«Ho sempre invitato i miei collaboratori ad assumere con decisione il motto: “Comunicare per unire, comunicazione per costruire comunione”». Sono parole di padre Federico Lombardi, già direttore della Radio Vaticana, della Sala Stampa della Santa Sede e del Centro Televisivo Vaticano. Parole che – lo ricorda Alessandro Gisotti in un articolo per Vaticannews – riassumono bene l’ispirazione che ha guidato il lavoro del religioso al servizio di Benedetto XVI e Francesco. Un’esperienza, quella di padre Lombardi, della quale ora ogni lettore potrà meglio venire a conoscenza grazie al libro Papi, Vaticano, Comunicazione (pp. 184, euro 20), edito in collaborazione fra la casa editrice Áncora e la rivista La Civiltà Cattolica, con prefazione di Ferruccio de Bortoli, già direttore del Corriere della sera.

Il volume raccoglie vari contributi di padre Lombardi sul tema della comunicazione, interventi nei quali l’autore fornisce una chiave di lettura originale, dal di dentro, sia sui pontificati di Karol Wojtyła, Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio sia, più nello specifico, sull’azione delle strutture vaticane che si occupano di comunicazione. La prima parte è dedicata ai tre Papi ai quali padre Lombardi è stato vicino; mentre nella seconda parte l’autore racconta l’esperienza alla guida della Radio Vaticana, del Centro Televisivo Vaticano e della Sala stampa della Santa Sede.

La narrazione si dipana attraverso passaggi storici cruciali (come le transizioni da un pontificato all’altro), gli sviluppi della tecnologia, momenti di entusiasmo e tempi di crisi. Chiudono la pubblicazione cinque note con le quali padre Lombardi, in qualità di direttore della Radio Vaticana, ha preso posizione su vicende particolari che hanno suscitato dibattiti anche accesi.

Il libro aiuta a capire meglio che cosa significhi per padre Lombardi, oggi presidente della Fondazione Ratzinger-Benedetto XVI, «comunicare»: non un fatto tecnico, né tanto meno uno strumento per esercitare un potere, ma una missione che ha il suo perché nell’amore di Dio. «La missione di Gesù», scrive Lombardi, «è comunicazione. La missione della Chiesa è comunicazione. La crescita dell’umanità e della pace avviene attraverso la comunicazione, da Babele a Pentecoste». Di qui l’esortazione a comunicare per unire e l’impegno a favore di una comunicazione al servizio della bontà, della bellezza e della verità.

La vicenda degli abusi sessuali nella Chiesa dimostra che questo tipo di comunicazione comporta costi gravosi, ma padre Lombardi è convinto che occorra continuare a crescere nella cultura della trasparenza. Il metodo migliore? «Essere sempre veritieri e schietti», anche «riconoscendo i limiti delle nostre conoscenze». Particolarmente significativo, sotto questo profilo, il capitolo dedicato al lavoro di portavoce, nel quale, accanto a un omaggio al predecessore Joaquín Navarro-Valls, si trovano alcuni consigli pratici rivolti a chi si occupa di comunicazione istituzionale: «Anzitutto non bisogna mai cessare di insistere sull’uso di un linguaggio chiaro, semplice e comprensibile, non troppo astratto e complicato o specialistico». Importante è che il comunicatore emerga come «persona sincera, che si mette in gioco in ciò che dice, capace di trasmettere convinzioni ed emozioni al di là di un linguaggio freddo e burocratico».

All’interno dell’esperienza di padre Lombardi i ventisei anni trascorsi alla Radio Vaticana, prima come responsabile dei programmi e poi come direttore, occupano uno spazio di primissimo piano ed è naturale che lì, nella sede di Palazzo Pio, a due passi da Castel Sant’Angelo, come scrive Ferruccio de Bortoli, il gesuita si senta ancora a casa sua, «avvolto da una familiarità protettiva» nonostante egli sia, in fondo, «un nostalgico di Gutenberg».

Nel capitolo intitolato Buone notizie per il mondo, Lombardi confida al lettore: «Ho sempre pensato che il mio era un servizio eccezionalmente bello e privilegiato, perché ero al servizio di una comunicazione positiva, costituita in massima parte di messaggi di amore, di speranza, di solidarietà, di dignità delle persone, di crescita umana, di perdono, di pace… Che cosa di più grande e bello potevo desiderare di fare?».

Il 21 novembre, solennità di Cristo Re, è morto in Marocco, all’età di 97 anni, fratel Jean-Pierre Schumacher, il religioso che nel 1996 era sopravvissuto con un altro confratello al massacro dei monaci di Tibhirine. Fratel Jean-Pierre si è spento al monastero di Notre-Dame de l’Atlas di Midelt, nella comunità dell’Ordine cistercense della stretta osservanza (trappisti).

Nato nel 1924 in Lorena, cresciuto in una famiglia operaia cattolica di sei figli, studiò dai padri maristi. Ordinato sacerdote nel 1953, entrò nell’Abbazia di Notre-Dame de Timadeuc in Bretagna e nel 1964 partì per Tibhirine, in Algeria, per dar vita con otto confratelli a una piccola comunità in mezzo a un ambiente musulmano, povero tra i poveri. Nonostante le minacce, e pur coscienti del pericolo che correvano, i monaci decisero di rimanere nel monastero e lì, nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, sette di loro furono rapiti da uomini armati. Fratel Jean-Pierre Schumacher era il portiere di notte e stava pregando in ginocchio accanto al letto quando la maniglia scricchiolò: «Girava a vuoto perché, come ogni sera, avevo sganciato il chiavistello, per sicurezza», racconta in The Spirit of Tibhirine, libro scritto con il giornalista Nicolas Ballet. Pensando che i sette monaci catturati (tra i quali il priore, padre Christian de Chergé) fossero tutti gli abitanti del monastero, gli uomini armati se ne andarono, e i sette furono poi trucidati. Perché solo Jean-Pierre e il fratello Amédée sopravvissero? La domanda accompagnò il monaco per tutti i restanti anni della sua vita, e fu una suora svizzera a rispondere: «Ci sono fratelli portati a testimoniare con il dono della loro vita e altri a farlo attraverso la loro vita».

Durante la visita apostolica di Francesco in Marocco, nel 2019, fratel Jean-Pierre poté incontrare e abbracciare il Pontefice.

Negli Stati Uniti si sta girando un film sui miracoli eucaristici ispirato a Carlo Acutis, il giovane proclamato beato da Francesco il 10 ottobre 2020. La notizia arriva dalla California, dalle montagne Tehachapi, dove 171 volontari sono riuniti per girare la pellicola dal titolo Eucharistic Miracles. Comprendente una serie di interviste, la pellicola propone, tra le altre, le testimonianze del vescovo Joseph Strickland di Tyler, nel Texas, del cardinale Francis Arinze, già prefetto della Congregazione per il Culto divino, del teologo Scott Hahn e di alcuni medici, tra i quali l’italiano Franco Serafini che ai miracoli eucaristici ha dedicato il libro Un cardiologo visita Gesù. I miracoli eucaristici alla prova della scienza (ESD, pp. 223, euro 20). Il film, che si potrà vedere tramite un’app in fase di sviluppo, viene girato grazie al contributo di attori volontari e a una sottoscrizione di fondi.