Marina e Giuseppe si incontrano nella Milano da bere anni Novanta e, nonostante lei sia già sposata, si lasciano travolgere da una passione incontenibile“.

Parte da qui una storia mozzafiato, con tutti gli ingredienti che potremmo trovare in una serie tv di Netflix: passione, tradimento, edonismo, carriera… e irrequietezza.  Perché Giuseppe viene da una famiglia cattolica, mentre Marina arriva più da “lontano”, e la metà strada cui si vengono incontro è ben lontana da una visione cristiana del rapporto di coppia e del matrimonio.

Buona parte del racconto – con l’io-narrante di Giuseppe molto fresco, sincero, schietto e mai compiaciuto – ruota proprio intorno al fatto che Marina sia già sposata, con tutti i problemi che ne derivano. E qui si può aprire una parentesi. Sì, perché si sente talvolta affermare che la proposta cristiana sia troppo esigente, che la vita reale abbia difficoltà oggettive che il cristianesimo tende a ignorare, che in fondo quel che conta è l’ “opzione fondamentale” e che i singoli peccati, o situazioni di peccato, siano secondari e trascurabili, purché ci sia un generale e generico “orientamento di fondo” a Dio… E così si abbassa l’asticella, ci si fa sconti, si cercano scorciatoie aldifuori della dottrina morale, come se questa fosse un peso insostenibile posto da fuori, e non una prescrizione data dalla natura stessa dell’uomo e, quindi del rapporto di coppia. Ancor peggio: talvolta sono proprio i direttori spirituali quelli che credono poco nella castità, che conoscono poco l’antropologia cristiana, che ignorano la bellezza del rapporto di coppia totalizzante, che propongono obiettivi bassi e più “alla portata di mano”. Questo, dicevamo avviene non poche volte nella vita quotidiana (e non siamo più su Netflix, purtroppo). Spesso, in queste situazioni, non basta che la Tradizione e il Magistero della Chiesa (pensiamo a Veritatis Splendor, giusto per fare un esempio tra i più definitivi) abbiano da tempo demolito queste interpretazioni banali e banalizzanti. È quindi bello e toccante quando la “vita reale”, la “vita vissuta” ti viene incontro, e scopri che certe affermazioni autoassolutorie in realtà sono, semplicemente, sbagliate. Perché la vita, aiutata dalla Grazia, fa fare passi inimmaginabili.

La storia di Marina e Giuseppe, appena pubblicata (Marina e Giuseppe Formica, Una piccola casa sulla roccia, Ares. Milano 2023, pp. 136, euro 15,00), è uno di questi esempi. Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire: nulla di nuovo nell’incipit, in effetti. Una storia complicata, difficile da dipanare, con molte sofferenze che non sveliamo e svariati sbandamenti che fanno perdere quasi ogni orientamento. Ma molto nuova è l’evoluzione della vicenda dei due “ragazzi” che devono fare presto capire come tenere insieme un’infuocata passione con un’evidente – absit iniuria verbis – immaturità affettiva e spirituale, una insopprimibile “sete di senso” con l’irrequietezza di due carriere rampanti. Il problema è che Marina e Giuseppe fanno proprio fatica a trovare questo senso, ma fanno ancor più fatica a seguirlo quando l’hanno trovato, perché la strada proposta è difficile ed esigente.

E diventa per loro fondamentale la guida di alcune persone che incontrano, a partire dai francescani padre Adriano e padre Giovanni, che da Milano ad Assisi propongono mete ambiziose con un’asticella, stavolta, molto (troppo?) alta. Certo, il percorso di conversione reale (aldilà delle etichette), sarà esigente, e passerà proprio attraverso la prova della castità, prima sconosciuta, poi derisa, quindi temuta, infine amata. Ma un invito alla lettura non deve svelare altro, perché il racconto si snoda appassionato e appassionante. Basti dire che proprio la (ri)scoperta della fede li aiuterà a superare anche i momenti più dolorosi e quasi disperati in cui il groviglio pare non riuscire a dipanarsi. Ma, come Marina e Giuseppe imparano presto, “nulla è impossibile a Dio”.

La piccola casa sulla roccia è una sorta di “romanzo di coppia” verace, scritto con una freschezza e uno humour che derivano dalla sua autenticità, in cui le voci dei protagonisti si intrecciano e si sovrappongono completandosi vicendevolmente – anche se è Giuseppe che guida una narrazione coinvolgente e talvolta commovente, presentando persone e volti in carne ed ossa attraverso un vero e proprio inno all’amicizia. Una strada di fidanzamento, autoesigenza, amore assolutamente unici, che sarebbe utile proporre a chi si accosta al rapporto di coppia e al fidanzamento partendo da lontano e pensando, forse, che la proposta cristiana sia eccessiva. Ma l’avventura di Marina e Giuseppe dimostra che nulla è impossibile e che da tutto ci si può rialzare, partendo da fiducia, grazia di Dio e… buonumore.