Eleonora Recalcati, story editor e sceneggiatrice, con il suo romanzo Aqua Mirabilis. La straordinaria storia dell’invenzione del profumo (Rizzoli 2024, pp. 320, € 17) dipinge una grande tela dove la Grande Storia fa da sfondo alla straordinaria vicenda umana che si nasconde dietro l’invenzione dell’Acqua di Colonia, e ne evoca i profumi, toccando tutte le loro note: vita e morte, amicizia e rivalità, amore e passione, ambizione e desiderio di lasciare dietro di sé una scia, nella memoria dei propri cari e del mondo. Ed è così che vogliamo presentarvi questa storia, attraverso le sue tematiche, introducendole quasi fossero le

Eleonora Recalcati
note olfattive che compongono una fragranza, come se la storia stessa fosse il profumo che racconta: dalle note di testa – quelle della prima impressione –, passando per le note di cuore – il nucleo autentico –, fino alle note di fondo, che persistono quando tutto il resto evapora.
1692, Santa Maria Maggiore. Il piccolo Giovanni Maria Farina è cresciuto respirando l’aria delle montagne della Val Vigezzo, avvolto dal profumo pungente della resina e solleticato dal sentore impalpabile delle prime nevi. Segue come un’ombra Paolo Feminis, il cugino più grande venerato come un maestro, tra le ampolle e gli alambicchi che popolano una vecchia cantina riconvertita in laboratorio: Feminis però, insofferente verso un tempo che scorre sempre uguale a sé stesso, e verso una comunità resa eterna bambina dall’isolamento e dalla superstizione, abbandona la valle e il suo fedele apprendista per cercare fortuna grazie all’Aqua mirabilis, un tonico curativo di sua invenzione a base di un agrume, preziosissimo, appena scoperto in Calabria, il bergamotto.
Ma presto anche Giovanni, dopo la perdita della madre, sarà costretto a lasciarsi alle spalle la Val Vigezzo, insieme al tanfo di morte che aveva appestato i rapporti familiari. Sotto l’ala della sua nuova mentore, la nonna Caterina – abile distillatrice di essenze, ma, in quanto donna vedova libera e indipendente, in perenne lotta per entrare nella corporazione dei muschieri – arriva in quell’inebriante carnevale di profumi che è Venezia, con le sue calli e il suo mercato, una fiera delle vanità di merletti profumati e fuochi d’artificio.
La morte lo inseguirà però anche nella Laguna, e sarà costretto a rimettersi in viaggio dopo la scomparsa di Caterina: all’ombra della cattedrale di Colonia, ma soprattutto all’ombra di Paolo, che incontrerà nuovamente nella città renana, lavorerà sodo per affrancarsi dal ruolo di sudditanza impostogli dal suo maestro di un tempo e affermare il proprio merito nella creazione della formula definitiva – nonché della sua fortuna come essenza, e non più come tonico – dell’Aqua mirabilis, che ribattezzerà Eau de Cologne, fondando la Maison Farina, che da allora entrerà in competizione con l’eterna rivale, la Maison Feminis.
Nota di testa: l’antidoto alla morte
La danza tra il fetore della morte e l’aroma dolciastro dei fiori che cercano di nasconderlo perseguita Giovanni fin dalla scomparsa della madre, con il suo strascico di sensi di colpa che cala come un sudario sull’affetto del padre nei suoi confronti.
Era solo un bambino allora, ma questo incontro fu per lui un’epifania, che si manifestò anche più avanti nella sua vita, quando divamperà la passione per Birgit, poi divenuta sua moglie. Conosciuta il giorno del suo arrivo a Colonia, durante il Carnevale delle donne, gli era apparsa come una visione premonitrice di morte, con la falce in mano e sul volto una maschera da medico della peste. Lo aveva colpito il suo profumo: ricordava l’ospedale, e sembrava il tocco da maestro aggiunto al travestimento, ma non lo era. Figlia di un farmacista caduto in rovina per le sue pratiche alchemiche, aiutava il padre a impagliare rari animali per le Wunderkammer, e proprio da essi ricavava le costose essenze animali con cui Giovanni sperimentava nuove fragranze, facendo nascere bellezza dalla morte stessa.
Eppure, rispetto al sentimento platonico per l’enigmatica e inaccessibile pittrice Rosalba Carriera, primo e grande amore di Giovanni, Birgit è vita e carne, non solo sangue e morte. Il profumo, come la passione, può tingersi dei colori di una lotta senza quartiere tra gli effluvi della vita e della morte, avviluppate in un’unica miscela che è veleno e antidoto.
«In quel momento si fece largo nella mente di Giovanni un’idea bizzarra, accecante: il profumo era l’antidoto alla morte e, come ogni antidoto, portava in sé la traccia del male che curava» (p. 46).
Nota di cuore: l’essenza della sopravvivenza
Dopo questa prima intuizione, fu un’altra rivelazione, per quanto inizialmente astratta, a illuminare la mente di Giovanni. Ebbe la prova di quanto questa fosse profondamente vera quando, una volta affermatosi come profumiere, portò la sua creazione nelle corti di Parigi e Vienna. Splendenti e fragili come immensi carillon, dietro la maschera delle apparenze ruotavano attorno meccanismi oliati dagli artifici più sottili, non ultime le mode dettate dai regnanti in materia di fragranze, a cui tutti i cortigiani dovevano adeguarsi. Il profumo si fa quindi instrumentum regni, che manovra i fili dei complessi giochi di potere e fedeltà delle più grandi corti europee.
E non solo: attraverso queste alleanze commerciali, Giovanni non contribuisce unicamente alla sopravvivenza di un impero, ma anche del proprio “impero”, la sua famiglia e la sua Maison, salvandole dai debiti e dalla rovina. E in effetti è proprio la sopravvivenza il fine a cui la natura ha votato i profumi che ha creato, come difesa e perpetuazione delle specie animali e vegetali.
La principessa, poco più che ventenne, aveva colto un segreto che lui aveva imparato negli anni, con fatica: un profumo può portare gli uomini a inginocchiarsi, a combattere, a dichiarare fedeltà eterna. La natura ha creato le fragranze per la vita e per la morte, per allontanare i predatori, per attrarre gli impollinatori. L’idea che un impero demandasse la sua sopravvivenza a un profumo accese i suoi occhi di interesse. Aveva visto giusto, per una volta (p. 258).
Nota di fondo: la permanenza dell’inafferrabile
Ma quando tutto sembra dissolversi in pulvis et umbra, e la morte pare accanirsi contro gli eredi sia del ramo Feminis sia del ramo Farina, cosa resta?
In un ultimo confronto con Rosalba, Giovanni scorge il mostro invisibile dell’ambizione, che le ha donato l’immortalità, in un tentativo estremo di difesa di un’indipendenza che la società dell’epoca non riconosceva alla sfera femminile, ma a quale prezzo? L’ha divorata da dentro, silenziosamente, anno dopo anno e brano dopo brano, scavando un vuoto incolmabile, non diversamente da quanto era successo a Paolo, creando crepe nell’affresco delle relazioni e degli affetti di Giovanni, e arrivando ad allungare gli artigli fin su di lui.
Non tutto però è perduto. Qualcosa si può ancora salvare, e per Giovanni, nonostante le sconfitte e le perdite che il destino gli ha inflitto, c’è ancora speranza. Perché ciò che si è perso è ciò che si è donato. E, come la sua creazione, la più effimera tra le fragranze, ha attraversato secoli e confini, così l’amore per la sua famiglia e per la sua vocazione, disperdendosi, donandosi, resterà.
Se metterete da parte l’orgoglio, il vostro nome sarà ricordato, proprio come il mio. Ma voi avrete anche di più: avrete amato, e sarete stato riamato. Sarete più di me e più di Feminis, perché ogni nome, ogni opera diventa polvere, prima o poi, cade nell’ombra. Rimane solo ciò che si disperde, come l’amore, come il profumo. (p. 299)