Tra il numero infinito di stelle nel cielo, una, in quella notte brillava puntiforme e bianchissima. Gli astri intorno sembravano guardarla con la coda dell’occhio: galassie e nebulose che vorticavano, immobili sullo sfondo nero, e pareva si chiedessero il perché di tanto sfolgorare, proprio da parte di una luce che dava l’impressione di essere conscia del proprio fascino. Alcune comete dai filamenti dorati, forse con un compito di messaggere, andarono a sfiorarla e senza voce le dissero: «Vai! Il tempo è giunto».

La stella sentì una pulsione interna, nuova sino a quel momento, alla quale non poteva o non voleva opporsi. Si lasciò accelerare lungo un’orbita mai percorsa, rapida come un’idea, e finì per posizionarsi su un punto preciso, in corrispondenza del pianeta verdeazzurro: così stazionava, in linea d’aria sopra una valletta di sabbia dove era già notte e le ombre fredde dell’ampia zona desertica circostante coprivano delle vecchie rocce, capanni di legno, qualche animale che stava in dormiveglia all’aperto. Vedere da lontano, capire che quello sarebbe stato il luogo decisivo della storia, riempì il nucleo della stella di un’ulteriore spinta gassosa che produsse bagliori e vampe roventi, brillanti come un moto d’orgoglio: del fulgore, però, si sentiva fiera. E mentre le traiettorie di tenui meteore solcavano il buio della notte (col tocco di una piuma d’angelo), essa brillava con forza – e tutta la superficie della terra sottostante ne era illuminata.

Dato che erano spesso con gli occhi rivolti alla Via Lattea, anche i tre Re videro la stella; dal loro osservatorio subito salirono sulla terrazza e si aiutarono con la lente del telescopio: «È lei!» esclamò quello che aveva sempre il mento barbuto rivolto all’insù. Raccolte le carte e gli attrezzi, partirono immediatamente.

Nei giorni seguenti, il cielo fu striato da linee azzurrine simili a nuvolette nel buio: in quella direzione si spostava anche la stella e, sotto, molto in basso ma come andando dietro a lei, i cammelli dei tre Re. Viaggiavano soltanto di sera, sino all’alba, guidati dalla luna; la sabbia delle sterminate pianure desertiche attutiva il tonfo dei passi delle zampe, le voci tacevano per lunghe ore, lasciando spazio a un silenzio senza odori. Per giorni la stella seguì le strisce chiare nel cielo scuro, come percorrendo un sentiero; a lungo i Re stettero in groppa ai loro animali, placidi veicoli dotati di zoccoli – mentre il deserto giaceva al termine dell’orizzonte come uno scenario, quasi scorrendo all’indietro.

Sinché venne quell’istante che in molti provano, quando tutto sembra arrestarsi e una voce dire: «Ci siamo, ecco il posto». Aveva riflettuto per tutto quel tempo, la stella, alimentando un pensiero denso, poi cupo, infine pronto a esaltare e a crollare all’improvviso: quando fu esattamente sul punto della localizzazione, una delusione dilagò calda e fredda nel suo petto – laggiù non c’era niente di ciò che si era immaginata. Respirò male. Adesso la fiamma interna era gelida, l’urlo era represso nella gola, muto, mentre lo sguardo era fisso su quel nulla che nemmeno il nome di villaggio si meritava, adagiato nella spoglia notte invernale.

I vapori celesti che le fluttuavano intorno non riuscirono a evitare il formarsi della massa rabbiosa, una furia montante, l’esplosione: la stella in un attimo implose, e fu nulla – nero più nero del nero. In preda al panico, l’aria vibrò mettendo in moto l’atmosfera sino agli strati superiori: corsero verso gli estremi confini del cosmo alcuni flebili raggi, per riferire alla potenza che se ne sta oltre che cosa fosse accaduto, ed erano sconvolti.

Ma da un punto talmente distante da risultare irraggiungibile anche alla vista siderale e telescopica delle costellazioni, in un istante tanto rapido da non essere percepito nemmeno da quello dei tre Re che viaggiavano sempre con lo sguardo fisso verso la luce, veniva avvicinandosi un puntolino che da microscopico si faceva minuscolo. La luminescenza non bastava neppure a rivestirgli il piccolo globo – perché pareva che non esistesse, senza il soccorso di altre luci che le brillavano attorno: aveva il volto di chi viene interrotto nel bel mezzo di un gioco, mentre ride tra gli amici.

Ora invece si trovava al centro dell’attenzione, impreparata, cioè pronta a ricevere i messaggi inviati soltanto ai corpi celesti più sperduti, alle inconsapevoli nebulose. E la radiazione di fondo diceva: «Va’ alla casa del pane». Questo le parve di percepire: un’indicazione tutt’altro che chiara, da seguire con l’intuito, senza pensare. Muoversi, spostarsi, in tali condizioni, è poco più che emozionarsi: e di fatto fu là in pochi istanti. Provò gioia e paura perché aveva la sensazione di star scendendo, ma era uno scendere per risalire, un’altalena, l’ondeggiare che governa ogni legge del cosmo; perciò, inspirava.

Giunta a perpendicolo sulla valletta, ecco la spianata deserta, le staccionate, i cespugli e qualche pecora, tutto cosparso di un povero bagliore lunare. Lei stessa si accorse di possedere una lucentezza non molto superiore a quella di una lucciola, nonostante avesse provato a brillare di intense fluorescenze… Era chiaro che la cosa non faceva per lei – illuminare le fu impossibile. Poi però sentì il ricordo, o la presenza, delle stelle sue amiche e, involontariamente, attraverso il trasparente dei cieli lanciò loro il pensiero: a mezzanotte, ricordatevi di me che sto presso la casa del pane.

In contemporanea, ognuna di loro percepì la richiesta, molte si unirono a lei nel nodo della lontananza. Raggiavano di lampi bianchi su uno sfondo senza fondo, nell’assenza universale. A terra però, a guardare bene, giù nel capanno tra gli sterpi vagiva pianissimo un neonato; e lei provava le stesse sensazioni di lui: avere della polvere sulla pelle senza sentirsi sporchi, piangere ridendo, succhiare aria lattea a occhi chiusi, nello sbuffo caldo dei nasi di placidi animali intorno.

Né i bambini né le stelle temono la terra, anzi restano profumati di sé e di lei. Questo deve aver pensato la stella, mentre impercettibilmente e senza volerlo si sentì sfarinare e smembrare e consumarsi a contatto con l’aria, diventando un nulla in un pulviscolo di scintille dorate. Agli occhi dei tre Re, essa fu la conferma – oltre che segno di buona fortuna in quanto stella cadente – di essere arrivati, di avere trovato. Accesero fuochi, esalarono gli aromi, prepararono uno scrigno pieno di pietre preziose. Il bimbo non si rese conto di nulla, poppava in dormiveglia. Per le altre stelle, dal loro punto d’osservazione, lei era stata per un breve attimo una stella ascendente: un’amica che a un certo punto aveva accelerato, era ascesa ed era finita, scomparendo all’insù.