
Christian Loda
Christian Loda, funzionario permanente del Consiglio d’Europa, lavora da oltre quattordici anni al Segretariato del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Cpt). Ha partecipato a più di trenta visite sul campo dello stesso Comitato in luoghi di privazione della libertà personale in vari Paesi quali Italia, Spagna, Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord, Albania, Cipro, Regno Unito, Montenegro e Romania. Autore del contributo dal titolo Il CPT e la questione del collocamento nelle residenze socioassistenziali nel volume Il soggiorno obbligato (2024, il Mulino, pp. 672, € 50), illustra in questo studio alcune problematiche principali riscontrate nelle carceri europee.
Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (Cpt) del Consiglio d’Europa è un osservatorio privilegiato per analizzare la situazione e le condizioni di detenzione nelle carceri del continente europeo. Creato nel 1990 su iniziativa di un filantropo ginevrino, il Cpt ha l’obiettivo di sottoporre i luoghi di privazione della libertà personale (quali commissariati di polizia, carceri, istituti minorili, ospedali psichiatrici, residenze socioassistenziali e centri per migranti) a ispezioni periodiche e non annunciate da parte di ispettori internazionali, indipendenti e multidisciplinari (giuristi, medici forensi, psichiatri, ecc.). Questi ultimi hanno il compito di contribuire alla prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, una norma inderogabile del diritto internazionale, e di conseguenza al miglioramento delle condizioni di detenzione.
Il Cpt si fonda su una convenzione internazionale che istituisce un sistema di ispezioni, che si concludono con la redazione e l’eventuale pubblicazione di rapporti dettagliati che, in primo luogo, evidenziano le criticità dei sistemi penitenziari europei. Citando le parole del suo primo Presidente, il giurista italiano Antonio Cassese: «La prevenzione e l’ispezione sono la chiave per la buona gestione delle questioni relative ai diritti umani. Il Comitato ha dimostrato che […] anche i recessi più reconditi delle pratiche statali sono aperti al controllo internazionale».
Dal 1990, il Cpt ha effettuato più di cinquecento visite nei quarantasette (ora quarantasei) Paesi del Consiglio d’Europa, visitando più di mille carceri e istituti penitenziari di diverso tipo nei diversi contesti giuridici e nei vari sistemi penitenziari. Le visite del Cpt si basano su una metodologia, sviluppata nel corso degli anni, che consiste nella verifica dettagliata delle condizioni di detenzione degli istituti penitenziari, attraverso colloqui individuali e riservati con le persone recluse, nell’analisi della documentazione (registri di custodia, fascicoli medici, registri di servizio del personale penitenziario, sistemi di videosorveglianza, ecc.) e nel confronto con i direttori degli istituti penitenziari e le autorità politiche a livello ministeriale del Paese oggetto di visita. Nel corso degli anni, il Cpt ha sviluppato una serie di standard giuridici elaborati sulla base dell’esperienza diretta che, in molti casi, sono stati incorporati nella legislazione interna di diversi Stati. È inoltre importante sottolineare che i rapporti del Cpt, grazie alla loro attendibilità, rigore e dettaglio, sono spesso citati da tribunali nazionali o internazionali, come la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), quando vengono chiamati a decidere su determinati casi giuridici riguardanti le condizioni di detenzione nei Paesi membri del Consiglio d’Europa.
Sovraffollamento
Il sovraffollamento carcerario è una delle questioni più complesse che i sistemi penitenziari europei si trovano ad affrontare da quasi due decenni. Secondo le stime più recenti del Centro studi dell’Università di Losanna, che collabora con il Consiglio d’Europa (Council of Europe Annual Penal Statistics on Prison Population on SPACE I), il fenomeno del sovraffollamento carcerario interessa almeno dodici sistemi penitenziari su quarantacinque in base ai dati aggregati1. Tuttavia, l’esperienza del Cpt mostra che il sovraffollamento può manifestarsi anche a livello locale e circoscritto a singoli istituti o sezioni, anche in quei Paesi e sistemi che rispettano le proprie capienze regolamentari. Secondo il Cpt, «il sovraffollamento può trasformare un carcere in un contenitore di esseri umani e vanificare ogni sforzo per dare un seguito pratico al divieto di tortura e altre forme di maltrattamento».
Le conseguenze del sovraffollamento incidono su tutta una serie di aspetti della vita penitenziaria: spazi ristretti, condizioni igieniche precarie, impoverimento della qualità delle cure, stress, peggioramento delle relazioni tra personale e detenuti e maggiori tensioni tra i detenuti stessi, che spesso sfociano in episodi di violenza.
Il Comitato ritiene che la soluzione debba prevedere interventi diversificati e a lungo termine, in quanto non esiste una strategia unica e risolutiva per contrastare il sovraffollamento carcerario. Ha sottolineato anche più volte, per esempio, che la costruzione di nuove carceri o l’aumento della capacità detentiva di un determinato Paese non sono soluzioni ad ampio raggio, né lo sono gli interventi legislativi clemenziali di amnistia o condono, che rappresentano piuttosto una panacea temporanea. Pur non esistendo una ricetta ottimale e universalmente applicabile, secondo il Cpt è necessario introdurre un numero chiuso per modulare l’accesso al carcere al di là di una certa soglia tollerabile e potenziare il dialogo tra i vari operatori dell’esecuzione penale (autorità giudiziarie, penitenziarie e attori della cosiddetta probation, la libertà vigilata), in modo da individuare soluzioni ad hoc per ogni singolo scenario. Il Cpt ha anche potuto osservare che la Spagna, al contrario dell’Italia, ha saputo fronteggiare il sovraffollamento carcerario in maniera più efficace e duratura nel tempo, grazie, tra le altre cose, al ricorso a misure alternative alla detenzione, a una politica sanzionatoria più oculata e soprattutto a un sistema penitenziario meglio strutturato.
Isolamento
In virtù del proprio mandato, volto alla prevenzione della tortura e, quindi, focalizzato su situazioni precarie e detenuti con profili criminologici complessi, negli anni il Comitato ha condotto ananlisi dettagliate sul tema dell’isolamento in carcere. Che si tratti di isolamento per motivi di sicurezza, disciplinari o di natura preventiva e protettiva, gli effetti negativi, dal punto di vista socio-relazionale e della salute mentale e fisica dei detenuti, sono stati ampiamente documentati da diversi studi accademici. Tali effetti si possono manifestare quasi immediatamente e aumentano quanto più la misura è prolungata e indeterminata. L’indicatore più significativo del danno causato dall’isolamento è il tasso di suicidi, notevolmente più alto tra i detenuti sottoposti a tale misura rispetto alla popolazione carceraria generale. Purtroppo, le osservazioni del Comitato mostrano che in diversi Paesi esistono misure di isolamento, come il regime speciale, detto 41-bis, in Italia. Nella Federazione Russa e in altri Paesi dell’Europa dell’Est i detenuti in custodia cautelare e gli ergastolani sono sottoposti a misure di isolamento estremamente restrittive, come restare chiusi in cella per 23 ore al giorno senza attività comuni (talvolta senza televisione e prese elettriche), e talvolta sproporzionate (come, per esempio, l’ammanettamento sistematico durante ogni spostamento all’interno del carcere), arrivando in alcuni casi a costituire una vera e propria “seconda pena”.
Nel corso degli anni, il Comitato ha sviluppato un sistema di standard specifici per regolamentare il ricorso all’isolamento in tutte le sue forme. In questo caso, il Cpt non adotta un approccio abolizionista, ma richiede interventi mirati in termini di proporzionalità, legittimità e responsabilità, affinché tali misure siano sempre basate su una giustificazione individuale e motivata e siano sottoposte a revisioni periodiche da parte dell’autorità giudiziaria. Secondo il Cpt, il ricorso a tali misure dovrebbe essere limitato al minimo indispensabile e, in caso di utilizzo, dovrebbe durare il minor tempo possibile, al fine di favorire il reinserimento del detenuto nella popolazione carceraria ordinaria.
Gerarchie interne dei detenuti
Un altro problema ricorrente, evidenziato nei rapporti del Cpt che riguardano le visite nei Paesi dell’Europa orientale, è costituito dagli aspetti nocivi e potenzialmente degradanti causati dalle gerarchie interne dei detenuti, che si articolano in vere e proprie caste. Le prigioni sovietiche, infatti, come descritte magistralmente da Aleksandr Solženicyn in Arcipelago Gulag, sono sempre state caratterizzate da un collettivismo carcerario basato su un sistema di governance incentrato sulla sorveglianza reciproca tra pari e sulla strutturazione della vita carceraria attraverso l’alloggio dei detenuti in grandi dormitori. Il sistema non ufficiale di autogoverno dei detenuti che ne è scaturito ha creato una gerarchia interna, che suddivideva i detenuti in categorie, o piuttosto caste, che coesistevano seguendo rigorosamente il codice o le regole informali di una certa subcultura criminale. Il collettivismo carcerario è sopravvissuto al crollo dell’Unione Sovietica e diversi Stati dell’Europa dell’Est lottano ancora oggi contro il suo retaggio: gerarchie interne tra i detenuti e il potenziale aspetto di tortura e maltrattamento sistematico.
In tale sistema, la casta più bassa è rappresentata dai cosiddetti “intoccabili”, sia in senso letterale che figurato: essi non possono esprimere un’opinione sulla vita in carcere e sulle caste superiori né alzare la voce o opporre resistenza fisica quando vengono percossi da un detenuto di casta superiore. Gli “intoccabili” sono permanentemente segregati in posti separati nei dormitori e nelle celle, devono usare servizi igienici separati, mangiare a tavoli separati in mensa usando stoviglie contrassegnate, fare esercizio in una palestra separata e accedere per ultimi al sopravvitto della prigione. Svolgono inoltre tutti i lavori di manutenzione degli spazi comuni, che dovrebbero essere a carico dell’amministrazione penitenziaria. Durante le proprie visite, il Cpt ha ricevuto numerose accuse credibili di violenza tra detenuti, tra cui accoltellamenti con oggetti appuntiti, percosse, ustioni, violenza sessuale, bullismo, intimidazioni e altre forme di violenza psicologica ed estorsione. Secondo il Comitato un fenomeno così complesso, che ha permeato quasi tutti i settori dei sistemi carcerari interessati per decenni, può essere superato solo con un approccio complessivo, preferibilmente sotto forma di piano nazionale incentrato sullo sviluppo di un sistema carcerario moderno, conforme agli standard e ai valori del Consiglio d’Europa (come la conversione dei dormitori in celle meno numerose, il reclutamento di agenti penitenziari che siano in contatto diretto con i detenuti, e la loro adeguata formazione).
Conclusioni
Nonostante i progressi registrati dal 1990, la situazione delle carceri in Europa presenta ancora numerose e complesse lacune di non facile lettura e di non immediata soluzione. Il Cpt ha certamente avuto il merito di contribuire alla creazione di standard minimi in ambito penitenziario che si sono consolidati nel tempo. Inoltre, il fatto che tribunali nazionali e internazionali facciano riferimento in maniera regolare ai rapporti del Cpt, nel valutare le condizioni di detenzione in vista dell’estradizione di un detenuto o di una potenziale violazione di trattati internazionali, è un ulteriore segno della sua indipendenza e credibilità.
Tuttavia, rimane difficile misurare e accertare concretamente l’impatto delle raccomandazioni non vincolanti di organi di monitoraggio come il Cpt sulla prevenzione della tortura e sul miglioramento delle condizioni di detenzione. Il Comitato rimane fondamentalmente un organo pratico che basa le proprie raccomandazioni su osservazioni dirette e imparziali, di esperti indipendenti e multidisciplinari, il cui unico intento è quello di difendere la dignità più intima di ogni persona per prevenire possibili violazioni dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Questo principio può essere pienamente compreso alla luce di quanto scrive san Paolo nella Lettera agli Ebrei (Eb 13, 3): «Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo».
1 I Paesi che presentano la situazione più critica per quanto riguarda il tasso di sovraffollamento carcerario sono Cipro (166 detenuti ogni 100 posti), Romania (120), Francia (119), Belgio (115), Ungheria (112), Italia (109) e Slovenia (107). Grecia, Svezia, Macedonia del Nord, Croazia e Turchia segnalano un lieve sovraffollamento, con percentuali che si attestano tra il 101% e il 103%. Irlanda e Portogallo, d’altra parte, stanno operando a pieno regime, con tassi rispettivamente del 99% e del 98%.