Un mondo dove tutto è uno, e niente e nessuno lo è davvero. Un supercontinente le cui uniche geografie sono i punti cardinali, dove ognuno porta il marchio del suo Istinto, un imperativo morale e fisico a interpretare, anche a scapito delle individualità, il proprio ruolo nella grande partitura del bene comune, del Noi, una coscienza collettiva che scorre nelle vene dell’umanità, fino, talvolta, a possederla.

Christelle Dabos, Noi, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o, Roma 2025, pp. 576, € 24
Ma in questa partitura c’è una pausa, un vuoto, come quello tra i suoi incisivi che le regalano un sorriso unico. E finto, come il suo Istinto di Confidente. Claire è nata senza Istinto, esclusa da quel Noi di cui dovrebbe essere l’orecchio. È un empio, impossibile Tu, un male contagioso per il Noi e, come tale, va «obnubilato», epurato. Destinata a essere libera, e sola.
E poi c’è Goliath, un Protettore che non è stato in grado di proteggere chi amava di più, e che tuttavia in questa partitura vuole essere una nota importante, per fare ammenda per quella nota che a causa sua non risuonerà mai, intraprendendo la via della Santificazione. Una via a cui tutti sono chiamati, e che invita a risalire gerarchie i cui titoli riecheggiano quelli degli ordini angelici salvando il più alto numero possibile di vite umane, secondo il computo della Burocrazia Istintiva, che dirige l’orchestra del Noi.
Christelle Dabos, che con L’Attraversaspecchi, sua saga d’esordio, ha dato vita a un caso editoriale, torna con un romanzo per certi versi inaspettato (e viene da chiedersi se l’accoglienza molto combattuta del finale della saga, dolceamaro ma geniale, non abbia influito sulla volontà dell’autrice di rompere i propri schemi, fino a introdurre nella trama una poco velata parodia delle presentazioni dei libri, che qui sfociano in un’isteria collettiva ai limiti del cannibalismo): autoconclusivo, narrato da un coro di “in prima persona” al tempo presente, distopico nel senso più classico del termine.
Non più una galleria di specchi dove il lettore è quasi ipnotizzato dal continuo cambiamento di prospettiva originato da una cornucopia di generi, ma una Oz urban e un 1984 apparentemente privo di legami con il nostro universo, che riesce a essere disturbante proprio grazie a questo azzeramento dei filtri: niente più virtuosismi, intricati “dietro le quinte”, solo un cieco meccanismo di sfere celesti che ruotano senza che se ne indovini il senso, o chi muova i fili. Ciò che resta è il racconto di un’umanità costretta a rimanere bambina da un dio che rimane nell’ombra, un’umanità che nonostante tutto lotta per la propria indipendenza.
Questa volta l’“attraversaspecchi” è il lettore, chiamato a guardare dritto negli occhi, senza maschere, un dilemma millenario: siamo intrinsecamente votati al bene o ne siamo vincolati dalle leggi scritte e non scritte? Può esistere un equilibrio tra la tua libertà e il bene della collettività, o l’una è il prezzo da pagare per l’altro? Il lettore diventa così un Tu a cui l’autrice si rivolge, e, insieme a lei e agli altri lettori, un Noi consapevole e libero.