Il prof. Giovanni Ferri, ordinario nell’Università di Roma Lumsa, dove insegna European values in the global economy; International economics, e Microeconomia, esamina in queste pagine quali forme di finanziamento siano più idonee a promuovere lo sviluppo sostenibile. Lo scenario appare favorevole: la finanza abbandona la fase «predatoria» – ricercando solo profitti di breve periodo – ed evolve verso la fase «responsabile». «Nel mondo di oggi», conclude fra l’altro l’autore, «si può pensare che, più che stabilendo limiti e divieti, le politiche a orientamento della finanza possano funzionare meglio offrendo incentivi. La messa in opera di incentivi adeguati può infatti guidare la finanza verso lidi in cui si colgono le opportunità dell’innovazione finanziaria per accrescere il bene comune senza dover sopportare i costi di una instabilità finanziaria endemica».

In termini generali, la finanza ha un duplice nesso con la sostenibilità. Entrambe le dimensioni della relazione devono essere funzionali per raggiungere la sostenibilità. Il primo nesso attiene la sostenibilità della finanza in sé. Se prima era la parte più stabile dell’economia, negli ultimi decenni il settore finanziario è diventato molto instabile. E, in effetti, la Grande Recessione di dieci anni fa ha avuto origine dalla Crisi Finanziaria Globale (cfg) del 2008-2009. Se il settore finanziario è instabile, anziché supportare la sostenibilità, diventa esso stesso una minaccia alla sostenibilità. Il secondo nesso tra finanza e sostenibilità va sotto il titolo di «finanza per la sostenibilità». A esso è dedicata la maggior parte di questo scritto, che valuta quali forme di finanziamento siano più idonee a promuovere lo sviluppo sostenibile. Tali forme di finanziamento si riferiscono alle tipologie di intermediari e mercati nonché agli strumenti o alle modalità contrattuali.

Nello specifico, descriverò un possibile scenario favorevole: quello in cui la finanza abbandona la fase «predatoria» – ricercando solo profitti di breve periodo, come faceva prima della cfg – ed evolve verso la fase «responsabile» – facendosi lo strumento essenziale ad accelerare la transizione sostenibile (par. 1). Non è solo un auspicio. La necessità impellente di accelerare la transizione sostenibile è evidenziata sia sul lato ambientale – per esempio, dai crescenti costi del riscaldamento globale – sia su quello sociale – per esempio, dall’ampliarsi delle disuguaglianze distributive e dall’esigenza di rafforzare i presidi sanitari pubblici anche contro le pandemie. In questo, dopo i voti insufficienti presi al tempo delle crisi euro-sovrane, l’Unione Europea merita un apprezzamento. Nell’intento di accelerare la transizione allo sviluppo sostenibile, l’European Green Deal segna una rotta precisa verso una finanza più responsabile. I divieti e gli incentivi che ne conseguiranno (e condizionalità analoghe si prefigurano anche per i fondi per la ripresa economica post-Covid19, Next Generation EU etc.) favoriranno un tipo di finanza che mira a costruire valore di lungo periodo. Al riguardo, presenterò poi gli aspetti salienti della dinamica assai vivace delle principali parti della Finanza Sostenibile, che si presenta come una delle sfide più grandi del nostro tempo. Però, come traccerò nel paragrafo 2, questo scenario favorevole è messo in forse da alcune debolezze dell’attuale assetto della Finanza Sostenibile. Concluderò perciò che superare tali debolezze è cruciale per garantire che, anziché governarci come sudditi, la finanza torni davvero al servizio dell’uomo.

1. Per una transizione sostenibile

La finanza sta vivendo tempi di rapido cambiamento. Nel 2010, i settori finanziari dei Paesi ricchi erano in riparazione dopo essere stati l’epicentro della cfg, quando la gente comune della Main Street percepiva i bankers come auto-referenziali e avidi, tanto da chiamarli bangsters e crollava la fiducia nella finanza da parte dei clienti. Dieci anni dopo, le azioni multilivello di riparazione hanno portato quei settori finanziari a lidi più sicuri grazie a una profonda revisione regolamentare, migliori pratiche di business e investimenti fatti nell’educazione finanziaria della clientela. Al tempo stesso, la transizione allo sviluppo sostenibile è emersa come fattore di cambiamento epocale. Questa sfida – oltre a innovare prassi operative e prodotti – richiede una rivoluzione di mentalità. Esige, cioè, che la finanza si trasformi da auto-referenziale e avida a responsabile. Mentre la società chiede di accelerare la transizione, il settore finanziario sta rispondendo promuovendo la Finanza Sostenibile, un segmento interamente nuovo dedicato a supportare la green transition.

Ci si può aspettare che un ruolo importante lo giochi la regolamentazione. Pare si stia pensando a introdurre un Green Supporting Factor (gsf) così come suggerito dallo Eu’s Action Plan on Sustainable Finance. Secondo alcuni esperti l’incentivo positivo del gsf, che ridurrebbe i requisiti di capitale delle banche a fronte di prestiti verdi, sarebbe preferibile a introdurre una penalità negativa di tipo Brown Penalty, che innalzerebbe invece i requisiti di capitale per i prestiti ai settori inquinanti e/o energivori. Altri studiosi invocano una politica macroprudenziale attiva per colmare il «gap finanziario verde», promuovendo i prestiti verdi o formulando raccomandazioni politiche per i regolatori dei mercati dei capitali per incentivare l’adozione di politiche sostenibili pratiche tra gli investitori istituzionali in modo da stimolare la partecipazione delle istituzioni finanziarie non bancarie agli investimenti verdi.

In Europa, in linea anche con la visione dello European Green Deal (egd) promosso dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la Banca Centrale Europea (bce) ha dichiarato che i rischi climatici vanno considerati nel framework di politica monetaria. La presidente della bce, Christine Lagarde, chiede di accelerare la trasformazione del settore finanziario in funzione del raggiungimento di obiettivi climatici.

Uno degli strumenti chiave per raggiungere l’obiettivo è l’ulteriore sviluppo del mercato dei Green Bonds (GBs). Tale mercato fu avviato dalla Banca Europea degli Investimenti (bei) che, nel 2007, lanciò il primo Gb di sempre: il suo Climate Awareness Bond. Da allora, inizialmente con il coinvolgimento chiave delle organizzazioni multilaterali, ma in seguito con ruoli sempre crescenti del settore privato e dei governi, il mercato dei GBs è cresciuto fino a quasi $ 300 miliardi di emissioni nel 2020 (fig. 1), al punto che alcuni esperti lo identificano come il mercato in cui la Bce potrebbe effettivamente intervenire per promuovere le sue misure contro la crisi climatica.

Infatti, la bce ha di recente rivisto il suo mandato e il suo monetary policy framework include ora anche il tema della sostenibilità. Ciò viene ben spiegato nell’intervento di Schnabel (2021) cui si riferisce il resto di questo capoverso. In pratica, si riconosce che una delle tendenze strutturali più importanti che l’umanità deve affrontare nel XXI secolo è il cambiamento climatico e la transizione dell’economia verso la neutralità del carbonio. Perciò, nel rivedere la propria strategia, la bce ha analizzato in modo approfondito le vaste implicazioni dei rischi fisici e di transizione derivanti dai cambiamenti climatici sia per la stabilità dei prezzi e finanziaria, sia per la trasmissione della politica monetaria e il valore e il profilo di rischio delle attività detenute in bilancio dall’Eurosistema. Vi è evidenza che i rischi legati ai cambiamenti climatici potrebbero materializzarsi molto più rapidamente di quanto previsto in precedenza. Sebbene governi e parlamenti abbiano la responsabilità primaria di agire sui cambiamenti climatici, la bce, nell’àmbito del suo mandato, ha riconosciuto la necessità di incorporare meglio le considerazioni sul clima nel suo quadro politico. La bce si è perciò impegnata in un ambizioso piano d’azione sul clima che sarà coerente con l’obiettivo di stabilità dei prezzi e guidato da considerazioni di efficienza del mercato. Il focus delle attività della bce sarà su due grandi aree: i) migliorerà le sue capacità di modellazione analitica e macroeconomica,  svilupperà indicatori statistici per misurare l’impronta di carbonio delle istituzioni finanziarie, nonché la loro esposizione ai rischi legati al clima, e favorirà la comprensione dell’impatto macroeconomico dei cambiamenti climatici e delle politiche di transizione; ii) adatterà la struttura del suo quadro operativo di politica monetaria, per esempio, introducendo requisiti di informativa non finanziaria per le attività del settore privato come nuovo criterio di ammissibilità, o come base per un trattamento differenziato, per gli acquisti di garanzie e attività. Prenderà in considerazione anche i rischi del cambiamento climatico durante la revisione dei quadri di valutazione e di controllo del rischio per le attività mobilitate come garanzia. E adeguerà il quadro che guida l’allocazione degli acquisti di obbligazioni societarie per incorporare i criteri del cambiamento climatico. Questi includeranno l’allineamento degli emittenti con l’accordo di Parigi attraverso metriche relative ai cambiamenti climatici o impegni degli emittenti a tali obiettivi, al fine di ridurre la distorsione delle emissioni indotta dall’attuale principio di neutralità del mercato nel nostro portafoglio di obbligazioni societarie.

Del resto, ai GBs si sono poi affiancati anche i Social Bonds, arrivati nel 2020 a superare i $ 200 miliardi di emissioni, nonché i Sustainability Bonds, giunti nel 2020 a circa $ 170 miliardi di emissioni. Nel complesso, le emissioni di GBs, Social Bonds e Sustainability Bonds sono più che triplicate dal 2017 al 2020, passando da $ 190 a $ 700 miliardi.

Il primato dell’Europa nell’emissione di GBs è testimoniato dalla figura 2, dove 5 dei 12 principali paesi emittenti provengono dall’Ue per una quota di oltre il 40% delle emissioni totali. Alcuni studi mostrano che, dal 2008 al 2017, le banche internazionali hanno assegnato la maggior parte dei proventi sia per frequenza che per volume a progetti finanziati con GBs i quali hanno notevolmente ridotto il rilascio di biossido di carbonio e di emissioni di gas serra, anche attraverso l’espansione delle capacità di energia rinnovabile.

A loro volta, un importante studio recente (Flammer, 2021) documenta che l’emissione di GBs societari si è diffusa nel tempo, specie nei settori ove l’ambiente naturale è finanziariamente rilevante. Inoltre, viene mostrato che i GBs producono: i) rendimenti positivi degli annunci; ii) miglioramenti del valore a lungo termine e delle prestazioni operative; iii) miglioramenti delle prestazioni ambientali; iv) aumenti delle innovazioni ecologiche e v) un aumento della proprietà azionaria da parte di investitori a lungo termine e verdi.

Tuttavia, il comparto obbligazionario verde – GBs, Social Bonds e Sustainability Bonds – è solo una parte della Finanza Sostenibile. La parte ben più ampia quantitativamente è data dai Sustainable and Responsible Investment (Sri) Funds, detti Fondi Sri, strumenti di investimento caratterizzati da un particolare approccio di investimento «sostenibile e responsabile» definito da Eurosif (European Sustainable Investment Forum) come «un approccio di investimento orientato al lungo termine che integra fattori esg [Environmental, Social, Governance] nella ricerca, nel processo di analisi e nella selezione dei titoli all’interno di un portafoglio di investimento. Combina l’analisi fondamentale e l’impegno con una valutazione dei fattori esg al fine di catturare meglio i rendimenti a lungo termine per gli investitori e a beneficio della società influenzando il comportamento delle aziende».

Valutare la dimensione precisa del mercato dei fondi sri è ostico, perché mancano statistiche ufficiali. Però, si può fare una stima di massima affidandoci a diverse fonti: Vigeo-Eiris, Eurosif, kpmg e gsia (Global Sustainable Investment Alliance). Per esempio, nell’ultima edizione oggi disponibile dell’European Sri Study, Eurosif quantifica per il 2018 le attività di 263 fondi Sri intervistati in un totale di € 20 trilioni, mentre efama (European Fund and Asset Management Association) sempre per il 2018 riporta che il totale delle attività gestite in Europa raggiungeva € 25,2 trilioni. Nonostante tali dimensioni ragguardevoli e in crescita, nel 2018 Eurosif stimava un gap di investimenti aggiuntivi in Finanza Sostenibile di $ 180 miliardi ogni anno fino al 2030 per poter raggiungere gli obiettivi sul clima della Commissione Ue.

Eurosif individua poi sette classi di strategie Sri: 1) Investimento a tema sostenibilità; 2) Selezione degli investimenti Best-in-Class; 3) Esclusione di partecipazioni dall’universo di investimento; 4) Screening basato su norme; 5) Fattori di integrazione esg nell’analisi finanziaria; 6) Engagement e voto in materia di sostenibilità; 7) Impact investing. L’integrazione esg è la strategia preferita, in crescita del 60% dal 2016 al 2018 in base ai dati Eurosif. La strategia più efficace per indurre le aziende su cui si investe ad adottare comportamenti più responsabili è invece l’Engagement e voto (Ferri e Intonti 2018).

2. Accelerare la crescita della Finanza Sostenibile

Una delle questioni irrisolte più importanti è come soddisfare la domanda potenziale di investimenti sostenibili da parte dei risparmiatori – che vorrebbero divenire cittadini migliori investendo in modo sostenibile, magari senza sacrificare troppo i rendimenti – con l’offerta potenziale da parte degli emittenti – la maggior parte dei quali si aspetta di ottenere fondi più finalizzati e a buon mercato qualificandosi come enti che adottano comportamenti sostenibili. Qui, data la complessità della questione, gli investitori debbono essere guidati da esperti. Nel tempo, come si è visto, l’industria della Finanza Sostenibile si è imperniata sempre più sui rating esg. Alcuni esperti documentano la validità del framework esg.

Tuttavia, la validità dei rating esg viene spesso messa in discussione. In particolare, attirate dai benefici della Finanza Sostenibile, le società emittenti possono lasciarsi tentare dal green – e/o socialwashing dichiarandosi più sostenibili di quanto non sia in effetti e, magari, le agenzie di rating possono essere fuorviate e concedere rating esg troppo elevati. Vari studiosi hanno analizzato il fenomeno individuandone alcune caratteristiche ricorrenti. Per esempio, Drempetic e altri (2019) studiano se gli investimenti sri rispettino un codice etico adeguato quando seguono i punteggi esg forniti dalle agenzie di rating. Usando le valutazioni esg Thomson Reuters Asset4 per analizzare l’influenza delle dimensioni dell’azienda, le sue risorse disponibili per fornire dati esg e la disponibilità di dati esg dell’azienda sulle proprie prestazioni di sostenibilità, trovano una correlazione positiva significativa tra le variabili dichiarate, che può essere spiegata dalla legittimità organizzativa. Tali risultati sollevano la questione se il modo in cui il rating esg misura la sostenibilità societaria dia un vantaggio alle grandi imprese con più risorse senza offrire agli investitori sri le informazioni necessarie per scegliere in base ai propri orientamenti.

Nello stesso senso la figura 3 [ripresa da Doyle (2018)] mostra chiaramente che il livello medio dei rating esg sale del 40% (da 46 a 64) passando dalle aziende a micro- a quelle a mega-capitalizzazione. E, ancora, la figura 4 [ripresa da LaBella e altri (2019)] mostra che la distorsione dei rating esg a favore di emittenti a maggiore capitalizzazione di mercato, seppur in misura diversa, è presente ovunque presso tre delle principali agenzie di rating esg. Il problema della qualità dei rating esg è poi aggravato dal fatto che spesso è bassa la coerenza tra le varie agenzie nel rilascio di rating esg alla stessa azienda, come rivelato dalla correlazione limitata tra le diverse agenzie (fig. 5) [ripresa dal progetto di Berg e altri (2019) e riportato in Directorate-General for Financial Stability, Financial Services and Capital Markets Union (European Commission), Erm Study on sustainability-related ratings, data and research. January 2021].

Sempre sul tema, D’Apice e altri (2020, 5920) mostrano che politiche di disclosure di migliore qualità si associano a una performance più sostenibile per le imprese europee quotate a più alta capitalizzazione, mentre Ferri e Lipari (2019: 79-93) valutano il modo in cui un’azienda si deve strutturare o ristrutturare per adattarsi all’evoluzione della finanza verde. Sostengono che, per attingere alla finanza verde un’azienda dovrebbe strutturarsi (se una start-up) o riorganizzarsi (se già in attività) in modo da essere conforme alla sostenibilità e in grado di mostrarlo in modo credibile, vale a dire evitando green/social washing. A sua volta, questo passaggio richiede che un’impresa adotti un approccio di gestione finanziaria sostenibile, che può essere ottenuto assumendo manager di Finanza Sostenibile (specie nelle imprese medio-grandi) o esternalizzando tale funzione a esperti di consulenza esterna. In entrambi i casi, l’impresa deve poter ottenere una buona valutazione esterna, in genere un rating esg credibile.

Interventi migliorativi

Alla luce delle problematiche descritte, considerando che è ormai quasi impossibile fare a meno della bussola esg all’interno dei segmenti più dinamici della Finanza Sostenibile, servono interventi per migliorare la situazione attuale. In primis, va affinata la funzionalità delle agenzie di rating esg. Come già sperimentato in precedenza con le agenzie di rating finanziario (i nomi più famosi restano Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, le quali peraltro di recente hanno fatto campagna acquisti tra le agenzie di rating esg), vi è da chiedersi se i meccanismi di reputazione di mercato vadano integrati con interventi regolamentari. La scelta integrativa, già compiuta nell’Ue per le agenzie di rating finanziario, potrebbe verosimilmente essere estesa anche al mondo dei rating esg.

Il secondo intervento necessario, per limitarsi ai due principali, dovrebbe estendere l’accesso ai rating esg alle tantissime aziende che oggi di fatto ne sono fuori. In tal senso, visti i costi di accesso alla rendicontazione non finanziaria, passaggio necessario per poi accedere ai rating esg, è necessario progettare forme di rendicontazione non finanziaria semplificate che abbassino tali costi e, così facendo, amplino l’accesso ai rating esg anche a classi di aziende finora in pratica escluse. In tale direzione pare muoversi la proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2013/34/Ue, la direttiva 2004/109/Ce, la direttiva 2006/43/Ce e il regolamento (Ue) n. 537/2014 per quanto riguarda la comunicazione societaria sulla sostenibilità. È stato dato mandato a Efrag (European Financial Reporting Advisory Group) di elaborare uno schema semplificato per estendere la reportistica non finanziaria anche alle aziende di dimensioni piccole o minori. C’è da sperare che l’intervento funzioni, altrimenti, restando l’accesso alla Finanza Sostenibile limitato alle aziende medio-grandi, si porrebbe un grosso problema di democrazia economica. E, da essere la paladina, come accennato sopra, del recupero della responsabilità nella finanza, la Finanza Sostenibile potrebbe degenerare in una semplice «foglia di fico».

Voglio ricordare che la finanza è uno strumento e, come tale, può dare benefici, se usata e incanalata in modo appropriato, oppure provocare distorsioni dannose nella società, se abbandonata alla mercé di istinti predatori. Una qualche forma di regolamentazione è indispensabile affinché l’innovazione finanziaria si muova con modalità benefiche, anziché nocive. Ciò non vuol dire tornare alle regole fortemente restrittive degli anni ’30. Nel mondo di oggi, infatti, si può pensare che, più che stabilendo limiti e divieti, le politiche a orientamento della finanza possano funzionare meglio offrendo incentivi. La messa in opera di incentivi adeguati può guidare la finanza verso lidi in cui si colgono le opportunità dell’innovazione finanziaria per accrescere il bene comune senza dover sopportare i costi di una instabilità finanziaria endemica. È questa la strada che, sebbene in modo ancora a volte contraddittorio, sembra aver intrapreso l’Unione Europea progettando il Piano d’azione sulla Finanza Sostenibile e preparandosi ad applicarlo con l’European Green Deal e le altre politiche di accompagnamento alla transizione sostenibile.

 

Referenze:

Berg, F., Koelbel, J. F., & Rigobon, R. (2019). Aggregate confusion: The divergence of ESG ratings. MIT Sloan School of Management.

D’Apice, V., Ferri, G., & Lipari, F. (2020). Sustainable Disclosure Policies and Sustainable Performance of European Listed Companies. Sustainability, 12(15), 5920.

Doyle, T.M. (2018). Ratings that don’t rate: the subjective world of ESG ratings agencies. American Council for Capital Formation.

Drempetic, S., Klein, C., & Zwergel, B. (2019). The influence of firm size on the ESG score: Corporate sustainability ratings under review, «Journal of Business Ethics».

Ferri, G. & Intonti, M. (2018). SRI Funds. I fondi eticamente orientati e la finanza sostenibile. Aracne Editrice.

Ferri, G. & Lipari, F. (2019). Sustainable Finance Management, In Migliorelli, M. e P. Dessertine. Eds. The Rise of Green Finance in Europe. Palgrave Macmillan, Cham (2019): 79-93.

Flammer, C. (2021). Corporate green bonds, «Journal of Financial Economics».

La Bella, M. J., Sullivan, L., Russell, J. & Novikov, D. (2019) The devil is in the details: the divergence in ESG data and implications for responsible investing. New York: QS Investors

Schnabel, I. (2021). A new strategy for a changing world, discorso del Member of the ECB Executive Board al Peterson Institute for International Economics, 14 luglio.