Il ballo della notizia

Se non fosse successo niente, avremmo continuato a dilettarci con la saggezza prêt-à-porter disponibile su Facebook. Continua, certo, ma stancamente. I sottopadrini social della comunicazione spicciola hanno capito di essere succedanei e dipendenti dalla Grande Comunicazione. Sono costoro a scegliere; i giornalisti uniti nello stesso sindacato ma divisi ai ferri corti dalla musica delle testate dove lavorano. Allora la reazione su Facebook dipende da quale abbeveratoio attinge il comunicatore di rimbalzo. Dal verboso al webboso il passo è stato non breve, ma istantaneo.

Si faccia questo esperimento. Leggere solo il titolo e il sommario di ogni notizia. Si scoprirà che la stanca ed elucubrativa cantilena dei commenti politici, cioè dei fatti che riguardano la vita di tutti noi, nella sostanza è pubblicità. Se si dessero le notizie delle cose fatte, uscirebbero pochi giornali a settimana. Il senso di tutto questo è nella necessità di continuare tale andamento; o cambiare. Non se ne parla molto. Anzi, si incrementa la febbre comunicativa con tutti i mezzi, perché essa risponde anche a note esigenze commerciali; sponsor, inserzionisti e lettori. I giornali sono aziende. Ma costano.

Alain Elkann ha parlato chiaro. I giornali saranno online, staranno in un sofisticato telefonino. Una rivoluzione nota e tecnologica; sarebbe il meno. Sarà impoverimento della socialità. Allora prima che sia troppo tardi va regolamentato per legge il potere delle aziende private che controllano la tecnologia del web. Se un Grande Fratello tecnologico ha diritto di staccare la spina, vi sarà una sostituzione di potere nella governance del mezzo al servizio della libertà. Il confronto e la discussione sono la base della democrazia, ovvio. Il fatto è che se n’è abusato forse troppo. Influencer a tema imperversano in ogni campo, palesemente – moda, musica, «idee ricevute» da rivedere, aggiornare o rifiutare – scavalcando i temuti, innocenti persuasori occulti di Vance Packard, Anni Cinquanta.

Più del caos preoccupa il disorientamento. E se il problema è culturale, bisognerebbe capire in che senso lo è. Anni fa, la dissoluzione della struttura che era alla base dei grandi partiti politici, Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, è stata vista e applaudita come la fine di un incantesimo strumentale, finalizzato a condizionare le scelte delle «masse» davanti all’urna elettorale. Uno vale uno. Un cretino vale come te. Il numero dei cretini può cambiare le sorti del mondo. Ma le sezioni dei Partiti arginavano certe facilonerie. La selezione dei cervelli avveniva sul campo, anche se era un campetto parrocchiale.

Questa struttura che aveva retto dal 1945, si è frantumata durante gli Anni di Piombo. La crisi dell’Urss – le Br rispondevano al bolscevismo e riverberavano i prodromi del ’56 ungherese e del ’60 praghese – non riusciva più a fare da spalla al comunismo italiano i cui mezzi di comunicazione non parlavano la nuova lingua della democrazia che aveva smascherato la faciloneria demagogica della sinistra bolscevica. La stampa comunista ormai aveva il fiato corto. Enrico Berlinguer aveva capito e soffriva tutto questo. Ma era fedele alla consegna; salvare il Pci.

I riformisti tuttofare partirono all’attacco. Ex turatiani, socialisti delusi, azionisti perduti, giustizialisti ritrovati, dissidenti per partito perso, industriali con i soldi ma senza idee, liberali in cerca di patrie, amici del Mondo, intellettuali non più organici. Tutti insieme fecero La Repubblica. Così nacque con Topolino-Scalfari il giornale della sinistra nuova. Berlinguer andò in crisi, e con lui tutto il Pci. Repubblica si stava accaparrando tutti i lettori di sinistra. All’Unità erano disperati, i finanziatori di Repubblica incassavano i dividendi, i giornalisti disoccupati trovarono un riciclaggio legittimo e invidiato. Allora l’Unità di Berlinguer attaccò Repubblica prendendosela con uno dei suoi collaboratori più in vista, Giorgio Bocca. Scalfari scese in campo per difenderlo; si rimbeccarono con un paio di letterone e tutto finì lì. Ma la fine della stampa del massimalismo comunista era segnata.

Tuttavia, va distinta la differenza. Scalfari, e i reduci del minimalismo ideologico, come racconta nella sua autobiografia, La sera andavamo a Via Veneto. Dame e cavalieri. Berlinguer girava per le sezioni raccattando i cocci e cercando di tenerli insieme. Dietro Repubblica c’erano gli industriali, la ricca borghesia e i sogni frustrati del Mondo di Pannunzio, tuttavia idee. Dietro Berlinguer c’era il più forte partito comunista dell’Occidente, il 37% dei voti, un nugolo di parlamentari, la Cgil, i sindacati, Luciano Lama e i comizi strapieni a Piazza San Giovanni. La Chiesa scendeva per le strade dei poveracci, accudiva i senza casa, quelli che dormivano per strada, la mensa dei poveri, la carità. C’è chi dice cose di sinistra e chi fa. È il voler fare a parole che spinge a sinistra la sinistra. E non avviene per caso che i cattolici, i democristiani, i liberali e tanta borghesia oggi si riconoscano nel Pd. Ma è un altro modo di vedere il mondo.

In questa situazione di incertezza ideale e politica – di quella pandemica lasciamo la parola ai rètori – la responsabilità dei comunisti, cioè dei giornali e di chi ci scrive, è forte. Essendo i suggeritori subliminali della pandemia webbosa, essere onesti nella comunicazione diventa un imperativo. Se l’etica non riesce a entrare nella politica, nonostante i riferimenti tra Pericle e Seneca dei filosofi da Repubblica – Scalfari in primis –, deve entrare nella consuetudine della Persona. Che fa di suo Diego Bianchi? Il Roberto Saviano e altri predicatori di belle speranze oltre che fare i parolai di sinistra? La responsabilità è personale anche nel bene. E Luciano Canfora ha subito scritto un po’ di pagine per Laterza onde ribadire quale sinistra lui segua. Chiacchiere. Questi sogni di retroguardia che lasciano strascichi obbligati perché trovano soccorso nella nostalgia della generazione che ha fallito sé stessa, è il virus del dibattito politico e ideologico, nonché ideale, della cultura politica contemporanea. Mai come adesso i bisogni della gente in difficoltà attendono risposte pragmatiche, operative e immediate. Quando l’Inps non potrà più pagare pensioni, Cig e le aziende cominceranno a licenziare, allora qualcuno avrà la bella idea: chi guadagna sopra di un certo reddito mantenga una famiglia senza reddito. Hai tre camere e siete in due? La terza va a uno senza casa. Siamo pieni di memoriali e di sopravvissuti. Gli zingari non hanno ancora trovato uno sponsor. Il padre di Guccini ha ricevuto una medaglia alla memoria per non essersi intruppato dopo l’8 settembre e finì in un campo di prigionia. Potremmo fare nomi di altri resistenti che finirono a Dachau e lì morirono. Senza medaglie. A richiesta, il nome. Perché non sei libero quando il tuo corpo non è più costretto, ma quando sai di possedere la verità. La notizia sei tu.