La crisi che affligge i sistemi sanitari di molti Paesi è riferibile a molteplici cause, da quelle demografiche a quelle di sovraccarico post-pandemico, dalla carenza di personale alle congiunture geopolitiche con le inevitabili ricadute macro e micro economiche ecc. Tuttavia, argomenta Antonio Monteleone, ci sono ragioni più di ordine teoretico e di comportamenti individualistici che sovvertono in profondità il concetto di salute e la sua difesa e promozione. Ragioni che influenzano pesantemente le scelte politiche e le prassi programmatorie, perché risultano sfuggenti e mistificabili. Una di queste è l’“olismo salutistico”, supportato dalla definizione di “salute” dell’Oms, esaminato in questo studio, che può avere conseguenze persino deleterie se non viene mantenuto “nei limiti del buon senso”.
Nella frenetica trasformazione del mondo contemporaneo, quando pensiamo di aver trovato una soluzione corretta, sia operativamente sia eticamente, sono già cambiati i problemi e comunque ogni volta che si risolve davvero un problema ne scaturiscono molti altri. Gran parte di questi ultimi dovuti all’intrusione degli interessi più disparati. È sufficiente considerare la paradossale complessità a testata multipla sorta dai progressi della società e in particolare della medicina, di cui bisogna sempre ricordarsi che, fin dai tempi di Ippocrate, sono noti gli effetti iatrogenici, ossia la potenziale conseguenza dannosa delle stesse cure. Qualche esempio.
Si vive di più, ma ciò comporta una maggiore esposizione temporale a incognite di varia natura e a un aumento dell’incidenza di malattie croniche più proprie dell’età avanzata, come il diabete, le malattie cardiovascolari e i tumori.
L’allungamento della vita e i miglioramenti socioeconomici danno agio a inappropriatezze nello stile di vita, come scarsa sobrietà o un regime alimentare malsano, sedentarietà, dipendenza da sostanze e comportamenti deleteri. Tutti fattori che favoriscono l’affiorare di malattie spesso durevoli.
Alcuni trattamenti medici possono avere effetti collaterali a lungo termine o dare guarigioni con esiti parziali, che possono contribuire a uno stato di salute deficitario persistente.
L’uso indiscriminato di antibiotici ha portato allo sviluppo di batteri resistenti, rendendo più difficili da trattare alcune infezioni e aumentando il rischio di malattie croniche.
Si riscontra finanche dolore causato dai trattamenti oncologici o di supporto e dalle procedure diagnostiche e/o terapeutiche1.
Un finale controsenso è dato dalla costatazione che qualsiasi struttura sanitaria è diventata un luogo in cui si guarisce, ma in cui ci si può anche ammalare seriamente. Bisogna, infatti, usare molte precauzioni per non incorrere nelle infezioni correlate all’assistenza, ovvero complicanze frequenti e gravi contratte all’interno di ospedali, in regime di pernottamento o di ciclo diurno, di strutture di lungodegenza, di ambulatori, di interventi a domicilio o di servizi residenziali.
L’attuale traguardo evolutivo
L’evoluzione millenaria della medicina osservata con atteggiamento soddisfatto ci porta, in Italia, all’articolo 32 della Costituzione, mediante il quale la salute diventa un fondamentale diritto del singolo, tutelato dall’ordinamento giuridico, anche perché è considerato interesse della comunità. D’altro canto, di fronte a uno sguardo critico, accanto a grandi conquiste e finanche eclatanti trionfi, emergono crescenti contraddizioni, alle quali abbiamo già fatto accenni, e purtroppo molta disinformazione sanitaria, sia attraverso dati falsi o fuorvianti condivisi involontariamente sia con informazioni deliberatamente ingannevoli2.
Sia chiaro che la salute è una risorsa fondamentale per l’individuo e per la società. Solo se in buono stato fisico e psicologico le persone hanno una vita piena e soddisfacente, contribuiscono a edificare con il proprio lavoro la tranquillità familiare e la prosperità nazionale, partecipano significativamente ad attività sociali e possono beneficiare delle relazioni interpersonali.
Perciò, la salute è un elemento chiave per il benessere del singolo e della collettività, influenzando positivamente tutti gli aspetti del vivere e dello stare in società organizzate. Tuttavia, essa non è esistenzialmente esaustiva e non costituisce il fine dell’uomo e la sua felicità, ma solo una qualità fondamentale. Potrei riassumere questa idea con un’espressione proverbiale: «Quando il corpo sta bene l’anima balla». È un modo per dire che il corpo e la mente, quando sono in buona forma, si uniscono lietamente al ritmo della musica, creando un’esperienza unica e coinvolgente. Certo! Però è l’anima che vitalmente balla, trascinandosi il corpo anche se lesionato, e ciascun’anima deve trovare il proprio ritmo esistenziale pur con un corpo compromesso, conoscendo la partitura dell’intera orchestra e lo spartito da seguire personalmente. Così da scalare la piramide di Maslow.

Piramide di Maslow
La piramide di Maslow, o gerarchia dei bisogni, mette alla base della piramide i bisogni fisiologici, come cibo, acqua, aria, sonno e riparo. La soddisfazione di questi bisogni è ritenuta essenziale per la sopravvivenza e la salute fisica. Poi si sale al secondo livello coi bisogni di sicurezza. Quindi ai bisogni di appartenenza e amore, posti al terzo livello. A seguire, il quarto livello riguarda i bisogni di stima. Al vertice troviamo i bisogni di autorealizzazione, che includono la concretizzazione del proprio potenziale intellettuale e creativo e il conseguimento della piena crescita personale in un quadro di senso compiuto.
È sorprendente non solo la cronaca ma la stessa storia quando ci presenta casi di superamento di limiti fisici gravi fino a guadagnare la vetta del successo e l’applauso della gente. Ecco due esempi, distanti fra di loro, tra migliaia di persone rimaste ignote ai media e alla storia, che si sono fatte strada nella vita saltando con determinazione i primi gradini della citata piramide.
Il celebre compositore tedesco Ludwig van Beethoven ha continuato a comporre musica incantevole mentre gradualmente perdeva l’udito. Alcune delle sue opere più famose sono state create quando era completamente sordo; la nona sinfonia è uno di questi pezzi.
Harriet Tubman, un’attivista afroamericana combattente per l’abrogazione della schiavitù, ha vissuto con continui attacchi epilettici e svenimenti improvvisi dopo essere stata colpita alla testa da un proprietario di schiavi. Aiutò l’organizzazione dell’Underground Railroad (“ferrovia sotterranea”) a far fuggire molti afroamericani e, per le sue imprese, l’abolizionista William Lloyd Garrison la paragonò a Mosè.
La “casa” primo luogo di cura e la sua supplenza
Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso era facile sentir dire in un salotto di mamme che d’inverno, durante un momento di pausa dalle faccende di casa, scambiavano due chiacchiere, di aver intrapreso la cura di “letto lana e latte”, aggiungendo nel latte due cucchiai abbondanti di miele per un figlio influenzato, mentre nel caso di riposo a letto dei mariti il miele era spesso sostituito da un bicchiere di cognac. Si percepiva anche che nel caso dei figli il tono era lievemente apprensivo, mentre per i mariti era più tranquillo, avendo già accertato nel corso degli anni la loro resistenza immunitaria ai virus stagionali.
Avevano imparato l’espressione dal medico condotto che, a quei tempi e in particolare in un piccolo paese, più che medico di famiglia era medico in famiglia. Essa proveniva dal trattamento che la tubercolosi riceveva nei sanatori, prima dell’avvento degli antibiotici. Il riposo assoluto in ambiente protetto, in luoghi ameni con clima salubre e un’alimentazione adeguata, fortificando l’organismo dei pazienti, consentiva un buon contrasto o almeno un rallentamento allo sviluppo dell’infezione.
Le cure a base di letto lana e latte rimandano a una casa e a una presenza che riscalda col calore umano, prima che con il vello degli ovini, e tratta con affetto e sollecitamente, tant’è che il latte rimanda il subconscio al seno materno. Richiamano anche la responsabilità diretta della famiglia nel prendersi cura dei suoi componenti.
Questa responsabilità inizialmente e parzialmente, a causa dei progressi scientifici e della complessità dei trattamenti, e poi per l’ingravescente decomposizione della famiglia, è stata supplita sempre più dalla solidarietà comunitaria, oppure dallo Stato, che al momento a molti appare anonimo e burocratico e ad altri persino antagonista, e di cui tutti gli operatori sanitari, volenti e nolenti, per la loro collocazione nel front office finiscono per esserne impersonali rappresentanti, benché molti di loro siano competenti ed empatici.
Ovviamente, la supplenza dei familiari dev’essere solo di funzioni, non può, cioè, comportare la completa rinuncia agli obblighi di prossimità al malato e di vigilanza, ma solo implicare un corretto espletamento di compiti complessi da parte dei sanitari. I quali, volenti o nolenti, sono valutati per gli esiti di salute che raggiungono. Il risultato conta sempre, ma ordinariamente tanto più quanto più gli operatori non si fanno vedere o comunicano in stile burocratese. In tal caso, infatti, inducono subliminalmente l’idea di aver ricevuto l’affidamento totale di una persona umana in circostanze di fragilità e rischio. Ossia suscitano piena sicurezza nella possibilità di riuscire a restituirle buone condizioni. Se ciò non avviene, si accendono in soggetti deboli di mente reazioni incontrollate.
Olismo salutistico
Non si può trascurare che il pensiero collettivo è impregnato dalla versione dell’Oms per la quale la salute è uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia. In altri termini, salute e felicità (con i suoi diversi sinonimi quali floridezza, energia, appagamento, serenità, equilibrio, rilassatezza ecc.) coincidono, con tutto il corredo di aspettative connesse, dal piano fisico a quello mentale, a quello sociale e a quello spirituale3. In realtà – chiariamo – ogni traguardo delle speranze umane è biologico in partenza, ma non costitutivamente.
La grande ampiezza dell’idea di salute dell’Oms, avendone fornito una giustificazione autorevole, ha spianato e accelerato l’avvio di due effetti divergenti. Da un lato, quello della medicalizzazione di ogni aspetto della realtà umana, visto che era considerata irrevocabilmente obsoleta l’azione medica essenzialmente diretta a prevenire o debellare, con doverosa attenzione alla persona, alla malattia o ad attenuarne le conseguenze. D’altro lato, e viceversa, ha sortito l’effetto di chiamare in campo l’intervento di competenze non solo mediche e di istituzioni non solo sanitarie, in grado di coadiuvare il perseguimento e l’acquisizione della felicità o dei suoi sinonimi.
Osservata sotto un’altra luce, l’assenza di confini teorici sembra una variante del nirvana buddhista: liberazione dalla sofferenza per raggiungere uno stato di perfetta pace e serenità in sé e intorno a sé. Il che, impoverendo l’essere a benessere, darebbe all’Oms il lasciapassare per raggiungere l’intimità delle coscienze e farebbe dei suoi funzionari una casta sacerdotale secolarizzata. Con forme di anatema per il relativismo pratico rilevabile ogni qual volta si trasgredisca per non compliance, aderenza scarsa o nulla alle indicazioni dell’Oms.
Qualora non bastasse, è intervenuta negli ultimi anni la visione pancosmica One Health, ossia un modello sanitario basato sull’individuazione di tutto lo spettro dei determinanti dello star bene e sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e il rigoglio dell’ecosistema siano inscindibilmente interdipendenti. Il che è vero se mantenuto nel perimetro del buon senso e nella suddivisione dei compiti.
Il modello, infatti, è spesso talmente enfatizzato che il ministero della Salute dovrebbe essere l’unico ente governativo davvero legittimato a esistere e, attribuendo alla sua mission un global goal (scopo onnicomprensivo), dovrebbe avere come primo obiettivo della prevenzione su cui investire le sue risorse il debellamento della fame, della povertà, della mancanza d’istruzione e di ogni disuguaglianza sociale. E solo poi pensare all’allestimento della sanità in senso proprio.
Questa valenza cosmica, insieme con l’angolazione “spirituale”, dà spazio dentro il sistema sanitario, a questo punto per legittima coerenza, anche a un lavoro non di secondo piano dei sacerdoti, nel caso di credenti o, quando si cammina lungo la cresta della superstizione, a quello di santoni e guru che promettono di far cessare le sofferenze mediante un nuovo equilibrio tra il sé e l’universo. Risentiamo qui l’eco delle affermazioni di Plinio:
Nessuno potrà aver dubbi sul fatto che essa [la magia] è nata originariamente dalla medicina e sotto la parvenza di apportare salvezza s’è insinuata come medicina più alta e più santa; così alle promesse più dolci e desiderabili ha aggiunto le forze della religione, per le quali soprattutto ancora oggi il genere umano diventa cieco e, per aggiungere anche questo punto di forza, si è incorporate ancora le arti astrologiche (Plinio, Naturalis Historia, 30, 15).
Ribadisco l’ammirazione sincera per i grandi benefici apportati dalla ricerca e dal progresso scientifico, ma, a causa della costante ambivalenza dei comportamenti umani e della connotazione ansiogena del tema salute, si assiste all’ergersi di un’imponente cortina di fumo che asfissia la società, rendendola ipocondriaca, spingendola non al combattimento e al sollievo (palliazione) del dolore, ma al suo rifiuto, infoltendo le file dei malati psicosomatici, allargando a dismisura il consumo di farmaci e terapie d’ogni tipo, tradizionali e alternative, spesso superflue e persino dannose.
Due figure retoriche per precisare
La metafora “il buon cibo è salute” crea un’immagine vivida e immediata, sottolineando l’importanza del cibo per il nostro benessere. Il verbo “è” non indica identificazione ma un collegamento estensivo, vuole comunicare l’idea che il cibo non è solo un nutrimento per il corpo, ma elemento fondamentale per mantenersi in salute. Incoraggia, cioè, la scelta di cibi sani e nutrienti per prevenire malattie e vivere una vita più lunga.
L’iperbole è una figura retorica portata all’esagerazione di un concetto o di un’idea al fine di impressionare e in questo modo far cogliere la grande importanza di ciò di cui si parla. In altre parole, si può trattare di un’esagerazione intenzionale, finalizzata a fissare un’idea nella profondità della mente dell’ascoltatore. Il concetto di salute dell’Oms rientra tra queste figure retoriche, ma il cibo non cessa di essere un nutrimento e lo spirito sostanzialmente diverso dal corpo. Cibo e spirito hanno loro specifici campi di studio ed esperti ufficialmente riconosciuti, ben distinti dai sanitari propriamente detti e che non fanno riferimento all’Oms per la loro abilitazione lavorativa.
L’essere umano è un’entità complessa, composta da corpo, mente e spirito. La malattia, soprattutto se grave e terminale, è totalizzante. In alcuni restringe l’orizzonte esistenziale inducendo l’illusione che la salute sia tutto, in molti altri genera domande e ricerca di senso per trovare il significato di esperienze dolorose. Tali situazioni costituiscono l’occasione per far scendere in campo diverse figure professionali, dalle competenze e metodi ben differenziati che trovano la loro “integrazione”, non la loro “confusione”, nella centralità della persona e della sua dignità. Certo è la persona che si ammala, ma il sanitario ha il compito di risolvere le sofferenze fisiche e, se chiamato in causa, psichiche, non di esaurire tutti i piani della piramide di Maslow. Ovviamente, essendo anche lui un essere umano, avrà il massimo rispetto per un altro essere umano, al quale tendere la mano per sostenerlo in una fase di debolezza, che può essere esistenziale.
L’operatore sanitario, dunque, svolge il suo preciso e atteso dovere curando e assistendo i malati in quanto tali. Senz’ombra di dubbio per far questo ha bisogno di una profonda conoscenza della natura umana, che risponde a una buona educazione umanistica a corredo di quella prettamente clinico-assistenziale.
Cicely Saunders dichiara che negli hospice l’assistenza dev’essere fisica e insieme spirituale, altrimenti non è assistenza. Distingue bene, però, la parte spirituale, dando spazi e possibilità d’agire alle varie forme di culto. La presenza di un’assistenza spirituale negli hospice è una scelta fondamentale e si basa su un’attenta considerazione dei bisogni complessivi di chi si trova a vivere una fase delicata della propria vita. Rappresenta un servizio prezioso che “va oltre le cure mediche”, dalle quali si distingue. Offre un supporto completo alla persona, tenendo conto della sua dimensione spirituale e aiutandola a vivere al meglio il tempo che le resta.
Trovo davvero esemplare la redazione del Piano assistenziale individualizzato (Pai) prevista nei servizi sociosanitari. In quanto multidimensionale, questo piano è multiprofessionale. Ciò significa che può coinvolgere il medico, l’infermiere, l’operatore sociosanitario, l’educatore, l’assistente sociale, il fisioterapista, il logopedista, lo psicologo e, ça va sans dire, lo stesso malato (quando possibile) e i suoi familiari. Si tratta di un approccio integrato che unisce alle valutazioni clinico-assistenziali anche quelle sociali e familiari.
1 C.I. Ripamonti e P. Bossi, Il dolore iatrogeno in oncologia, Springer Healthcare, Milano 2015.
2 Editorial: Health in the age of disinformation, “The Lancet”, vol. 405 (January 18, 2025), issue 10474, p. 173.
3 A. Monteleone, Salute & ideologia del benessere, “Fogli”, n. 281 (febbraio 2001). L’International Health Conference, in New York, approvò lo statuto della World Health Organization (Who), in italiano Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Il 7 aprile del 1948 tale statuto entrò in vigore. In esso la salute venne definita «uno stato di completo benessere, fisico, mentale e sociale, e non soltanto l’assenza di malattia e infermità». Non so se quanti redassero tale statuto e quanti lo firmarono per ratificarlo fossero pienamente consapevoli della portata della loro definizione o, più semplicemente, soggiacessero agli effetti dell’euforia postbellica o di un’inebriante visione prospettica delle conquiste della medicina. Comunque, anziché affinare le loro affermazioni, nel 1998 il gruppo speciale del Consiglio esecutivo dell’Oms ha proposto di modificare il preambolo dello statuto come segue: «La salute è uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, spirituale e sociale e non solo l’assenza di malattia o infermità». È stato aggiunto anche «spirituale», d’altra parte per essere davvero in salute (o piuttosto felici?) occorre essere in pace con sé stessi.
4 «I medici sono ormai senza frontiere. Il loro positivismo, la condiscendenza collettiva e un’ingenua loro chiamata in causa in ogni momento con una corriva concessione di deleghe in bianco, li ha indotti a impossessarsi dei tre eventi fondamentali dell’uomo: il nascere, il soffrire e il morire. Sembra che essi siano ormai gli unici candidati a dare risposte, a fornire certezze e a esplorare nuovi campi, senza scrupoli morali ma esclusivamente di fattibilità tecnica. E non solo: la stessa vita di coppia è farmaco dipendente e aggrovigliata in un cordone ombelicale di consigli e consulenze mediche» (A. Monteleone, Salute & ideologia del benessere, cit.).
5 Citazione riportata da P. Collina, La cura medica dell’altro nella Roma antica: dalla medicina domestica del “pater familias” all’arrivo dei primi medici greci, “Areté”, vol. 7 (2022), pp. 45-60.