A partire dal 1300, con l’istituzione del primo Giubileo, la città di Roma nella sua stessa architettura ha reso più evidente il proprio ruolo di centro della cristianità, e la connaturale dimensione di accoglienza nei confronti dei fedeli in arrivo come pellegrini presso le tombe degli apostoli. Già dall’Alto Medioevo questi flussi devozionali avevano prodotto intorno al centro abitato la nascita di edifici destinati alle cure sanitarie, all’alloggio e al ristoro dei viaggiatori. E la città stessa al suo interno aveva rinnovato più volte sia i percorsi di accesso agli edifici più rappresentativi per il culto sia le relative architetture, per dare la massima evidenza, anche visiva, ai principali contenuti della fede.

Parte di questo secolare processo ha riguardato la travagliata e lenta trasformazione della basilica di San Pietro, dalla chiesa voluta da Costantino all’attuale costruzione, iniziata nel 1506 e portata a termine, con l’edificazione della facciata del Maderno, nel 1626. Durante questo lungo periodo uno dei pontefici in carica, Sisto V, si era proposto di qualificare anche l’area antistante la basilica, che si presentava allora come uno spazio indifferenziato, attorniato da modeste costruzioni e denominato “platea Sancti Petri”. In particolare aveva chiesto al suo architetto di fiducia, Domenico Fontana, di trasportare di fronte alla facciata della basilica il grande obelisco che aveva abbellito il circo neroniano, il luogo del martirio di Pietro, che nel 1500 si trovava a fianco delle costruzioni absidali, unico fra gli obelischi romani rimasto eretto lungo tutti i secoli precedenti.

A metà del 1600, completata la costruzione della basilica, l’attenzione di uno dei pontefici, Alessandro VII, si concentra nuovamente sulla piazza, i cui elementi principali sono in quel momento la facciata della basilica, l’obelisco centrale e l’ingresso ai palazzi vaticani. Il Papa si avvale della collaborazione di un artista di grande fama, Gian Lorenzo Bernini, che era già intervenuto all’interno di San Pietro per la progettazione e l’esecuzione del celebre baldacchino. Tocca quindi a Bernini affrontare un progetto che si presenta subito come caratterizzato da varie e pesanti difficoltà: innanzitutto la pianta longitudinale della basilica, che aveva avuto la meglio nella riedificazione dell’edificio, aveva anche comportato lo spostamento in avanti della facciata; di conseguenza in una visione ravvicinata, cioè dal sagrato o dalla scalinata di accesso, non si riusciva a cogliere l’elemento più significativo di tutta la costruzione, ovvero la grande cupola progettata da Michelangelo. Per poterla apprezzare in tutta la sua potenza bisognava arretrare almeno fino alla posizione che era stata assegnata all’obelisco. In secondo luogo, la via principale di collegamento con il centro di Roma, tracciata in occasione del Giubileo del 1500 e proveniente da Ponte Sant’Angelo, denominata “via recta”, terminava non al centro della piazza, ma sul lato destro, concludendosi con l’ingresso ai palazzi vaticani. D’altra parte, gli stessi palazzi vaticani, anch’essi visivamente importanti, risultavano e risultano tuttora in posizione sghemba rispetto alla pianta della basilica.

La vista sulla facciata della basilica e sulla cupola dall’interno del colonnato

Alessandro VII chiede al Bernini di progettare una piazza con forte valenza simbolica, coniugando il centro del cristianesimo, cioè la tomba dell’apostolo Pietro, con l’unità e l’universalità della Chiesa cattolica. Inoltre desidera che la costruzione, anche se necessariamente impegnativa, venga realizzata in tempi brevi, guardando già in prospettiva al Giubileo del 1675. Bernini studia diverse soluzioni, e gradatamente giunge a quella definitiva, che riscuote subito l’approvazione del pontefice. In pratica articola la piazza in due aree contigue, contrassegnate in pianta da tracciati diversi. Per lo spazio che accoglie la facciata Bernini ricalca il tratto terminale della via recta, con il relativo accesso ai palazzi vaticani, e lo ribalta dall’altro lato della basilica, dando luogo a un trapezio in cui la facciata della chiesa occupa il lato minore. Questo accorgimento, oltre a disegnare uno spazio regolare, ottiene anche un particolare effetto prospettico: in pratica la facciata del Maderno, da cui ci si vuole allontanare per ottenere la visibilità della cupola, risulta otticamente più vicina rispetto alla posizione reale.

La seconda parte della piazza è quella che la caratterizza sia rispetto all’architettura del periodo sia rispetto al suo significato simbolico. Bernini sceglie infatti una configurazione ovale, il cui asse minore è centrato sulla facciata della basilica. La pianta ovale, che Bernini utilizza in una scala diversa anche per la chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, esprime bene la diversa percezione dello spazio propria dell’epoca barocca, cioè la necessità di appropriarsene soprattutto attraverso il movimento e con l’utilizzo di molteplici punti di vista. Ma nel caso di piazza San Pietro l’ovale del colonnato diventa anche espressione del significato che l’architettura vuole offrire. È lo stesso Bernini che illustra il suo progetto in questi termini:

La chiesa di S. Pietro, quasi matrice di tutte le altre doveva haver’ un portico che per l’appunto di ricevere à braccia aperte maternamente i Cattolici per confermarli nella credenza, gli Heretici per riunirli alla Chiesa, e gli infedeli per illuminarli alla vera fede.

E questo ovale si traduce nell’alzato in un porticato formato da quattro file di colonne, disposte lungo le curve con andamento radiale rispetto ai centri delle curve stesse. Questo determina un effetto ottico che è stato sottolineato nella pavimentazione della piazza, perché vi sono segnalate due posizioni in cui le colonne risultano assolutamente allineate: quindi di ogni fila di quattro colonne si vede solo la più vicina al centro. Ma soprattutto ne consegue una visione in continuo cambiamento per chi si muove all’interno della piazza: le colonne alternativamente risultano distanziate o sovrapposte, dando origine a una successiva alternanza di vuoti e di pieni, quindi a una piazza chiusa da un’apparente parete di travertino o invece aperta in tutte le direzioni. Il collegamento fra lo spazio ovale a quello delimitato dal trapezio è realizzato sempre attraverso il colonnato, che si prolunga sul sagrato della chiesa fino a raggiungerne la facciata; e nella parte destra introduce ai palazzi vaticani sostituendo l’antico accesso con il solenne ingresso della scala regia.

La scelta di definire la piazza con la creazione di un porticato può essere quindi il risultato di vari fattori: la tradizione dei colonnati come retaggio dell’architettura classica, la volontà di creare un percorso processionale al riparo dagli agenti atmosferici, il ricordo dei baldacchini mobili che vediamo raffigurati in lunghissime strisce nei quadri che precedono la trasformazione della piazza, l’idea di una struttura comunque aperta al suo intorno e praticamente attraversabile in ogni direzione. Le colonne di travertino sono formate da rocchi e semirocchi sovrapposti che hanno permesso un avanzamento dei lavori relativamente rapido; l’altezza del porticato consente ai fedeli la vista sui palazzi vaticani e, reciprocamente, la prospettiva sulla piazza dagli appartamenti papali. Infine il colonnato è completato in alto da una lunga teoria di santi, uno per ogni fila di colonne: simbolo della chiesa celeste che continuamente vigila e custodisce la cosiddetta “chiesa militante”.

Il palazzo apostolico visto da piazza San Pietro

Un ulteriore condizionamento per la progettazione della piazza derivava dalla differenza di livello fra la base della basilica e il piano di posizionamento dell’obelisco centrale. Bernini supera il dislivello con la scalinata di accesso alla chiesa, ma fa anche realizzare la pavimentazione all’interno del colonnato con una leggera pendenza verso il centro, creando così una concavità che permette ai presenti di collegarsi visivamente fra loro e favorisce anche in questo spazio la percezione generale di un unico popolo fedele.

Bernini avrebbe voluto caratterizzare la piazza in modo scenografico, prevedendo cioè un effetto di sorpresa nel passaggio dalle strette stradine del borgo medievale al grande invaso del colonnato. A questo scopo aveva anche previsto un terzo corpo, sempre porticato, da costruire fra le due attuali testate, in modo da limitare l’accesso alla piazza anche nella parte centrale. In realtà questa parte del progetto è rimasta sulla carta, e l’effetto sorpresa che ancora era in parte presente fino all’inizio del ’900 è stato praticamente annullato con l’apertura di via della Conciliazione. Rimane invece la vitalità del rapporto fra la piazza e il suo intorno, con una valenza che possiamo considerare di portata urbanistica.

Nel percorso di collegamento fra la basilica di San Pietro e il centro urbano un ultimo intervento del Bernini è stato la ristrutturazione di Ponte Sant’Angelo. In questo caso l’artista fa collocare lungo il ponte statue di angeli, eseguite dai suoi collaboratori, che portano i simboli della passione di Cristo. E studia anche un nuovo disegno per la balaustra, dotandola di inferriate laterali che permettono di vedere scorrere l’acqua del Tevere. Si conferma così anche in questo particolare, apparentemente secondario, la capacità del Bernini di mettere in relazione il costruito con l’ambiente, e in senso più ampio il singolo edificio con la vita della città in tutte le sue espressioni.