Quando venne dicembre, per richiamare la canzone che ha reso celebre in Italia il film di animazione Anastasia, il Teatro Rossetti di Trieste e il Teatro degli Arcimboldi di Milano hanno ospitato la prima nazionale del musical ispirato alla leggenda della granduchessa Anastasia Romanov (1901-1918), in scena a marzo al Teatro Alfieri di Torino. Una narrazione che ha attraversato un secolo con le sue incursioni nella storia, nel cinema, nell’animazione e nel teatro, musicale e non solo, e che ha saputo illuminare di speranza e sogno uno dei periodi più bui della storia contemporanea.

«Ci fu un tempo, non molti anni or sono, in cui vivevamo in un mondo incantato fatto di eleganti palazzi e di feste grandiose. L’anno era il 1916 e mio figlio, Nicola, era lo zar di tutte le Russie». Con queste parole l’imperatrice madre rievoca l’inizio della favola di Anastasia nel prologo del film di animazione, che si apre con uno scintillante ballo tenuto al Palazzo d’Inverno per celebrare il trecentesimo anniversario dell’ascesa al trono della dinastia dei Romanov.

Un ballo lungo secoli, quello dell’aristocrazia russa, interrotto dalle fiamme della Rivoluzione, che, alimentate dal vento del malcontento aizzato dai rovesci militari della potenza russa nella Grande Guerra, fecero irruzione in una storia millenaria, spazzando via un impero. E una famiglia, fino all’ultimo bambino ed erede.

Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, l’ultimo zar Nicola II, sua moglie Alessandra, le loro giovani figlie Olga, Tatiana, Maria e Anastasia e lo zarevic Alessio, di soli tredici anni, furono fucilati insieme a quello che restava del loro seguito a Casa Ipatiev presso Ekaterinburg, divenuta per una notte il centro dello scacchiere conteso tra le due Armate, la Rossa bolscevica e la Bianca controrivoluzionaria: la corona doveva cadere, e ciò che rappresentava, morire con essa.

Una storia riaccende la speranza

Un futuro idealmente più equo, ma battezzato nel sangue, quello che si prospettava in Russia all’inizio del ventesimo secolo. E fu così che, forse per esorcizzare la tragedia, nacque la leggenda. Risvegliata dal mancato ritrovamento dei corpi dei Romanov, questa storia narrava di una fuga miracolosa dall’inferno di Ekaterinburg. Qualcuno poteva, doveva, essersi salvato dall’esecuzione, magari proprio una delle giovani granduchesse, che, come una principessa delle favole perseguitata dalla sventura e nascosta in qualche torre, aspettava con coraggio e resilienza il momento del suo riscatto.

A nutrire questa speranza non era solo qualche spirito romantico, ma anche una schiera di persone animate da ambizioni meno nobili: illusioni di ricompense ed eredità sepolte nei caveaux delle banche in attesa di un discendente dello zar facevano circolare voci sempre più insistenti di presunte granduchesse sfuggite alla strage. La più nota tra queste è Franziska Schanzkowski, conosciuta con il nome di Anna Anderson, che per tutta la vita sostenne di essere Anastasia Romanov. Solo dopo la sua morte si poté provare che così non era, quando all’inizio degli anni ’90 furono ritrovati i resti della famiglia imperiale e fu possibile eseguire le analisi del DNA.

Ma anche di fronte a questo colpo di coda della Storia, la leggenda non si dissolse, e anzi ne fu ridestata: all’appello mancavano infatti due corpi, tra cui forse proprio quello di Anastasia. Furono ritrovati nel 2007 e identificati come quelli di Maria e Alessio, ma nonostante la forza – e la drammaticità – dell’evidenza, la narrazione aveva ormai una forza tale da non smettere di far sognare grandi e piccini.

I due volti di Anastasia: Anna e Ingrid

La vicenda di Anna Anderson ispirò il noto film del 1956, prodotto da Twentieth Century Fox per la regia di Anatole Litvak e la sceneggiatura di Arthur Laurents, e tratto a sua volta dall’opera teatrale di Marcelle Maurette adattata da Guy Bolton.

Qui Anna, interpretata da una straordinaria Ingrid Bergman, tornata anch’essa da un lungo esilio – nel suo caso da Hollywood, a seguito della chiacchierata relazione con Rossellini – e consacrata con un Oscar, viene salvata da un tentativo di suicidio e da un’altra reclusione in manicomio dal generale Bounine (Yul Brynner). Nella sua ricerca di una sosia credibile di Anastasia, questi trova nella giovane senza memoria – e quindi provvidenzialmente senza passato e senza futuro – lo strumento ideale per mettere le mani sull’eredità dello zar, e inizia a istruirla nel ruolo di granduchessa. Riaffioreranno però in lei ricordi che nemmeno gli insegnamenti di Bounine avrebbero potuto restituirle, ricordi che apparentemente solo la vera Anastasia avrebbe potuto custodire. Dopo un’iniziale resistenza, arriva il riconoscimento non solo del cugino e fidanzato di Anastasia, il principe Paul, attratto da Anna e forse ancor più dall’eredità in palio, ma soprattutto dell’imperatrice madre (Helen Hayes), nonna della granduchessa.

Prima della presentazione ufficiale alla stampa e al mondo, però, l’imperatrice farà riflettere Anna e Bounine, che intuisce innamorati l’una dell’altro, sull’opportunità o meno di consegnare Anna alla storia come Anastasia, e quindi come erede dello zar destinata a un matrimonio aristocratico. Forse, una vita principesca per Anna e la tanto agognata eredità per Bounine, alla resa dei conti, non sarebbero state abbastanza.

La pellicola si chiude con la scomparsa dei due protagonisti, che ci immaginiamo essere fuggiti insieme, per riconfermare quanto affermato da Anna in una scena del film: «I poveri hanno un solo vantaggio; che sanno quando sono amati per loro stessi».

Dalla storia alla favola: la principessa Anastasia

Nel 1997, forse proprio grazie al ritorno in auge della leggenda dei Romanov a seguito dei ritrovamenti, la Twentieth Century Fox ripropose la storia di Anastasia, questa volta attraverso l’animazione per l’infanzia. Prodotto e diretto da Don Bluth and Gary Goldman, il film vanta una memorabile colonna sonora composta da David Newman con testi di Stephen Flaherty e Lynn Ahrens, che gli valse diverse candidature agli Oscar e ai Golden Globes.

La storia riprende perlopiù quella del film del ’56, naturalmente in maniera edulcorata dato il pubblico a cui è destinata. Qui, il manicomio diventa un orfanotrofio, e la giovane affetta da amnesia è Anya, che ha un solo desiderio, ritrovare la sua famiglia, e un solo indizio, Parigi. Accetterà di viaggiare insieme a due simpatici imbroglioni – Dimitri, un ex sguattero dei Romanov, e Vlad, un nobile decaduto – e di essere istruita perché possa impersonare Anastasia al solo scopo di raggiungere la Francia e convincere la dama di compagnia dell’imperatrice madre a organizzare un incontro con lei, per scoprire finalmente la propria identità, che risponda o meno al nome di Anastasia. Anche in questo caso, dopo un duro confronto con la nonna e con Dimitri, avverrà il riconoscimento tra le due donne, ma Anastasia, spinta dall’imperatrice a riconoscere il sentimento che la lega al ragazzo, lascerà quel passato ora ritrovato per costruire un futuro con l’uomo che ama e che, da granduchessa, non avrebbe potuto sposare.

Rispetto al film del ’56, vi sono tre grandi elementi di distinzione, sempre legati al genere e al pubblico di riferimento. Qui non rimane un velo di mistero sul fatto che Anya sia realmente Anastasia, che incontriamo infatti già in Russia al tempo dello scoppio della rivoluzione. Una rivoluzione che appare scatenata da soprannaturali forze del male, evocate da un Rasputin redivivo. Ai tempi della caduta dei Romanov, il controverso mistico e consigliere privato della famiglia imperiale era già stato assassinato, ma in questa versione torna dall’aldilà per vendicarsi del suo allontanamento forzato da corte. Aiutato da un buffo pipistrello albino, sua spalla comica e, in fondo, obbiettore di coscienza, è ossessionato dall’idea di compiere la maledizione dei Romanov, sterminando l’intera dinastia fino all’ultima discendente. Questo escamotage estremizza il conflitto tra Bene e Male, come è tipico delle storie per bambini, e crea una forte empatia nei confronti di una famiglia che storicamente ha rappresentato un regime non privo di contraddizioni, e, di conseguenza, nei confronti della protagonista, sua erede.

“Forse un giorno tornerò”: Anastasia in musical

Nel 2017 a Broadway approda il musical tratto dal film di animazione da cui riprende in gran parte la trama e la colonna sonora, con libretto di Terrence McNally e tanti numeri musicali aggiuntivi che si amalgamano perfettamente con le canzoni originali.

Nel nostro Paese lo spettacolo, con orchestra dal vivo e traduzione di Franco Travaglio, è presentato da Broadway Italia, società di produzione nata nel 2021 dalla collaborazione tra Federico Bellone, regista di musical di fama internazionale, e Luca Montebugnoli, presidente di Vivaticket, e dal sogno di portare in Italia gli standard dei più grandi cantieri del teatro musicale a livello globale, che si è concretizzato nel 2023 con la prima italiana di The Phantom of the Opera. Questa produzione, diretta dallo stesso Bellone, ci regala uno spettacolo sontuoso, con scenografie e costumi che, ancor più che a Broadway, strizzano l’occhio al cartone animato, ed effetti speciali che incantano: tra i vapori della stazione l’ombra di un treno sembra sfondare la quarta parete, ricordi di un ballo dimenticato prendono vita danzando a mezz’aria, e soffici fiocchi di neve cadono su una platea tornata bambina.

Anastasia torna quindi a teatro, e torna a rivolgersi a un pubblico adulto. Scompaiono sortilegi e maledizioni, peraltro difficili da realizzare su un palco, e al posto dello stregone Rasputin assume il ruolo di antagonista, più che di villain, Gleb, un giovane bolscevico. Figlio di uno dei soldati che fecero parte del plotone di esecuzione di Ekaterinburg, e che a seguito di quel traumatico evento si era tolto la vita, vive la fedeltà all’ideale egualitario del clima rivoluzionario in cui era cresciuto come un’ossessione: la soppressione di ogni rigurgito realista, di ogni fantasia su una presunta granduchessa sfuggita all’epurazione, nonché della vera Anastasia, qualora fosse realmente sopravvissuta, diventa imperativa, quasi a voler dare un senso alla morte del padre. Un’ossessione che però si scontra con l’attrazione che pur prova per la coraggiosa Anya, scatenando un dilaniante conflitto interiore. Come suo padre prima di lui, nel confronto finale con Anastasia non riuscirà a sostenere il peso dell’assassinio di un’innocente, ma, a differenza del genitore, non sparerà il colpo fatale né contro di lei né contro sé stesso, e tornerà in Russia per scagionare Anya e chiudere il caso.

Una riconciliazione ideale tra le due anime della Russia, che nella prima scena erano entrate in collisione in un ballo alienante in cui gli aristocratici, come un carillon che si ostina a girare anche quando la carica va esaurendosi, continuano a danzare mentre tutto intorno a loro brucia, gattopardi destinati alla morte o all’esilio. Una riconciliazione che crea un ponte ideale non solo tra Leningrado e Parigi, ma anche tra Leningrado e Pietrogrado, tra la Russia sovietica e quella zarista, curando così le ferite delle due Russie e riunendo ciò che di buono vi è in entrambe.

Questo è il potere delle storie, e in particolare di questa storia: una leggenda che, nonostante gli intrighi, gli impostori e le prove portate di fronte ai nostri occhi dalla Storia, ha attraversato il Novecento fino a noi, facendoci sperare nell’impossibile e credere che ci sia sempre una speranza, una Parigi in cui rinascere. Come per Anastasia, il cui nome significa “sorgerà di nuovo”.

Consigli di lettura

Un interessante adattamento ispirato alla vicenda di Anna Anderson è il romanzo Il mio nome era Anastasia di Ariel Lawhon (Piemme 2019), che ricostruisce con una struttura “alla Christopher Nolan” (si pensi ai film Memento o Tenet) le due storyline di Anna e di Anastasia. L’una procede infatti a ritroso (dagli ultimi anni di vita all’inizio della sua avventura come presunta erede dei Romanov), mentre l’altra in senso cronologico (dallo scoppio della Rivoluzione alla notte di Ekaterinburg), alternandosi di capitolo in capitolo, per poi convergere nello stesso momento storico solo alla fine della narrazione. Questo tipo di intreccio tiene alta la suspense e dona allo spettatore, che pure sarebbe consapevole della cruda verità, una prospettiva molto simile a quella dei contemporanei degli eventi narrati.

 

Le altre date della tournée:

ROMA – Teatro Brancaccio: dal 9 aprile al 13 aprile 2025

FIRENZE – Mandela Forum: dall’8 maggio all’11 maggio 2025

BERGAMO – ChorusLife Arena: dal 4 dicembre al 7 dicembre 2025

JESOLO – Palazzo del Turismo: dall’11 dicembre al 14 dicembre 2025

NAPOLI – Palapartenope: dal 3 gennaio al 11 gennaio 2026

BOLOGNA – EuropaAuditorium: dal 14 gennaio 2026 al 18 gennaio 2026

ROMA – Teatro Brancaccio: dal 22 gennaio al 1° febbraio 2026

Per tenervi aggiornati, visitate il sito www.anastasiaonstage.com