Martedì 27 maggio presso la chiesa di Santa Maria Incoronata a Milano si è tenuto un nuovo incontro dell’ormai pluriennale ciclo “Passeggiate nella letteratura” proposto da don Paolo Alliata per raccontare il potere delle grandi storie. Ospite della serata, dedicata a Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien (1892-1973), il nostro autore don Carlo de Marchi.
Il video dell’incontro è disponibile sul canale YouTube di don Paolo Alliata1, che sempre sul tema della letteratura ha recentemente pubblicato L’avventura umana. Quando la letteratura accompagna il nostro cammino (Mondadori 2024) e La voce leggera delle pagine. Intrecci di letteratura e spiritualità (Ancora 2024).

Don Carlo de Marchi, a sinistra, e don Paolo Alliata in dialogo nella chiesa di Santa Maria Incoronata

Viaggio nella Terra di Mezzo. Andata e ritorno

Una sera di un giorno qualunque della settimana, e la chiesa dell’Incoronata è gremita di persone di ogni età, in attesa di tornare a percorrere i sentieri della Terra di Mezzo, o di visitarla per la prima volta, gli occhi pieni di curiosità e di un po’ di sospetto come tanti piccoli Hobbit (rigorosamente dell’intrepido ramo Tuc delle stirpi Hobbit, schive di natura) alla loro prima avventura.

E in effetti ci vuole coraggio per affrontare una storia lunga diverse centinaia di pagine, che porta sulle spalle qualche decennio di critica letteraria e di studi su un worldbuilding che si è spinto fino a inventare i sistemi linguistici delle lingue parlate in questo universo narrativo. Soprattutto se non si è amanti del fantasy, e in particolare del suo sottogenere “epico”, noto come high fantasy.

Don Paolo e don Carlo hanno subito chiesto quanti tra i presenti non avessero mai letto il romanzo, e quanti, tra questi, non avessero mai visto la saga cinematografica. Un numero considerevole, ma subito arriva la rassicurazione: non si sarebbe trattato di un incontro rivolto solo a studiosi tolkieniani, o ai “nerd”, per usare un termine ormai divenuto, con una punta d’orgoglio, identitario. Nessun imbarazzo, quindi, per chi stentasse a masticare la lingua elfica: questa passeggiata nella letteratura, e in particolare nella Terra di Mezzo, è aperta a tutti, assidui frequentatori della storia protagonista della serata e avventurieri a digiuno di elfico e delle genealogie hobbit, ma curiosi di saperne di più.

Come da tradizione, le letture dei brani tratti dall’opera oggetto dell’incontro, interpretate dall’attore Alessandro Castellucci, da un lato coinvolgono e commuovono anche chi è arrivato all’ennesima rilettura e conosce ormai la storia a memoria, dall’altro spaziano oltre i confini dell’autore su cui verte la conversazione, per toccare opere dalle tematiche affini, a creare un inaspettato e arricchente dialogo tra le storie, dai Vangeli a Primo Levi, da J.H. Newman a Verga, passando per Chesterton e Montale. Così ognuno, conoscitore o meno dell’universo tolkeniano, è libero di sentirsi interpellato e pervaso dalla potenza del racconto, di un grande racconto.

Il titolo dell’incontro, Non hanno una fine i grandi racconti, rivela già la prospettiva da cui si guarda all’universo tolkeniano, e si ispira a un passo de Il Signore degli Anelli. Ci troviamo in un momento della narrazione molto oscuro, la luce della speranza sembra affievolirsi, ma Sam, il leale e fidato compagno di avventure del protagonista Frodo, è colto da un’illuminazione. I due amici (e con loro tutti noi) sono parte di un’unica, grande storia, illuminata da una luce inestinguibile, che qui assume i tratti materiali di un manufatto magico, ma che è fortemente metaforica e tematica.

È questo il filo rosso della conversazione sul grande racconto tolkeniano, un racconto che «non solo noi leggiamo, ma da cui siamo letti» (don Paolo), perché come ogni grande classico della letteratura ha la capacità di «dire qualcosa sulla nostra vita» (don Carlo). E questo non solo per un discorso di critica letteraria, ma per esperienza personale dei relatori, che rompono il ghiaccio condividendo i loro sorprendenti incontri con Il Signore degli Anelli, chi con le letture d’infanzia e chi attraverso la mediazione dell’adattamento cinematografico durante il primo anno di sacerdozio.

La grande letteratura, più che evasione, è piuttosto un ritorno a noi stessi.

Eroi (e antagonisti) per caso?

Quello che ci travolge quando entriamo in una grande storia, è il suo parlare a noi e di noi, e allo stesso tempo il suo potere trasfigurante: quando un racconto riesce a «mettere su carta i nostri paesaggi interiori» (don Paolo), compie una metamorfosi del quotidiano, rendendolo degno di essere vissuto. La vita stessa, anche nei momenti bui, diventa degna di essere vissuta.

Tutto appare come sostenibile, anche per noi eroi per caso. Perché questo sono i protagonisti della saga tolkeniana: Hobbit, chiamati “piccola gente”, quando non addirittura “mezz’uomini”, le creature più improbabili, e che pure, chiamati all’avventura (e a un’avventura che ha ben poco della gloria delle leggende), escono dalle loro piccole storie personali, guardano alla grande storia e si mettono in gioco per provare a cambiarla, perché sanno di farne parte. Senza plateali atti di eroismo, semplicemente mettendosi al servizio degli amici, accolgono la chiamata e scelgono di fare la cosa giusta.

Ma nelle piccole grandi scelte c’è anche il potere di fare invece la cosa sbagliata. Anche Gollum, che a differenza di Frodo e dei suoi compagni soccombe alla corruzione dell’oscuro Anello del Potere, un tempo fu qualcosa di simile a uno Hobbit, e il suo nome era Sméagol. Ma le lusinghe del male lo portarono a rinnegare la sua vera identità, il calore del sole, la compagnia dei suoi simili, persino il suo nome. E la parola. Borbotta e gorgoglia, tanto che la sua gente iniziò a chiamarlo Gollum, condannandolo a ristagnare nella sua caverna sotto le montagne, anziché aiutarlo a uscirne.

Ecco quindi che la parola diventa benedizione e maledizione, e tutti ne siamo corresponsabili. Questo grande racconto ci mostra che, anche nella nostra normalità, in potenza siamo eroi, ma anche antagonisti. E soprattutto, che abbiamo il potere di fare di qualcuno un eroe, come Sam ha fatto con Frodo, o un cattivo, come il mondo con Gollum: «Il mio sguardo ha il potere di rinchiudere una persona “sotto le montagne”, o di dargli vita» (don Paolo).

Storie e responsabilità: la speranza come scelta

Questo potere che le storie ci rivelano essere nelle nostre mani è responsabilità, ma anche speranza. Che, forse, sono poi in fondo la stessa cosa. La speranza, come la fiducia o la fede, sono una forma di responsabilità: non sono solo un sentimento, ma una scelta, che tutti noi possiamo compiere giorno dopo giorno, a cominciare dalle piccole cose, nelle nostre avventure quotidiane, quando usciamo dalla logica dell’interesse e facciamo la cosa giusta: “La speranza? Ecco, credo che sia la responsabilità. Credo che sia accorgermi che la realtà mi parla, mi racconta una storia nella quale io sono chiamato a mettermi in gioco” (don Carlo).

E questo ha un valore ancora più grande quando facciamo esperienza di quella che durante l’incontro è stata spesso chiamata, in riferimento alla vicenda di Frodo ma anche alle nostre vite, “l’ora più buia”. Al termine della serata, è stato proposto l’ascolto di Into the West, un brano di straordinaria delicatezza che accompagna i titoli di coda del terzo e ultimo film della serie tratta da Il Signore degli Anelli, scritto (insieme a Fran Walsh e Howard Shore) e interpretato da Annie Lennox, e vincitore dell’Oscar alla migliore canzone nel 2004. Segue l’addio di Frodo alla Contea e ai suoi amici, mentre, prosciugato nel fisico e nell’animo dal male affrontato, salpa per Valinor, un paradiso terrestre al di là del mare.

Don Paolo e don Carlo hanno invitato il pubblico ad ascoltarla nella prospettiva dell’esperienza del dolore e del lutto, per accogliere la promessa di una luce oltre le tenebre. Che è forse ciò che cerchiamo nei grandi racconti, a cominciare, per il mondo cristiano, dal Vangelo, per Tolkien la più grande Fiaba mai raccontata.

1 Non hanno una fine i grandi racconti – Il Signore degli Anelli, www.youtube.com