Com’è difficile ricordare Cesare Cavalleri su questa pagina che è stata sua fin dal febbraio 1966. È impossibile compendiare una vita così feconda in poche battute. Penso alla storia di Agostino sulla spiaggia, il suo smarrimento, quando vide un bambino con una conchiglia che voleva versare il mare in una buca. Ma penso anche che per Cesare questo sia il tempo della riconoscenza. Ero al suo fianco quando scrisse l’editoriale per la morte di san Giovanni Paolo II. Un editoriale diverso, con il cuore in mano, in cui Cesare raccontava in qualche modo qualcosa di sé (non lo faceva spesso). Era scandito dalla parola “Grazie”. E dato che ai discepoli non spetta che seguire le orme dei maestri, desidero ricalcare quel pezzo, mentre scorrono davanti ai miei occhi i funerali di Benedetto XVI.

E quindi, grazie Cesare, per aver cercato la verità nella tua vita, senza volgere lo sguardo indietro, e risalendo spesso controcorrente, come l’Anguilla, «freccia d’Amore in terra» del tuo amato Montale. Quel Montale che hai recitato a memoria e con gioia in casa di amici pochi giorni prima di restare a letto. Per aver sempre difeso la vita, dal concepimento sino alla sua naturale conclusione, lo hai fatto su tutte le tue pagine e soprattutto in quell’apostolato di “amicizia e confidenza” che hai imparato da san Josemaría Escrivá e che è diventato ragione della tua esistenza. Non è un caso che tu sia morto nella festa dei Santi Innocenti.

Grazie per aver formato tanti scrittori e lettori alla tua esigente scuola, secondo la massima poundiana per cui «La bellezza è difficile». E grazie per la tua scrittura di diamante, limpida e così affilata.

Grazie per il tuo Letture: è un controcanone del Novecento da insegnare nelle scuole di giornalismo (e presto pubblicheremo la nuova edizione arricchita).

Grazie per aver voluto il Cavallo rosso a occhi chiusi. È un romanzo che ha fatto sognare generazioni. Grazie perché hai amato con dolcezza la poesia, perché sapevi che aiuta a “vivere meglio”.

Grazie anche per le lacrime del tuo ultimo video Facebook su Ungaretti, forse intuivi che era il tuo congedo. Grazie perché amavi gli aforismi, in particolare quello di Karl Kraus secondo cui «Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi».

Grazie per tutti i tuoi interessi che hai trasmesso a chi ti era vicino: la moda (le tue cravatte!), la musica (la divina Callas, la Vanoni di cui conservavi il ritratto dietro la porta, Nilla Pizzi, che ci ha fatto ascoltare quando eri già malato).

Grazie perché eri grafologo, costruivi Origami e consultavi i Ching, amavi gli astri ed eri orgoglioso di essere Scorpione.

Grazie perché eri appassionato di bricolage: con tua cassetta degli attrezzi riparavi (quasi) ogni guasto in casa editrice.

Grazie perché per tutta la vita hai letto e annotato i Salmi, il Libro di Giobbe, Qoelet e Il cantico dei Cantici.

Grazie perché hai insegnato che in editoria bisogna saper dire di no e perché alle spalle della tua scrivania leggevamo: «Se davvero volete aiutarmi vogliate passare i vostri consigli agli editori concorrenti». Grazie per averci insegnato che il senso del dovere non è il doverismo.

Grazie perché tutta la vita hai cercato il Volto Santo e per la foto della Sindone a fianco degli autografi di Eliot, Quasimodo e Buzzati.

Grazie per aver tradotto Il libro della passione di José M. Ibánez Langlois.

Grazie perché hai insegnato come muore un cristiano abbandonato in Dio.

Grazie per la tua ultima intervista per Avvenire hai confidato: «Ho sempre cercato di stare vicino al Signore, anche con la lotta ascetica. La vicinanza di Dio non l’ho mai messa in dubbio. È questo che mi lascia tranquillo».

Grazie perché mi hai consentito di iniziare a lavorare con te un giorno di vent’anni fa, nonostante avessi sbagliato l’ora del nostro colloquio e tu avessi commentato «Iniziamo bene…».

E grazie perché il primo giorno di lavoro mi assegnasti l’editing di un articolo tormentato, e dopo averlo riconsegnato mi fulminasti: «Voglio proprio complimentarmi con te, non era davvero facile peggiorare questo pezzo…».

Grazie per tutto questo, Cesare, e per molto altro, adesso continueremo sulla strada che hai tracciato, c’è tanto da fare, ma siamo pronti e siamo la squadra bellissima che tu hai voluto…