Che cosa ti ha convinto a scrivere una nuova biografia di Thomas More, dopo le tante già pubblicate? Tutto è cominciato da alcune conversazioni con Gerard Wegemer, grazie alle quali mi sono accorto che i primi biografi di Thomas More non sono d’accordo su aspetti fondamentali della sua vita1. Non si può fare affidamento completo su nessuno di loro: tutto va poi confrontato con gli scritti di More stesso. Ovviamente gli studiosi più recenti hanno ponderato bene tutti questi aspetti e il mio libro può essere considerato semplicemente un nuovo contributo. Il mio intento è quello di fare chiarezza sulle scelte giovanili che hanno segnato la sua vita.

In sintesi, che cosa hai scoperto? La scoperta principale che ho fatto è che Thomas More ha scelto sia la vita attiva di chi intende servire la società sia la vita contemplativa propria di un fedele cristiano. Nel contempo, nel corso della mia ricerca ho fatto esperienza del grande senso dell’umorismo di More e ho riscoperto la finezza del poeta e del grande giurista. More scriveva soprattutto in latino, aveva imparato il greco e possedeva una profonda conoscenza dei classici. Conosceva inoltre gli autori inglesi di spiritualità e aveva una grande familiarità con i Padri della Chiesa, in particolare sant’Agostino e san Giovanni Crisostomo. Studiando Thomas More, appare evidente il suo grande amore per la prima e per la seconda moglie, per i suoi genitori e per i suoi figli. Sapeva anche essere un buon amico e aveva molti amici, come John Fisher, William Grocyn, Thomas Linacre, Erasmo da Rotterdam, Juan Luis Vives, Antonio Bonvisi, Frans van Cranevelt, tra tantissimi altri.

Nel titolo del tuo libro usi la parola “vocazione”: che cosa intendi di preciso con questa parola? In un primo momento sono stato riluttante a usare questa parola, perché More non l’ha mai usata. Il titolo provvisorio era Le scelte giovanili di Thomas More. Tuttavia, mentre il mio studio progrediva mi sono trovato a considerare come queste scelte iniziali influenzarono la sua vita intera. Fu il mio caro amico professor Dominic Baker-Smith (1937-2016), dopo aver letto per ben due volte la prima bozza del libro, a scrivere a matita, con la sua precisa grafia, questo titolo sulla prima pagina del manoscritto.

More conosceva bene il De officiis di Cicerone, che usa invece la parola o suoi sinonimi quando dice che «un uomo persegue un compito personale» o «decide sulla chiamata della sua vita». Cicerone afferma che spesso una persona decide o realizza la sua chiamata nella giovinezza e, nella misura in cui rimane coerente con questa chiamata lungo la vita, è virtuoso e possiede «integrità» (Thomas More è il creatore del neologismo inglese integrity). Nella mia ricerca ho appurato che More nella giovinezza ha gettato le basi della sua vita spirituale, che l’ha poi portato a perseguire un modo cristiano di vivere l’intera vita, nel matrimonio e attraverso il suo lavoro prima di avvocato e poi al servizio della Città di Londra e della Corona. L’idea di vocazione emerge lungo tutto lo studio. More condivideva con Erasmo e altri umanisti il progetto di ridare vita alla Cristianità attraverso lo studio dei testi originali della Scrittura, dei Padri della Chiesa e dei classici. Si trovò ad affrontare il dilemma degli umanisti del suo tempo, se cioè seguire una vita dedicata allo studio e alla ricerca della sapienza in quanto tale, come fecero Pico della Mirandola e Raffaele Itlodeo, l’immaginario narratore di Utopia, oppure una vita attiva di coinvolgimento negli affari del mondo, come propone Cicerone. More scelse la vita attiva di umanista al servizio della società, ma prima la vita contemplativa del cristiano; trovò nelle Omelie sul Vangelo di san Matteo di san Giovanni Crisostomo una conferma che l’insegnamento di Cristo si deve praticare nel matrimonio, nella piazza del mercato e nella città (vale a dire sia nella polis sia nell’agorà).

Ho accennato al concetto di vocazione in Cicerone, ma naturalmente per un cristiano la vocazione è una chiamata da Dio che richiede una risposta, e la chiamata, così come la forza di rispondere, sono una grazia. E se Cicerone parlava di integrità e di perseveranza, per More la risposta all’amore di Dio lungo la sua vita intera era fedeltà alla propria vocazione. Aveva la mente rivolta al Cielo, e per questo motivo l’ultimo capitolo del libro riguarda la sua visione della vita come un pellegrinaggio verso la vita dell’aldilà. La vocazione implica, come pure sottolinea Cicerone, una libera scelta, perché la consapevolezza di una chiamata non cancella la volontà personale di chi l’ascolta. Al contrario, l’amore implica la libertà. In una poesia giovanile Thomas More raccomanda di «rivolgere il proprio amore verso Dio», e di «amarlo quindi con tutto ciò che ti ha donato / Perché il corpo, l’anima, l’ingegno, l’astuzia, la mente e il pensiero / Egli non condividerà in alcun modo, ma avrà tutto o niente»2.

La decisione iniziale di seguire la propria vocazione presuppone una certa conoscenza della strada intrapresa. More apprezzò la vocazione laicale e la sua scelta iniziale faceva intravedere il desiderio di cercare la santità da persona sposata e al servizio della società. In seguito si trovò a dover affrontare diverse situazioni, per esempio quando dovette decidere se risposarsi, dopo la morte assai prematura della sua prima moglie. Ma quando il Re decise di separarsi dalla Chiesa, More pensò di non avere scelta, proprio perché aveva già rivolto il suo amore a Dio, anche se questo implicava il martirio. Come ebbe modo di scrivere, «ci sono casi in cui un uomo può perdere la testa senza subire danno». In effetti, More non scelse di essere martire ma ricevette la grazia del martirio perché aveva cercato l’amore di Dio lungo tutta la sua vita.

Marito e padre

Spostando il discorso su un altro aspetto, pensi che Thomas More abbia qualcosa da dire anche ai genitori del XXI secolo? Questa domanda mi sorprende e mi rallegra, perché la mia ricerca accademica è centrata su che cosa possiamo accertare sulla vita di More, non su quello che possiamo imparare da lui: ho cercato di mantenere l’approccio dello storico, non quello dell’insegnante. Tuttavia sono molto grato della domanda, perché senz’altro possiamo imparare molto da lui. Sul punto specifico che domandi, cioè su che cosa possano imparare i genitori di oggi, direi innanzitutto che Thomas More aveva una visione molto positiva del matrimonio e della famiglia numerosa. Sposò Jane Colt intorno al gennaio del 1505 e rimase vedovo nel 1511. In quegli anni ella lo rese «padre di un figlio e tre figlie». Nel suo poema su «Come scegliere moglie» scrive: «Che sia feconda e arricchisca di dolci figli la tua splendida genealogia. Tuo padre ha fatto lo stesso per te». In Utopia loda coloro che scelgono il matrimonio per motivi religiosi, considerando di «dovere figli al proprio Paese». Inoltre, al suo amico Frans van Cranevelt, More offre «sentite congratulazioni perché la tua famiglia si è arricchita di una creatura, e lo faccio non solo pensando a te ma anche da parte di tutta la società, per la quale è essenziale che i genitori possano accrescerla con la più numerosa progenie, poiché solo da te può nascere il meglio». More scrisse molto sulla santità del matrimonio nei suoi libri in difesa dell’ortodossia. Non si può non ricordare, a proposito, che egli rifiutò di approvare l’Atto di Successione perché esso riteneva invalido il matrimonio del re Enrico VIII con la Regina Caterina, della cui validità Moro era stato un attivo sostenitore. More fu giustiziato perché difendeva l’unità della Chiesa e la validità del matrimonio. Nel suo ultimo discorso durante il processo (seguendo il manoscritto 1231 del Guildhall Report) egli si dichiarò:

Un costante oppositore di sua Maestà a proposito del suo secondo matrimonio, sul quale non ho da aggiungere nient’altro che quanto ho già detto e cioè che qualunque cosa io dica a proposito, lo dico seguendo l’urgenza della mia coscienza. Perché non mi è mai convenuto né ho mai voluto nascondere la verità al mio principe. Se l’avessi fatto, gli sarei stato nemico e non fedele servitore.

Penso che i genitori siano chiamati oggi a essere attivi difensori della natura del matrimonio nella legislazione e nei media del loro Paese. E ritengo che il primo punto da sottolineare oggi parlando di quanto Thomas More ha detto sul matrimonio è la sua santità e la sua apertura alla vita. Com’è noto, More fu molto attento anche all’educazione dei suoi figli ai quali scriveva molto spesso, esigendo che gli rispondessero anche per esercitarsi nell’uso della lingua. Li fece seguire da precettori, ai quali diceva di essere più interessato a che i suoi figli crescessero nelle virtù che nell’erudizione. Li definiva «la sua scuola», includendo non solo i suoi quattro figli, ma anche Alice, la figlia della sua seconda moglie e le sue due figlie adottive, Margaret Giggs e Anne Cresacre. Il giovane John Clement, che era un po’ più grande degli altri, fu invitato a far parte del gruppo come precettore di latino. Margaret Giggs sposò John Clement e Anne Cresacre sposò John, il figlio di Thomas More. Tutti gli volevano un gran bene, e lui a volte si rivolgeva a loro come «la sua scuola», altre volte scriveva alle sue tre figlie e a Margaret Giggs «ugualmente cara», «che conto tra i miei figli».

È forse meno noto il suo amore per entrambe le mogli. Poco dopo aver sposato Jane, scrisse di lei che era la migliore delle mogli e in generale nei suoi scritti faceva menzione di essere sposato. Ancora nel poema su come scegliere moglie scrive:

Sarai felice di lasciare la compagnia degli uomini e di cercare riposo accanto alla tua buona moglie… Sarai lieto di trascorrere giorno e notte in gradevole e intelligente conversazione, ascoltando le dolci parole che fluiscono in modo affascinante delle sue labbra di miele. Con i suoi commenti ella ti modererà se mai un successo ti desse alla testa e ti conforterà se una pesante tristezza ti abbatterà. Quando parla è difficile scegliere tra la sua perfetta capacità di espressione e la sua profonda comprensione di ogni genere di affari… Che mia moglie smetta di amarmi se non ti sto dicendo la verità, amico mio.

Poco dopo essersi dimesso dalla carica di Lord Cancelliere, More scrisse un epitaffio, perché venisse inciso sulla lapide della tomba dov’era sepolta la sua prima moglie e dove prevedeva di essere sepolto lui stesso con la seconda moglie. Gli ultimi versi dell’epitaffio hanno il caratteristico umorismo moreano: “Non so decidere se amavo più l’una allora o amo l’altra adesso. / Oh quanto felicemente avremmo potuto vivere tutti e tre insieme / se il destino e la religione lo avessero permesso. / La tomba ci unirà comunque, e prego che anche il Cielo ci unisca. / Così la morte darà ciò che la vita non ha potuto dare”.

Evidentemente questi versi possono essere applicati anche al Re Enrico VIII, al quale non era consentito di avere due mogli in terra nello stesso momento.

Quali opere di More raccomanderesti? Il più bel libro di Thomas More è l’Agonia di Cristo, scritto mentre era imprigionato nella Torre di Londra. Il suo titolo latino completo è De tristitia tedio pavore et oratione Christi ante captionem eius. Ho saputo con piacere che le Edizioni Ares l’hanno appena ripubblicato con il titolo Nell’orto degli Ulivi.

E quale biografia antica suggerisci di leggere? The Life of Sir Thomas More di Thomas Stapleton. È la fonte di gran parte delle lettere personali di More, fu scritta in latino nel 1588 e si basa sulle testimonianza della cerchia ristretta di amici e familiari che andarono in esilio nei Paesi Bassi, tra i quali John Clement e sua moglie Margaret Giggs, il segretario di More, John Harris, e sua moglie Dorothy Coly, che era stata la domestica della figlia primogenita di More, Margaret. La prima traduzione di questo libro fu in francese.

E una biografia recente? La più breve e bella introduzione è Thomas More di James McConica, pubblicata nel 1977 e disponibile anche in spagnolo. McConica coglie bene la vocazione di Thomas More, come si vede fin dal titolo del primo capitolo, “Chiamato al servizio della Cristianità”. Una biografia recente che raccomando è quella di Joanne Paul, Thomas More (Classic Thinkers), pubblicata nel 2017 da Polity Press, Cambridge.

1 Sul tema si può leggere in italiano F. Mitjans, La data di nascita di Thomas More, “Morìa – Rivista semestrale di studi moreani”, 9 (2016), pp. 43-54, che è una versione sintetica di due articoli pubblicati in inglese da Mitjans, The Date of Birth of Thomas More, “Moreana”, 47/181-182 (dicembre 2010), pp. 109-128 e Reviewing and Correcting the Article on the Date of Birth of Thomas More, ivi, 49/189-190 (dicembre 2012), pp. 251-262.

2 Thomas More, The Twelve Properties of a Lover: «Love Him therefore with all the He thee gave / For body, soul, wit, cunning, mind and thought, / Part will He none but either all or naught».