Stefano Orfei, medico specializzato in Cardiologia e Geriatria, Primario Geriatra emerito dell’Ospedale “E. Bassini” di Cinisello Balsamo (Mi), diacono dell’Arcidiocesi di Milano e collaboratore della “Fondazione Opera Aiuto Fraterno per i Sacerdoti anziani e ammalati”, argomenta una propria ipotesi della causa di morte dell’Uomo della Sindone, che ritiene sia Gesù, sulla base di un’analisi in prospettiva medica dei racconti della morte di Gesù nei Vangeli e dei riscontri sul Sacro Telo della modalità di decesso dell’Uomo sindonico.

Al sistema respiratorio, formato dalle vie aeree e dai polmoni, è affidato il compito fondamentale della respirazione: essa consiste nell’assunzione di ossigeno dall’ambiente e nell’eliminazione di anidride carbonica nell’ambiente. La respirazione avviene in due fasi: inspirazione ed espirazione. Nella prima, l’aria, dopo aver attraversato le vie aeree superiori e i bronchi, penetra negli alveoli polmonari; nella seconda, i polmoni espellono l’aria. Il ritmo della respirazione è automatico, ma i muscoli coinvolti sono volontari e ogni loro contrazione è stimolata da impulsi nervosi. Finita l’inspirazione, nei polmoni si verifica uno scambio gassoso nel corso del quale l’aria cede ossigeno al sangue e il sangue cede anidride carbonica all’aria. Terminato lo scambio gassoso, l’aria contenente anidride carbonica viene espulsa dai polmoni e ripercorre a ritroso le vie respiratorie per essere restituita all’ambiente esterno.

Se si altera in modo grave lo scambio gassoso tra aria atmosferica e sangue arterioso si ha una riduzione dell’ossigeno nel sangue e una ritenzione di anidride carbonica: si parla allora di insufficienza respiratoria, connessa all’ipercapnia.

L’ipercapnia è una condizione caratterizzata dall’aumento della quantità di anidride carbonica presente nel sangue. La causa di tale fenomeno è spesso da ricercare in anomalie a carico del funzionamento polmonare o cardiaco, che comportano un’inadeguata ventilazione alveolare e si accompagnano ad alterazioni dell’equilibrio acido-base (come l’acidosi respiratoria). L’ipercapnia è definita come una pressione parziale dell’anidride carbonica (pCO2) nel sangue superiore ai 45 millimetri di mercurio (mmHg) che nel soggetto normale si mantiene tra i 35 e i 45 mmHg.

Cause & sintomi dell’ipercapnia

A seconda della gravità della condizione, sono diversi i sintomi che si possono manifestare in associazione con l’ipercapnia e comprendono dispnea (mancanza di respiro), uso vigoroso dei muscoli respiratori accessori, tachipnea con tachicardia associata (aumento, rispettivamente, della frequenza del respiro e di quella cardiaca), sudorazione, spasmi muscolari, aumento della pressione sanguigna e movimento addominale paradosso1.

Le manifestazioni a carico del sistema nervoso centrale vanno dallo stato confusionale fino alla perdita di coscienza e al coma.

Le principali cause dell’ipercapnia sono le stesse dell’ipoventilazione e includono la bronco­pneumopatia cronica ostruttiva, le esacerbazioni acute di asma e l’enfisema polmonare. Anche polmoniti, annegamento, edema ed embolia polmonare, stati di insufficienza respiratoria e altre patologie ostruttive delle vie aeree possono causare ipercapnia.

Un aumento dell’anidride carbonica nel sangue si può osservare anche nei pazienti con disturbi cardiaci, ictus, trauma cranico e fratture costali. Inoltre, l’ipercapnia può essere causata dalla respirazione di aria troppo carica di anidride carbonica. Altre cause sono le intossicazioni da farmaci che deprimono il centro del respiro e le patologie che causano debolezza dei muscoli respiratori. Anche le condizioni che aumentano la produzione di anidride carbonica, come avviene nel contesto di stati febbrili, sepsi, traumi, ustioni, ipertiroidismo e ipertermia maligna, quando combinate con l’incapacità di compensare la ventilazione, possono causare ipercapnia. Tra queste ricordiamo, inoltre, le situazioni meccaniche di impedimento, fino al blocco totale, della mobilità della cassa toracica – come, per esempio, nelle sindromi da schiacciamento del torace (da intrappolamento per terremoti o incidenti vari) – o, fortunatamente non più verificatesi nella nostra storia recente, le situazioni di ipercapnia da blocco della respirazione come nei condannati alla pena capitale della morte per crocifissione.

L’insufficienza respiratoria si verifica quando il sistema respiratorio non riesce a mantenere un adeguato livello di ossigenazione nel sangue o di eliminazione dell’anidride carbonica. Queste alterazioni, potenzialmente fatali, possono verificarsi per compromissione degli scambi dei gas respiratori e/o per riduzione della ventilazione.

L’insufficienza respiratoria

L’insufficienza respiratoria ipossiemica è la forma più comune: si verifica quando la concentrazione di ossigeno è bassa, come avviene in tutte le patologie che coinvolgono i polmoni: tra le più frequenti sono l’edema polmonare, la polmonite, l’embolia e la fibrosi polmonare.

Nel caso in cui vi siano elevati livelli di anidride carbonica nel sangue si parla, invece, di insufficienza respiratoria ipercapnica. Questa forma si può riscontrare in caso di asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva (bpco), negli avvelenamenti/overdose di droghe o farmaci (per esempio barbiturici) con depressione dei centri respiratori e nelle condizioni che causano debolezza dei muscoli respiratori (per esempio miastenia gravis, botulismo e danni a carico del sistema nervoso centrale o periferico).

L’insufficienza respiratoria in clinica si riscontra in una forma acuta (a rapida insorgenza) e in una cronica (che persiste per mesi o anni prima di evolvere in forme riacutizzate).

I sintomi variano a seconda della causa scatenante l’insufficienza respiratoria. Comuni manifestazioni comprendono dispnea (respiro affannoso), tachipnea (aumento del numero degli atti respiratori), tachicardia, sudorazione profusa, cianosi (colorazione bluastra di cute e mucose) e uso vigoroso dei muscoli respiratori accessori a riposo. Le manifestazioni a carico del sistema nervoso centrale vanno dalla confusione mentale all’ottundimento del sensorio, alla sonnolenza e alla perdita dei sensi, cui segue, in stato di torpore e incoscienza, la morte.

Il tamponamento cardiaco

Con tamponamento cardiaco in medicina si definisce un anomalo accumulo di liquido o sangue all’interno della cavità pericardica che determina alterazioni della dinamica del sistema cardiovascolare. In un pericardio sano vi sono tra i 25 e i 50 ml di liquido che serve a lubrificare e a ridurre gli attriti che si vengono a produrre durante lo scorrimento reciproco dei due foglietti pericardici. Con l’aumento del liquido o con la presenza di abbondante sangue aumenterà proporzionalmente la pressione pericardica e avremo differenti quadri clinici e sintomatologici: se il fluido aumenta improvvisamente, come nella rottura della parete del miocardio da infarto, la pressione intrapericardica cresce rapidamente e può superare quella intracardiaca, arrivando così al tamponamento cardiaco, cioè al blocco meccanico dell’attività cardiaca con impossibilità del cuore di espandersi completamente e di riempirsi di sangue: dal cuore flui­sce meno sangue e nel giro di pochissimo tempo si arriva alla morte (morte repentina).

Altre cause di tamponamento cardiaco, oltre al già ricordato infarto miocardico, sono la rottura di un aneurisma aortico (una patologica dilatazione della parete dell’aorta), i tumori polmonari in stadio avanzato e la pericardite acuta (infiammazione del pericardio).

I sintomi di tamponamento sono: intenso senso di dolore e oppressione precordiale (sul petto), dispnea, tachicardia (aumento della frequenza cardiaca), ipotensione arteriosa (abbassamento della pressione sanguigna), turgore delle vene del collo e degli arti superiori, shock e morte repentina.

La narrazione dei Vangeli

Se rileggiamo i brani dei Vangeli che narrano la Passione del Signore Gesù, vediamo che dopo la Cena del Giovedì Santo, Gesù si recò nell’Orto degli Ulivi per pregare; sapendo che era giunta la sua ora, fu sottoposto a uno stress emotivo intensissimo, tanto da far sì che il suo sudore diventasse sangue: quello che i medici chiamano ematidrosi, cioè sudorazione di sangue, legato a momenti di stress intenso. Subito dopo Gesù viene arrestato e chiaramente non trattato con i “guanti bianchi” dalle guardie e dalle persone che erano «venute con spade e bastoni ad arrestarlo», ma ha ricevuto sicuramente qualche spintone, qualche trauma, qualche botta… quindi dolore e di nuovo stress psichico. Poi viene sottoposto al processo e durante questo riceve sul volto un ràpisma dal soldato di guardia, che non è uno “schiaffo”, ma, secondo me, in accordo con la traduzione del vocabolario greco-italiano Riva-Roc­ci, un “colpo di verga”; infatti rapízo è tradotto con “percuotere, specialmente con verga”. E di ciò si trova segno sulla Sindone come un trauma fratturativo che interessa in diagonale il volto, partendo dalla coda dell’arcata sopraciliare sinistra sino al dorso del naso e allo zigomo di destra; ancora una volta Gesù è sottoposto a intenso stress e a dolore molto forte. Poi viene spogliato e flagellato nudo e non con i previsti 39 colpi di flagello (40 meno 1, per la precisione) cui erano sottoposti i giudei ritenuti colpevoli e condannati alla flagellazione, ma con almeno 120 colpi di flagrum dei romani, tanti quanti ne hanno contati gli esperti sul Sacro Telo di Torino, perché proprio dai romani era stata eseguita la condanna; ancora una volta si sottolinea l’intenso dolore sofferto, l’abbondantissima perdita di sangue dalle ferite, e chiaramente il fortissimo stress psichico e fisico.

Forse Pilato sperava che ciò bastasse a placare gli animi dei giudei per poter rimandare libero Gesù, nel quale non vedeva nulla di male; questi, invece, chiedono che il condannato sia crocifisso. Allora gli viene posto sul capo un casco (non una corona) di spine, fatto con i rovi di un cespuglio che si trova sul posto, il Sarcopoterium spinosum, che ha delle spine dure, appuntite e lunghe dai 5 agli 8-9 cm, e che ha determinato ben tredici colature di sangue sulla fronte e venti sulla parte nucale, visto che il cuoio capelluto è ricchissimo di vasi sanguigni, e ancora molto dolore e molta perdita di sangue con ulteriore stress.

Poi è rivestito e caricato del pesante patibulum, che durante il cammino ha determinato tre cadute per instabilità deambulatoria con escoriazioni alle ginocchia e al naso; in tali zone si trovano sulla Sindone terriccio misto a sangue, a conferma di tali cadute. Giunto al Calvario, Gesù è inchiodato per i polsi e per i piedi con un dolore intensissimo e con abbondante perdita di sangue, continuata fino al momento della morte, alle tre del pomeriggio.

Ricordiamo che dal momento dell’istituzione dell’Eucaristia, cioè dalla fine della Cena nella «sala addobbata al piano superiore», Gesù non ha più bevuto; quindi si è disidratato, da una parte, per la non introduzione di liquidi e, dall’altra, soprattutto per l’abbondante perdita di sangue che ha subìto fra i maltrattamenti, la flagellazione, la coronazione di spine e l’inchiodatura per le mani e per i piedi alla croce. Tutti questi fenomeni, cioè l’intenso dolore sofferto e la perdita di molto sangue per le ferite subite, hanno determinato la cosiddetta ispissatio sanguinis, cioè il sangue è divenuto molto denso per la perdita di liquidi con conseguente vasocostrizione generale e coronarica da stress vasocostrittorio, che ha portato alla manifestazione di un infarto miocardico con rottura di cuore ed emopericardio, conseguente tamponamento cardiaco e morte repentina, anche se la persona era di giovane età e in buona salute prima dell’evento.

Quel grido di intensissimo dolore

Se quindi riguardiamo la prima parte di questo articolo sulle cause di morte per asfissia e per tamponamento cardiaco, ci possiamo rendere conto che Gesù non è morto per asfissia: questa, infatti, era la morte tardiva dei crocifissi, i quali, a causa della respirazione sempre più ridotta, andavano incontro a quella che abbiamo chiamato ipercapnia con successiva carbonarcosi, cioè un progressivo aumento dell’anidride carbonica nel sangue con conseguente progressiva perdita di conoscenza e morte per asfissia. La pratica del crurifragium, cioè dello spezzare le gambe al crocifisso, non permetteva di rialzarsi per cercare di respirare meglio e quindi accelerava la morte per più veloce comparsa di ipercapnia.

Analizziamo ora, secondo la traduzione del Nuovo Testamento di Nestle-Aland:

  • Mt 27, 50: «E Gesù, emesso un alto grido, spirò».
  • Mc 15, 37: «Ma Gesù, dando un forte grido, spirò».
  • Lc 23, 46: «Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò».

Possiamo ben comprendere come la morte di Gesù sia stata molto repentina, avvenuta in piena coscienza, con un forte grido da intensissimo dolore, come quello da infarto miocardico con rottura di cuore e tamponamento cardiaco. E che questa sia stata la causa della morte di Gesù ci è confermato anche dalla fuoriuscita di sangue e acqua (exelthen eythys aima kai hydorGv 19, 34) dal costato dopo che il soldato aveva determinato con la lancia una ferita da taglio nel quinto spazio intercostale destro.

Perché il colpo di lancia? La legge romana aveva abrogato la legge ebraica che impediva di restituire ai parenti il corpo di un condannato a morte; la legge romana, appunto, prevedeva che il corpo potesse essere ridato ai parenti per la sepoltura solo se qualcuno avesse richiesto il corpo al giudice che aveva emesso la condanna. Infatti, Giuseppe di Arimatea va da Pilato a chiedere il corpo di Gesù per la sepoltura; Pilato stesso, meravigliatosi della morte così veloce del condannato, ne concede la restituzione, a patto che si certifichi la morte con un colpo di arma da taglio. Come ben si vede dal disegno di Carlo Malantrucco, l’infarto del miocardio (prima foto) ha determinato la rottura del cuore; il sangue, dalla breccia che si è creata nel cuore, si è accumulato sotto tensione nel pericardio; dopo la morte il sangue si è depositato e, per gravità, nella parte bassa si sono depositati i globuli e nella parte alta il siero; con la lacerazione determinata dal colpo di lancia, il sangue che era sotto pressione è uscito come «sangue e acqua» (descrizione dovuta al fatto che non c’era allora la conoscenza della suddivisione del sangue in parte sierosa e parte corpuscolata), come avviene dopo la morte dell’individuo o in una provetta da laboratorio. Questa è un’ulteriore conferma che la morte di Gesù fu determinata da un infarto miocardico con rottura di cuore e tamponamento cardiaco e non da asfissia2.

1 In caso di debolezza muscolare respiratoria importante invece, durante l’inspirazione la parete addominale si deprime, poiché la pressione intratoracica negativa che si crea a causa di un diaframma paralizzato aspira il contenuto addominale (tratto da www.medicinainternaonline.com).

2 Non vengono dati riferimenti bibliografici perché la prima parte di fisiopatologia cardiorespiratoria è bagaglio culturale affermato del sapere scientifico internazionale e la seconda parte sulla causa mortis dell’Uomo della Sindone è frutto della mia riflessione e del mio ragionamento clinico applicato allo studio del Sacro Telo.