Il Real Madrid è stato qualcosa di unico quest’anno. Eppure, nelle consuete “griglie di partenza” che giornalisti e dintorni stilano a inizio stagione (e che lasciano il tempo che trovano), il Madrid non era stato messo tra le favorite, e non a torto: questo sembrava il classico anno di transizione, con il secondo ritorno – dopo quello in corsa di due anni fa di Zinedine Zidane – di Carlo Ancelotti, una sessione di mercato senza particolari acuti, alcune perdite sanguinose in termini di carisma (vedi la voce Sergio Ramos), un centrocampo di vecchie glorie ormai “in prepensionamento” (Casemiro, Luka Modrić, Tony Kroos) e qualche giovane di belle speranze ma ancora acerbo, come Rodrygo (2001) ed Eduardo Camavinga (2002). Molti hanno storto il naso quando nell’estate del 2021 Florentino Perez, presidente del Real, ha richiamato sulla panchina del blancos quell’Ancelotti che fu il condottiero della conquista della décima nel 2013-2014. L’allenatore di Reggiolo, infatti, veniva da due esperienze semi fallimentari che gli avevano fatto guadagnare in modo frettoloso l’etichetta di allenatore “finito”: la prima al Napoli, conclusasi con l’esonero nel dicembre 2019, e la seconda alla guida dell’Everton in Premier League, senza infamia e senza lode.

Insomma, i favoriti quest’anno erano decisamente altri: il Paris Saint Germain e il Manchester City, forti della solita campagna acquisti estiva da milioni di euro, il Chelsea campione in carica, il Bayern di Monaco e il Liverpool. Eppure, incredibilmente, il Real Madrid nel suo cammino europeo in Champions li ha fatti fuori tutti, escluso il Bayern, eliminato a sorpresa dal Villareal ai quarti di finale.

C’è un momento che ha accomunato i tre scontri con il Psg (ottavi), Chelsea (quarti) e City (semifinale): a un certo punto il Real Madrid sembrava spacciato. Al minuto 76 della gara di ritorno degli ottavi di finale contro il Psg in vantaggio 1 a 0; al minuto 80 del ritorno dei quarti di finale contro il Chelsea, sotto 3 a zero; al minuto 90 della semifinale di ritorno contro il City sopra 1 a zero (non credo di dire falsità se il doppio confronto con il City è stato forse tra le più belle partite degli ultimi anni).

Nel segno di Karim

Guardare le partite in Champions del Real quest’anno è stata un’esperienza molto simile a un fenomeno mistico. Tutte le volte che il funerale del Real stava ormai per cominciare, c’è stato un episodio, una giocata che ha indicato alla dea bendata verso chi elargire le sue fortune. L’uomo simbolo di questa esperienza trascendente è senza dubbio Karim Benzema, giocatore che incarna più di ogni altro lo spirito del Madrid negli ultimi dieci anni. A 36 anni, ha vissuto una delle sue migliori stagioni da professionista, siglando 15 goal in questa edizione della Champions, di cui dieci solo nella fase a eliminazione diretta e con due triplette. Un vero e proprio mattatore. Difficile dire quale sia il più bello o il più decisivo dei goal fatti dall’attaccante francese. A mio personale gusto, scelgo il goal del 3 a 1 nella gara di ritorno contro il Psg.

La situazione al 60° per il Real è drammatica, sta perdendo 1 a 0 e deve fare almeno due goal per poter andare ai tempi supplementari, poiché ha perso 1 a 0 la gara di andata: fino a quel momento però il predominio parigino è stato netto. Eppure, nel giro di poco più di dieci minuti Benzema segna due volte: al 61° sfrutta un errore di Donnarumma che non rinvia il pallone, al 75° riceve al limite dell’area piccola un passaggio filtrante di Luka Modrić e di destro segna il 2 a 1. In questo modo, il Real ha pareggiato i conti e può giocarsi la qualificazione ai tempi supplementari. Al 78°, però, succede l’incredibile: Rodrygo serve sulla corsa Vinicius a sinistra che entra in area di rigore da posizione centrale. Lo stop del brasiliano non è buono e questo facilita il contrasto del centrale del Psg, Marquinhos, che però fa una cosa inspiegabile: cerca di allontanare il pallone calciandolo con l’esterno destro verso il centro del centrocampo, tuttavia, colpisce debolmente e il pallone rotola rasoterra verso la lunetta dell’area di rigore. Sul pallone si avventa proprio Benzema – senza che nessuno lo contrasti, poiché tutta la difesa del Psg sta correndo all’indietro – che colpisce di esterno destro: questa volta il pallone con una traiettoria frontale (e rimbalzando leggermente) si infila a filo del palo destro, dove Donnarumma non può arrivare. L’esultanza è di quelle da goal dell’ultimo minuto, ma è chiaro: fino a 15 minuti prima la qualificazione era sfumata.

Certo, avere Benzema in squadra è senz’altro un vantaggio, ma non è solo questo il segreto del miracolo Madrid 2022: su questa coppa ci sono le mani di Thibaut Courtois, che ha tenuto in vita, calcisticamente parlando, il Real in finale con almeno tre grandissime parate di istinto prima su Salah e poi su Manè e di nuovo su Salah a dieci minuti dalla fine; ci sono le corse sulla fascia di Vinicius Jr, che ha allontanato così le ombre di scetticismo che ancora si allungavano sul suo talento (quest’anno con la tripletta al Levante del 12 maggio scorso è arrivato a quota 21 goal, nelle stagioni precedenti ne aveva segnati in tutto 5 e 6); c’è la solidità del suddetto centrocampo di “anziani”, che ancora una volta non ha dato scampo agli avversari. Infine, c’è Carlo Ancelotti, che anche nei momenti più neri delle varie sfide, non ha perso la calma, pescando sempre dal cilindro la soluzione. Certo, è indubbio che un pizzico di fortuna c’è stato: bastava un passaggio sbagliato o un tiro sbilenco.

In tutte e tre le sfide l’ingresso in campo di Eduardo Camavinga ha segnato inesorabilmente, la rinascita del Real e non può essere solo il frutto del caso: penso al lancio millimetrico in area di rigore per Benzema che da lì ha messo, al volo, al centro per il tap-in di Rodrygo dell’1 a 1 al 90° contro il City (e serviva ancora un goal per pareggiare i conti). Questo ragazzo del 2002 ha decisamente personalità da vendere.

L’immagine più significativa di questa sfida è sicuramente l’abbraccio tra Ancelotti e il figlio – e assistente – Davide alla fine della semifinale contro il City. Ancelotti è visibilmente commosso. Era dato per bollito, adesso è l’allenatore con il record di finali di Champions (cinque) e di vittorie (quattro). Più volte la vittoria della Champions League 2021-2022 è sembrata essere legata al Real per volere divino, senza possibilità di scampo.

Davide vs Golia

Che la Champions League sia uno dei tornei sportivi più esaltanti è fuori di dubbio, soprattutto perché ogni anno regala almeno una sorpresa. Quella squadra che in barba ai bookmakers, alle previsioni di giornalisti e di opinionisti, e a quel principio secondo cui vince chi ha più soldi (e quindi acquista i giocatori più forti) si rende protagonista di un torneo clamoroso attirando le simpatie di tutti gli appassionati che in fondo credono sempre che Davide possa sconfiggere Golia. Quest’anno è stato il turno del Villarreal, squadra di Vila-Real, un comune di 50.000 abitanti della comunità valenciana, e nota con il nome di “sottomarino giallo” per il colore della divisa interamente gialla. L’allenatore è Unay Emery (sì, quello che alla guida del Psg si fece rimontare 4 goal dal Barcellona nel 2016).

Già l’incipit della storia è da favola: il Villareal si qualifica ai gironi di Champions forte della vittoria dell’Europa League della stagione precedente e non grazie al piazzamento in campionato. Nel girone è sorteggiata con Manchester United, Atalanta e Young Boys, non proprio semplice, ma comunque dove il Villareal può giocarsi le sue chance. La qualificazione agli ottavi arriva all’ultima giornata, grazie alla vittoria a Bergamo contro l’Atalanta per 3 a 2. Fin qui niente di strano. È dagli ottavi che la storia comincia ad assumere i contorni dell’impresa. Il sorteggio assegna ai sottomarini gialli la Juventus: dopo il pareggio in casa, il Villareal sconfigge i bianconeri per 3 a 0 a Torino. Certo la Juventus non è più quella di qualche anno fa, ha faticato molto in campionato e in Champions arriva da due eliminazioni di fila agli ottavi per mano di squadre di seconda fascia: Porto, Lione. L’impresa del Villarreal ci può stare. Ai quarti sembra non esserci scampo per la squadra di Emery: è il turno del Bayern di Monaco. Eppure, incredibilmente, all’andata finisce 1 a 0 per il Villarreal grazie a un goal all’8° minuto dell’attaccante Arnaut Danjuma che è perfetto nel farsi trovare al limite dell’area piccola dell’area di rigore per spingere in porta di destro un passaggio (forse un tiro sbagliato del centrocampista Dani Parejo?). Al ritorno, in un’Allianz Arena gremita, il Villarreal regge agli attacchi del Bayern, prende goal al 52° dal solito Robert Lewandosky, ma all’88 un contropiede a tutta velocità gestito da Parejo e Moreno, manda al tiro Chukwueze che di destro segna il goal che vale la qualificazione alla semifinale: la seconda per la squadra spagnola dopo l’edizione del 2005/2006.

Quanto valga questa impresa, lo certifica una delle tante immagini al fischio finale: il capitano dei sottomarini, Raul Albiol (ex Napoli) è in ginocchio a centrocampo che piange con il volto schiacciato nell’erba. La semifinale sarà un’altra montagna all’apparenza durissima da scalare: c’è il Liverpool di Klopp. All’andata il copione sembra essere già scritto con il 2 a 0 firmato Henderson e Manè. Al ritorno, nello stadio della Cerámica vibrante, il primo tempo del Villareal è da sogno: 2 a 0, Liverpool mai pericoloso. Tuttavia, dagli spogliatoi la squadra di Klopp esce trasformata, e i quarantacinque mi­nuti del secondo tempo sono una sorta di tiro a segno: la partita finisce 3 a 2 per i Reds, ma con tutto lo stadio in piedi ad applaudire gli eroi gialli.

Quali storie ci riserverà la prossima edizione?