Se si parla di nuovo umanesimo è perché l’umanesimo storico, le cui origini risalgono ai secoli XIV-XV, appartiene a un’epoca ormai conclusa. Questa corrente culturale, sorta sul finire del Medioevo e in reazione a esso, è stata inizialmente caratterizzata soprattutto da una riscoperta dei classici greci e latini. Ha poi preso la forma di un progetto più ampio: influire culturalmente sul proprio tempo, prescindendo dall’eredità della cultura medievale e fondandosi direttamente sull’antichità greco-romana. Ne è scaturito un progetto ancora più ambizioso: forgiare l’identità di una nuova epoca, definendola in aperta rottura con la precedente.

A una logica analoga si ispirano anche i termini “Rinascimento” – che suppone l’esaurimento di una fase precedente divenuta quasi senza vita – e “modernità” – che ha definito sé stessa in rapporto alla classicità, relegando il millennio che le separa in un’irrilevante “età di mezzo”. Umanesimo, Rinascimento, modernità, insomma, sono tra loro strettamente collegati.

Le coordinate dell’Umanesimo

La svolta umanistica si è imposta in coincidenza con la fine dei rapporti tra l’Europa e ciò che si trova al suo Est e al suo Sud. Dissolto l’impero mongolo, si affermò quello Ottomano e comunicazioni che erano state vitali per millenni si interruppero: collegamenti antichissimi – come la Via della Seta – furono abbandonati e si dissolse quell’ecumene euro-afro-asiatica che da tempi molto remoti aveva unito tre continenti.

Anche per questo gli europei sono diventati sempre più “occidentali”, separati e contrapposti a quell’immenso retroterra con cui avevano intessuto legami per molti secoli, da cui venivano i loro progenitori e in cui si radicavano le loro lingue e culture. In tale nuovo contesto storico, gli europei hanno elaborato una nuova visione di sé stessi e del mondo, che la parola umanesimo esprime bene. Al centro di tale progetto, infatti, c’è stata la sostituzione di una prospettiva teocentrica, come quella che ha segnato il Medioevo, con una prospettiva antropocentrica.

Lo spazio del Sacro e del profano

Gli umanisti non volevano uscire dal cristianesimo. Le sue radici sono profondamente cristiane: nessuna tradizione religiosa o culturale ha mai esaltato l’uomo come ha fatto il cristianesimo anche nelle sue espressioni maggiormente teocentriche. L’umanesimo, perciò, non si è allontanato dal cristianesimo, ma l’ha reinterpretato mettendo l’uomo e non più Dio al centro della scena. Serviva ridurre lo spazio del sacro e aumentare quello profano perché l’uomo (o, meglio, l’europeo) potesse sviluppare nuovi valori e nuovi comportamenti, nuove conoscenze e nuove attività, nuove costruzioni sociali e nuovi percorsi geografici.

Si è trattato di una svolta religioso-culturale che ha enfatizzato la dimensione dell’interiorità, la creatività artistica, la conoscenza scientifica ecc. e più in generale la formazione di quello che chiamiamo l’individuo (maschio) moderno: viaggiatore, esploratore, soldato, missionario, mercante, imprenditore ecc. Tale individuo è stato protagonista della costruzione di un nuovo tipo di economia, quella capitalistica; di grandi strutture politico-istituzionali, gli Stati moderni; e della grande espansione nel mondo che la piccola Europa ha continuato a perseguire fino al XX secolo: per quasi cinquecento anni globalizzazione ha coinciso con europeizzazione o occidentalizzazione.

La fine dell’eurocentrismo

Questo ruolo europeo nel mondo è finito nella seconda metà del XX secolo. Gli europei hanno faticato ad accettare che il mondo fosse uscito dal loro controllo. Nel corso del Novecento, si è lungamente sviluppato un cupo dibattito sul “tramonto dell’Occidente” che ha alimentato nostalgie rancorose, politiche di violenza, progetti di aggressione. Anche il razzismo nazista e il folle progetto hitleriano di dominio sul mondo intero hanno costituito, in parte, una forma di reazione al ridimensionamento europeo. Abbiamo inoltre vissuto l’illusione che l’egemonia occidentale potesse continuare in altra forma attraverso la potenza degli Stati Uniti legati all’Europa da profondi legami storici. Indubbiamente il ruolo americano è stato molto importante nel XX secolo (e, in parte, lo è ancora).

Ma è stato sbagliato pensare che gli Usa potessero prendere il posto avuto dal Vecchio continente nei secoli passati. Gli Stati Uniti sono diventati nel tempo la parte più forte e più dinamica dell’intero “sistema mondo” occidentale – per usare la definizione di Immanuel Wallerstein – una parte, però, che trae la sua forza anche dal legame con le altre e dalla loro influenza nel mondo, mai perciò totalmente separabile dal resto del sistema.

L’illusione di un’egemonia occidentale che proseguiva grazie ai soli Stati Uniti è stata alimentata anche da una lettura unilaterale del collasso sovietico: nei primi anni Novanta, gli Usa sono rimasti l’unica superpotenza mondiale ma ciò non significava che fossero in grado di imporre il loro ordine al mondo intero. Né tantomeno che potessero impedire l’emergere di nuovi attori o, addirittura, di nuove grandi potenze mondiali come la Cina. Anche negli Stati Uniti ha cominciato così a svilupparsi qualcosa di simile al cupo dibattito europeo sul tramonto dell’Occidente, sotto forma di una discussione sull’inevitabile “declino” americano e su funeste previsioni di uno “scontro di civiltà”.

Il futuro è possibile

Ma né gli incubi europei del Novecento incentrati sul tramonto dell’Occidente né i fantasmi suscitati dal “declino” americano nel XXI secolo sono fondati sulla concreta realtà storica in cui viviamo. L’Europa non domina più il mondo intero, ma non per questo è senza futuro. Gli Stati Uniti non esercitano più un’egemonia incontrastata, ma sono tuttora una superpotenza. Indubbiamente, la maggior parte del mondo è popolata da non occidentali e forti sono i sentimenti anti-occidentali.

Ma sarebbe sbagliato farsi dominare da pulsioni di nostalgia autodistruttiva. In primo luogo, la realtà del mondo così com’è oggi rappresenta anch’essa un successo europeo occidentale: proprio l’espansione europea prima e l’iniziativa americana poi hanno favorito infatti l’emersione di altri protagonisti dei processi di globalizzazione, che sono diventati gradualmente sempre più importanti. Anche oggi, pur rappresentando solo un settimo dell’umanità, pesa assai più che per un settimo. Più dei suoi nemici esterni, l’Occidente deve temere soprattutto un nemico interno: la convinzione che l’uso della forza sia l’unica strada percorribile. È in questo contesto che si pone oggi la questione se sia possibile un nuovo umanesimo e in che cosa debba consistere.

Da visione della storia ispirata dalla preghiera: la “Devotio moderna”

Come si è visto, l’umanesimo ha rappresentato la premessa e il cuore di un progetto storico molto ambizioso, quello che ha realizzato la modernità occidentale. Oggi, quando si è ormai conclusa la stagione di quella modernità, prima ancora di elaborare un progetto per una nuova epoca – anche se questa volta non più da solo, bensì insieme ad altri – l’Occidente è chiamato a interrogarsi su che cosa possa ispirare tale progetto come ha fatto, appunto, l’umanesimo secoli fa. È una domanda complessa e difficile.

Ma la storia contiene sempre lezioni che possono essere utili. La prima riguarda la religione che potrebbe ispirare un nuovo umanesimo. La pretesa di offrire una visione complessiva sull’uomo – quindi anche sulla società, sulla storia, sul mondo e sul destino di tutto questo – implica inevitabilmente una dimensione religiosa. L’umanesimo, come si è già accennato, si è radicato nel cristianesimo e ha fatto leva su un nuovo modo di viverlo, quello praticato dalla devotio moderna, incentrata sull’interiorità dell’individuo e non più sulla fede comunitaria secondo il modello monastico medievale.

La devotio moderna ha prodotto la rivoluzione silenziosa che ha preceduto sia la Riforma sia il cattolicesimo post-tridentino, divisi ma anche uniti dalla grande querelle sulla giustificazione e cioè sulla via e sui modi della salvezza. Alimentato dalla rivoluzione dell’interiorità, l’umanesimo ha reinterpretato il cristianesimo come religione del riscatto dell’uomo dal peccato, dal limite, dalla morte: non il sogno prometeico di autoaffermazione né la sfrenatezza dionisiaca, ma i grandi orizzonti che si aprono davanti all’uomo salvato. Che cosa può svolgere oggi un ruolo analogo a quello svolto a suo tempo dalla devotio moderna rispetto all’umanesimo?

Il rinnovamento conciliare

La Chiesa cattolica ha intrapreso ormai da tempo un rinnovamento profondo, a partire dal Concilio Vaticano II, con cui ha preso le distanze non solo da un modello ecclesiologico ma anche da un modo di vivere la fede sviluppati per cinque secoli in stretto rapporto con la modernità europea. Con questo Concilio si è proposto un più diretto confronto con l’esperienza delle prime comunità cristiane, una riscoperta della Scrittura, un profondo ripensamento di sé stessa come popolo di Dio, l’urgenza di un’unità ecumenica con le altre confessioni cristiane, un’apertura inedita ad altre culture e ad altre religioni ecc.

Non sappiamo ancora quali saranno gli esiti ultimi di tale rinnovamento, ancora in corso. Se ne vedono tuttavia alcune espressioni emblematiche nella centralità dei poveri, nella responsabilità verso la Terra, nella fraternità con tutti e nell’ansia per la pace largamente presenti nel magistero di papa Francesco. Sono temi che incontrano talvolta resistenze all’interno stesso della Chiesa. Qualcuno non si riconosce in essi, considerandoli marginali rispetto a un’identità di credenti che peraltro fa egli stesso sempre più fatica a definire.

Ma è sbagliato credere si tratti (solo) di ricadute sociali o politiche della fede, come talvolta erroneamente si pensa: esprimono, al contrario, (anche) qualcosa di molto più profondo. E cioè il nucleo di un modo nuovo di vivere la fede di sempre. Se per secoli la Chiesa si è concepita come espressione di un’immutabilità che rimandava a un Dio fuori dalla storia, dopo il Vaticano II una Chiesa che si concepisce in costante movimento rimanda alla fede in un Dio Signore della storia.

Un modo nuovo di pregare

Il rinnovamento più importante avviato dal Concilio è stato probabilmente quello che ha riguardato la preghiera. Come con l’avvento della devotio moderna, così anche negli ultimi decenni si è prodotta una rivoluzione spirituale, invisibile e silenziosa come avviene spesso con i processi più profondi. Ma se ne vedono i segni, tra cui i temi del magistero di papa Francesco già richiamati. È il caso – per fare l’esempio forse più emblematico – della sua insistenza sul tema della pace apparentemente in chiave politica – seppure nel senso nobile del termine –, ma che in realtà nel Papa appare indissolubilmente legato alla preghiera.

Il bene della pace, pur così profondamente desiderato da tutti gli esseri umani, è anche tragicamente negato dalle loro azioni, tanto da apparire umanamente irraggiungibile e possibile solo come dono di Dio. Se si vuole pensare a un nuovo umanesimo, in ogni caso, occorre anzitutto attingere alla visione dell’uomo, del mondo e della storia ispirata dalla preghiera.

I “classici” per il XXI secolo

Pur radicandosi nella devotio moderna, l’umanesimo è andato alla ricerca di classici precristiani nel tentativo di proporre una visione davvero universale che anche i non cristiani, come gli ebrei e i musulmani cui si rivolgevano Erasmo da Rotterdam e Nicola da Cusa, avrebbero accettato. C’è qualcosa che possa oggi svolgere una funzione equivalente ai classici greci e latini, è cioè individuabile un patrimonio culturale relativamente unitario, ispirato da paradigmi comuni e in grado di offrire un approccio condiviso alle grandi questioni della vita umana attraverso (alcune) voci autorevoli?

Nel multipolarismo del XXI secolo, che non è solo politico o economico ma anche culturale, la prima obiezione a visioni universali – come quella di un nuovo umanesimo – viene dall’idea, molto diffusa, che proporre una visione universale sia impossibile o, addirittura, sbagliato: le visioni universali finora sono state tutte espressione della cultura occidentale e qualunque idea universale conterrebbe pretese di sopraffazione. Tuttavia, proprio il multipolarismo o, meglio, la convivenza fra “diversi” per motivi etnici, culturali, religiosi, sociali ecc. tipica del mondo post-moderno, mentre rifiuta le visioni universali, ne sente anche il bisogno.

È una delle principali contraddizioni del nostro tempo: l’enfasi sull’individuo, sul particolare, sul diverso che si trasforma in solitudine, isolamento, conflitto e che genera frammentazione, muri, guerre pone contemporaneamente l’esigenza di un movimento in senso inverso. Non è sbagliato in questo senso pensare a un nuovo umanesimo che venga dall’Occidente, ma non sia solo occidentale.

Il confronto inteculturale

Nel XXI secolo, infatti, se un nuovo umanesimo intende proporsi come visione universale valida per tutti gli uomini e per tutte le donne, di qualsiasi area geografica, contesto culturale o spazio politico deve farlo attingendo a tutte le culture. La strada, perciò, è quella del confronto interculturale e in particolare interreligioso. Come hanno sottolineato Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco, in tutte le grandi religioni mondiali è possibile trovare semina Verbi. L’esempio più famoso è quello dalla “regola d’oro” che proibisce di fare ad altri il male che non si vuole sia fatto a sé.

In forme diverse, questo principio morale si ritrova, oltre che nel mondo ebraico-cristiano, anche nell’islàm, nel pensiero di Confucio e in molte altre grandi tradizioni etiche, religiose o culturali (a volte anche nella versione positiva del fare agli altri il bene che si desidera per sé).

Si tratta di un confronto che dev’essere esteso e approfondito, anche per superare due ostacoli non da poco: in molte di queste tradizioni Dio e l’uomo – almeno come vengono intesi in senso occidentale – sembrano apparentemente assenti. Ma, appunto, apparentemente: in realtà, nella profonda riflessione buddhista sul dolore e la compassione, né l’uno né l’altro sono lontani. Ciò vale anche per altre grandi tradizioni religiose e culturali.

Nuove difficoltà

Nel XXI secolo la strada del confronto interculturale e interreligioso si è però ulteriormente complicata. Non basta più, infatti, attingere al patrimonio millenario delle grandi tradizioni dell’umanità. Nel mondo globalizzato tali tradizioni raramente si presentano isolate le une dalle altre e ciascuna di esse non influenza in modo esclusivo Paesi, popoli, individui. Tutti siamo sottoposti a molteplici influenze e queste si intrecciano sempre più frequentemente tra loro.

Nessuna cultura è più in grado di riprodursi in orgogliosa autonomia e spesso uomini e donne vivono in contesti sempre più deculturati. È con orizzonti culturali molto frammentati, caotici, variabili che occorre misurarsi ed è perciò anche sempre più difficile individuare un equivalente per gli uomini e le donne del XXI secolo di ciò che sono stati i “classici” per gli umanisti.

E l’intelligenza Artificiale?

Sono processi non solo accelerati, ma anche complicati dalle nuove tecnologie. I problemi principali non vengono dalle tecnologie in sé. Quelle legate a internet, al web e all’intelligenza artificiale (AI), per esempio, costituiscono forme di enorme e positivo potenziamento delle possibilità umane. Costruire internet ha voluto dire abbattere grandissime distanze in tempo reale; inventare l’autostrada informatica ha significato mettere in rete l’umanità intera; inventare l’AI implica poter rielaborare milioni di dati e permettere all’intelligenza umana di spaziare oltre limiti che da sola non potrebbe superare.

Ma le tecnologie dipendono sempre dall’uomo: sono realizzate in base ai suoi progetti e funzionano secondo l’uso che questi ne fa. Attraverso il web, per esempio, si sono moltiplicate le “post-verità”, le fake news e le “verità alternative”, è stata alimentata la propensione al conflitto, si è accresciuta la polarizzazione ecc. Le neuroscienze spiegano che si “clicca” di più quanto più sono sollecitate reazioni ispirate alla paura, all’odio, all’aggressività e ciò può essere utilizzato scientemente, come fanno gli “imprenditori del web” che perseguono solo il profitto, cercano di imporre un loro uso quasi monopolistico della rete e spingono tutti a uniformarsi alle loro regole.

Anche gli sviluppi dell’intelligenza artificiale e in particolare ChatGPT con la sua capacità di creare testi simili a quelli opera dell’uomo hanno suscitato nuovi problemi. Rielaborando tantissimi dati senza specificare le fonti da cui provengono, rendono indistinguibili il vero dal falso e inutilizzabile il fondamentale criterio critico fondato sul riconoscimento dell’autore del testo.

La condizione della donna

Sono difficoltà che indicano in quale direzione dovrebbe andare un nuovo umanesimo. Nell’attuale contesto storico un corrispondente dei “classici” può essere costituito da tutte quelle risorse culturali, religiose, morali, sociali, educative ecc. che, in modi diversi, contrastino i processi di frammentazione culturale e di deculturazione e soprattutto indichino princìpi, orientamenti, comportamenti che, anche se non formulati in modo esplicito e compiuto, sono tuttavia percepiti come universalmente validi.

A qualunque latitudine e in qualunque circostanza tutti gli esseri umani attingono, più o meno consapevolmente, a grandi patrimoni antropologici che ispirano, se non un pensiero universale, quantomeno un pensiero comune (cfr François Jullien) che collega trasversalmente anche mondi culturalmente molto diversi. Tra questi va senz’altro tenuto presente anche il patrimonio culturale che il cambiamento della condizione delle donne negli ultimi decenni sta facendo emergere in modo sempre più ricco, suggerendo una visione sull’uomo assai diversa da quella tradizionalmente dominata da un’ottica patriarcale (e un ripensamento del termine stesso di umanesimo).

È su tali patrimoni che occorre far leva se si vuole progettare un’epoca nuova, diversa da quella che ci ha preceduti. Forse però non è un caso che i primi tentativi di regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale, perché resti al servizio dell’umano, vengano compiuti in Europa, il continente che ha generato – tanti secoli fa – l’umanesimo.