembre 2001.

I riferimenti alla vita sessuale delle ragazze dell’epoca sono espliciti – qualche lettore delicato li giudicherà volgari e poco opportuni. Va detto però che Ernaux prende questa strada esplicitamente contraria al cristianesimo soltanto nella seconda parte della sua opera, dal 1990 in poi, perché effettivamente è nel momento in cui ha abbandonato l’infanzia e i genitori che si è fatta una vita diversa dalla loro; ma inizialmente tali tematiche non erano esplicitamente narrate nei suoi romanzi. La sua ribellione verso la buona vita proposta dal catechismo che aveva seguito in gioventù è iniziata in realtà già negli anni Sessanta, e si è andata rafforzando quando è stata lasciata dal marito (con il quale aveva avuto due figli) nel 1980, ma lei ne ha parlato esplicitamente soltanto dal 1992 in avanti. Impietoso, per esempio, nella biografia Les Années, è anche il giudizio su Giovanni Paolo II (alle pp. 161-162 del testo francese originale: Gallimard / Folio, 2008). L’autrice difende a spada tratta il diritto delle donne alla contraccezione e all’aborto (Ivi, p. 126).

Il libro Gli anni è tuttavia veramente notevole (simpaticissime le pagine 60-69 in cui racconta di come ragazzi e ragazze iniziavano timidamente a frequentarsi, e di come una donna che imparava a guidare la propria auto si sentiva finalmente emancipata), soprattutto nelle ultime pagine, quando parla dei segni della vecchiaia: l’autrice ha 66 anni e si sente rallentare, mentre intorno il mondo accelera. Lei inizia a sentirsi immobile, mentre intorno tutto corre.

La questione dell’aborto è stata messa a tema dall’autrice nel romanzo L’Événement (L’evento, traduzione di Lorenzo Flabbi, L’Orma, 2019, pp. 128) dal quale è stato tratto un film di Audré Diwan nel 2021 che ha vinto il Leone d’oro a Venezia nella 78ª mostra del cinema, nel settembre 2021. Questo evento del 1963 è stato narrato dall’autrice nel 2000, nell’omonimo romanzo: lei, che era una brillante studentessa di Lettere, in un momento di profonda crisi concepì un figlio con un suo compagno di corso. Con molte difficoltà, riuscì ad abortire in maniera clandestina. Certamente, come lei stessa riferisce, in queste vicende ha sperimentato profondi momenti di vergogna, di turbamento, di indicibile dolore.

Ernaux afferma di essere stata molto influenzata, nella seconda metà degli anni Sessanta, dalla lettura di un importante sociologo marxista francese, Pierre Bourdieu. Ed effettivamente alcuni temi di Il posto e Una donna sono “bourdieusiani”: quelli di genetica sociale, di riproduzione dei rapporti di classe, dell’importanza dell’apprendimento nella vita di un individuo. L’autrice è intervenuta varie volte nel dibattito pubblico francese negli anni Duemila: per esempio, nel 2012 per sostenere la candidatura comunista di Jean-Luc Mélenchon alla presidenza della repubblica; nel 2018, per criticare le iniziative culturali tra Francia e Israele, che secondo l’autrice servono soltanto a dare prestigio al governo israeliano, a scapito del popolo palestinese; di nuovo nel 2018, per sostenere il movimento dei “Gilet gialli”; nel 2020 per criticare a fondo la politica del presidente Macron, che a suo dire taglia le spese per la Sanità e persegue soltanto obiettivi di natura finanziaria.

Innumerevoli i premi ricevuti questi ultimi anni dall’autrice: soltanto in Italia, oltre al premio Strega europeo, ha ricevuto il Premio “Ernest Hemingway” di Lignano Sabbiadoro per l’insieme della sua opera nel 2018; e il premio Gregor Von Rezzori per il suo romanzo Una donna nel 2019. I suoi detrattori – forse il più conosciuto tra di loro è il romanziere e saggista Benoit Duteurtre (1960) – sostengono che da un lato le sue posizioni relative alle tematiche politiche e sociali sono sempre a senso unico, dall’altro che la sua opera è troppo autobiografica. Nel frattempo, molte opere di Ernaux sono state adattate per il teatro, e si sono già svolti su di lei alcuni convegni in Francia. È più che legittimo nutrire seri dubbi su alcune scelte personali dell’autrice e su alcune sue dichiarazioni relative a temi etici di grande attualità. Non si può però non ammirarne il coraggio civile nel suo schierarsi a fianco degli ultimi e degli oppressi, né si possono disprezzare le sue critiche intelligenti alla politica dell’attuale presidente francese. Difficilmente si può non elogiare la sua scrittura moderna e duttile. Per cui ben a ragione l’Accademia di Stoccolma ha assegnato il premio Nobel ad Annie Ernaux «per il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale». «Nella sua scrittura, Ernaux in modo coerente e da diverse angolazioni, esamina una vita segnata da forti disparità di genere, lingua e classe».