Alla fine, anche l’edizione del mondiale del Qatar è stata archiviata. Per che cosa la ricorderemo? La risposta più semplice, per un italiano, potrebbe essere scontata: ci ricorderemo questi mondiali come la seconda volta in cui la nazionale italiana non ha partecipato. Tuttavia, se lasciamo perdere per un po’ i soliti catastrofismi nostrani, tantissimi sono gli spunti, i momenti memorabili forniti da questi ventotto giorni di calcio.

Innanzitutto, ricorderemo questa edizione come quella della finale più straordinaria degli ultimi anni, se non la più bella della storia: la partita tra Francia e Argentina non è stato uno scontro per deboli di cuore. Io personalmente, dopo il rigore di Montiel che ha regalato la coppa all’albiceleste, ero prostrata, esausta: 90 minuti regolamentari, 30 di supplementari e i rigori: in mezzo l’Argentina che domina la prima mezz’ora e va in vantaggio di due goal con Messi e Di Maria – che conclude in porta un’azione in contropiede splendida – poi, dopo 50 minuti di noia – i due minuti mortiferi di Kylian Mbappè, il giocatore generazionale dei prossimi dieci anni, che con una doppietta all’80° e all’81° riacciuffa l’Argentina, ormai prossima allo psicodramma, con i giocatori già in lacrime. Messi riporta avanti l’Argentina, prima dell’ennesimo rigore della serata causato da Montiel che consente a Mbappè di segnare una tripletta in finale di un mondiale. Finita? macchè: a venti secondi dai rigori, l’eroe della serata assume le sembianze del portiere sudamericano Emiliano Martinez, divisa verde e un pacchianissimo taglio di capelli con la bandiera dell’Argentina, che si inventa una parata senza senso su Colo Muani, da vedere e rivedere.

Non c’è stata una finale, ci sono state più partite una dentro l’altra: alla fine l’Argentina ha meritato la vittoria, per il percorso e per come ha affrontato la gara. Certo dall’altra parte Mbappè si starà chiedendo come si possibile aver segnato una tripletta e non portarsi a casa il trofeo. La finale è stata anche il coronamento definitivo dell’epopea di Lionel Messi, cui mancava solo il mondiale con la sua nazionale per consacrarsi: troppe volte criticato, accusato di non “impegnarsi” abbastanza con l’albiceleste, aveva toccato il fondo con la sconfitta ai mondiali del 2014 in Brasile: il 18 dicembre 2022 ha compiuto l’impresa che un intero paese gli chiedeva e che aspettava dal 1986, quando Diego Armando Maradona, il suo “scomodo predecessore” portò l’Argentina sul tetto del mondo a Città del Messico.

Finalmente Messi si scrolla di dosso le pressioni, i paragoni con il “Diez”: ora sono allo stesso livello. Due i momenti “maradoniani” da incorniciare: Montiel sta per calciare il rigore decisivo, se segna è vittoria. A centrocampo, come da copione i suoi compagni sono uno a fianco all’altro, abbracciati, in trepidazione: l’inquadratura stacca su Messi di cui si legge il labiale mentre Montiel parte per calciare “Vamos Diego daselo!”.

Il secondo, durante i festeggiamenti in campo: Sergio Aguero, pazzo di gioia, in campo come se avesse giocato, si carica sulle spalle Messi e la coppa: le immagini di Maradona nel 1986 portato in trionfo con la coppa sono totalmente sovrapponibili.

Di questo mondiale ricorderemo i record, infranti ancora una volta: in cima ancora Messi, che diventa il calciatore con più presenze ai mondiali, 26, superato Lothar Matthaus e supera anche Paolo Maldini come numero di minuti effettivi giocati: 2.332. Inoltre, il 3 dicembre contro l’Australia ha registrato la presenza numero 1.000 da professionista. C’è poi Olivier Giroud, partito per il Qatar come riserva del Pallone d’Oro, Karim Benzema, e catapultato nel giro di qualche giorno al centro dell’attacco dei Bleus a causa dell’infortunio del nove del Real Madrid. Nella partita d’esordio contro l’Australia sigla una doppietta con cui raggiunge un certo Thierry Henry come miglior marcatore della storia della Francia, superandolo poi segnando contro la Polonia agli ottavi di finale. Non male per un attaccante considerato normale. Certo il suo record non durerà molto: alla sue spalle Mbappè, a ventitrè anni, ha già segnato trentatrè goal in Nazionale.

Cristiano Ronaldo: fine di un’epoca

Per giocatore generazionale che raggiunge la consacrazione della carriera, c’è n’è un altro la cui parabola prende definitivamente la via discendente: la storia di Cristiano Ronaldo a questo mondiale ha assunto i contorni di una telenovela di serie B. Le premesse sono pessime: il 14 novembre Ronaldo rilascia una lunga intervista al giornalista del “The Sun” Piers Morgan in cui in modo infantile, attacca allenatore, dirigenti e ambiente del Manchester United rei di non averlo accolto come si aspettava: considerando che alcuni compagni del Manchester giocano con lui in nazionale, l’atmosfera non può essere serena. Il Portogallo si qualifica  agli ottavi, ma gioca male le prime gare del girone con Ronaldo titolare, che non riesce a incidere tranne nel goal-non goal contro l’Uruguay. Poi agli ottavi contro la Svizzera, l’allenatore Fernando Santos, lo panchina, scatenando aspre polemiche, optando per Gonzalo Ramos, punta ventenne del Benfica che per gettare benzina sul fuoco segna una splendida tripletta: il primo goal è poi uno dei miei preferiti del mondiale. Al 17° Ramos riceve un pallone vagante in area: è in posizione decentrata sulla sinistra, a quattro/cinque metri dall’area piccola. Tra sé e la porta c’è il centrale elvetico Fabian Schär. Con un solo tocco di destro verso l’esterno, Ramos riesce a girarsi e a prendere in controtempo il difensore, lentissimo nel capire la giocata: da lì calcia fortissimo in porta sul primo palo all’incrocio: la palla è talmente violenta  e tesa che tra i pali Yann Sommer non fa in tempo nemmeno a muoversi che il pallone è già alle sue spalle, in rete. Mentre Ramos esulta, le telecamere cercano Ronaldo, impietrito in panchina: non si alza per andare ad esultare. Chissà cosa gli sarà passato nella testa mentre guardava il suo eterno rivale, Messi, trascinare la sua nazionale a furor di popolo in finale e poi con la coppa in mano.

Non lo sapremo mai, anche perchè la telenovela Ronaldo-Mondiali si è interrotta ai quarti, grazie a un grande classico delle rassegne sportive: la favola, la squadra che non ti aspetti. Questa volta è stata il turno del Marocco, la cenerentola maghrebina come ha dettto qualcuno, la prima squadra africana ad arrivare a una semifinale dei mondiali con un percorso d’oro: dopo aver vinto il proprio girone davanti a Croazia e Belgio, ha eliminato una dopo l’altra la Spagna e il Portogallo prima di arrendersi, ma non senza combattere, a una Francia sorniona. Sugli scudi, il portiere Yassine Bounou tra i migliori del torneo e un allenatore, Walid Regragui che ha saputo costruire una squadra e un gioco su un chiaro sistema difensivo ma con alcune individualità di altissimo profilo per colpire in ripartenza: su tutti Achraf Hakimi e Hakim Ziyech.

Fifa bocciata

Ricorderemo, infine, questo mondiale per le durissime polemiche che ne hanno accompagnato lo svolgimento fin dall’assegnazione del torneo al Qatar nel 2010. Mai come in questo periodo si è parlato delle ipocrisie della Fifa – l’organo che presiede il calcio mondiale – e della corruzione dei suoi membri: come sia stato possibile che un paese senza tradizione calcistica, grande come l’Abruzzo – con gravi problemi logistici e organizzativi: ventotto giorni di gare invece che trentadue, otto stadi invece che i soliti dieci-dodici, peraltro tutti nella area urbana, quella di Doha – quasi del tutto desertico, con temperature che possono raggiungere anche i 50° sia stato scelto come teatro di uno degli eventi più importanti al mondo? Per ovvi motivi il torneo è stato spostato a dicembre, in stadi con aria condizionata, con un enorme dispendio di energia e di risorse idriche per mantenerli funzionanti. Il tutto aggravato dalla pesantissima ombra del numero di operai morti durante la costruzione degli stadi e da un regime noto per la costante violazione alla luce del sole dei diritti umani più elementari. La riposta è facile: i soldi.

Molte inchieste e reportage sono nati per denunciare le crepe di questa assegnazione, tra le più interessanti in Italia c’è Sabbia, il podcast del giornale online Sportellate e il volume La coppa del morto di Valerio Moggia. L’informazione corretta è senza dubbio un’ottima arma: continuiamo a coltivare la speranza che il calcio e lo sport in generale siano un momento di unione e di crescita, e di celebrazione delle grandi imprese.

Appuntamento ai mondiali del 2026, che saranno ospitati dai paesi del nord america, Usa, Canada e Messico: speriamo ci sia anche l’Italia, stavolta.