Michelangelo Peláez arrivò in Ares e a Studi cattolici nel 1964, un anno prima di Cesare Cavalleri. L’autore ricorda quei primi anni di vita della redazione e l’arrivo di Cavalleri alla guida della rivista. Tra i libri Ares di Michelangelo Peláez ricordiamo: Scienza per l’uomo (L’etica delle virtù nel lavoro universitario), L’arte di vivere bene (Beni, virtù, norme), Etica professioni virtù.

Il ricordo e l’assidua frequentazione con Cesare sono per me legate a Studi cattolici. Del resto, l’identità pubblica di Cesare coincide con quella di essere stato direttore di una rivista per più di cinquant’anni. Durata assai rara, non soltanto per quanto riguarda una qualsiasi attività professionale, ma ancora più insolita se si tratta del lavoro in una rivista culturale la cui vita non è, ordinariamente, caratterizzata dalla longevità.

Nella primavera del 1964 mi fu chiesto dalla proprietà di Sc di farmi carico della redazione dopo soli sette anni di vita, prima con periodicità trimestrale e poco dopo bimestrale. La rivista aveva significato nella pubblicistica cattolica del tempo una novità, anche grafica, per l’approccio diretto ai problemi di maggiore attualità: politica, culturale, artistica, sportiva, di costume. Non a caso aveva come sottotitolo “Rivista di teologia pratica”. Anch’io aveva pubblicato alcuni articoli in quei primi anni.

Mi fu affidato l’incarico di redattore capo, il direttore responsabile restava Francesco Matassi, un grafico geniale. Il mandato ricevuto, condiviso dal direttore responsabile, era quello di rendere la rivista più agile e pluralista, meno condizionata dall’aggettivo “cattolici”, sottolineato dalla copertina che aveva sempre a piena pagina un bel disegno della chiave petrina, e renderla possibilmente mensile in modo da seguire meglio l’attualità.

I numeri che restavano da pubblicare nel 1964 erano, tranne uno, già preparati. In quei frangenti si intensificavano le notizie della prossima pubblicazione da parte di Paolo VI della sua enciclica programmatica, che avvenne il 6 agosto del 1964. L’enciclica era polarizzata sul tema del dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo nella linea del Concilio Vaticano II, evento di portata universale che dominava quegli anni nell’opinione pubblica mondiale.

Il primo numero da me curato fu quindi il 45 con il titolo preso dal testo dell’enciclica “Il dialogo, tormento apostolico”.

Collaborarono il fior fiore della teologia e della cultura di quel tempo: Albareda, Del Noce, Hamman, Journet, Lacroix, Leclercq, Moeller, Torelló e altri. Da gennaio 1965 la rivista diventa mensile. La nuova grafica, molto più semplice e meno costosa, praticamente è rimasta finora invariata con la copertina bianca e una sempre maggiore sottolineatura della parola “Studi” e meno evidente quella di “cattolici”.

La gestione economica della rivista e della casa editrice, la necessità di avere collaboratori amministrativi e redazionali più stabili, si fanno sentire. In redazione ho portato con me da Napoli Mario Di Palma, un giovane laureato in giurisprudenza, filologicamente dotato e con una vasta cultura classica e moderna che svolgerà in Sc e nelle Edizioni Ares un lavoro nascosto di grande valore intellettuale per molti anni, fino al suo pensionamento. Ma ciò non basta per fare una rivista mensile, il che induce la proprietà al trasferimento a Milano in via Stradivari 7.

L’autunno 1965

È allora che si affaccia all’orizzonte Cesare Cavalleri, giovane assistente di Statistica nella nascente Università di Verona e già coraggioso fondatore e direttore di un piccolo giornale, Fogli; quindi, con competenze allo stesso tempo economico-amministrative, culturali e grafiche. Francesco Matassi non ci segue a Milano e Cesare diventa a tutti gli effetti direttore delle Edizioni Ares e direttore responsabile di Sc. Io rimango redattore capo della rivista e continuo a fare l’editoriale per alcuni numeri e poi passare la mano a Cesare che da allora, n. 59 febbraio 1966 ininterrottamente, fino al numero di novembre scorso ci ha deliziato con la sua fluida ed elegante scrittura che incide nella coscienza del lettore.

Dall’autunno del 1965 a quello del 1972, anno in cui per motivi pastorali mi sono trasferito a Roma, la nostra collaborazione è stata costante, più che amichevole, gioiosamente fraterna, senza che per questo le nostre idee e sensibilità si appiattissero l’una sull’altra.

Del resto era inutile contrastarlo su quanto aveva scritto, quod scripsit, scripsit! Ma sicuramente, senza farmelo pesare, più volte ha accettato le mie scelte e rispettato le mie opinioni. Ci univa un denominatore comune che non richiedeva esplicitare il nostro pensiero e le nostre azioni con parole di chiarimento, giustificazione, ecc.

Una volta a Milano c’era da confezionare, mese dopo mese, la rivista e quindi la necessità di creare di sana pianta un gruppo redazionale stabile. Da Roma Piergiovanni Palla curava una piccola redazione che dava un minimo di continuità alla rivista. Inoltre, era nostro desiderio stabilire relazioni con giornali, riviste e istituzioni, soprattutto cittadine. Gli aiuti non ci sono mancati. Per quanto riguarda la redazione molto ci aiutò Gianfranco Bettettini che ci presentò numerosi colleghi e amici. Alcuni entrarono a far parte della redazione in maniera più o meno stabile come Claudio Maria Fava, giornalista genovese e brillante critico cinematografico, Raffaele Medetti, giornalista milanese che con la sua rubrica Inventario e altri pezzi di bravura umoristica passava in rassegna aspetti del costume dilagante; Franco Lorenzo Arruga, sommo musicologo, Adriano Bellotto, del qualificato ufficio culturale dell’Olivetti, Paolo De Marchi, notaio e critico d’arte. Altri parteciparono ad alcuni incontri di redazione come Umberto Eco, Morando Morandini e Raffaele Crovi, che scrisse alcuni articoli.

Per altre vie si unirono alla redazione, presentati da Elemire Zolla, Quirino Pincipe, Rodolfo Quadrelli (per brevi periodi) e Gianfranco Morra (che collaborò invece fino alla sua morte). Come Morra, Emanuele Samek Lodovici fu redattore altrettanto qualificato e fedele. Emanuele, sempre in grande e gioiosa sintonia con Cesare, portava in redazione ventate di novità e di idee da realizzare. Voglio citare altri due bravi redattori: Mario Marcolla, figura singolare di lavoratore in un’impresa tessile di Monza e conoscitore profondo del pensiero economico politico americano, e Nicoletta Schmitz Sipos, nostra traduttrice dal tedesco e autrice di contributi originali, tuttora attiva.

Confezionare la rivista

Con questa ampia base redazionale e attingendo alla traduzione di articoli particolarmente significativi pubblicati in riviste straniere della nostra nutrita emeroteca, la rivista uscì puntualmente in una stagione di passioni politiche, di vivacità culturale e di grandi novità ecclesiali del periodo conciliare. A sfogliare la rivista di quegli anni le prese di posizione di Cesare, gli studi, gli articoli, le cronache, recensioni e interventi vari, passano in rassegna gli avvenimenti internazionali e nazionali che ebbero più rilevanza: l’assassino dei fratelli Kennedy, la guerra del Vietnam, il 1968, il dialogo fra cattolici, le encicliche Populorum progresio ed Humanae vitae di Paolo VI, mentalità scientifica e cultura contemporanea, intellettuali e società, il centenario di Roma capitale, o le autonomie locali.

Sulla Populorum progressio nella stampa italiana, con interventi in buona parte altamente qualificati, abbiamo edito un libro nella collana Sagitta, allora inaugurata con La spiritualità del lavoro di J.L. Illanes, nella quale confluirono gli atti dei convegni annuali di Teologia pastorale svolti dal 1966 al 1973 a cui partecipavano un centinaio di sacerdoti da tutta Italia, in buona parte nostri abbonati. Tra i relatori c’erano anche intellettuali laici come Sergio Cotta, Bolgiani, Prandoi e, pochi mesi prima di essere eletto Papa, partecipò anche Albino Luciani.

Sul tema degli intellettuali, invece, organizzammo un convegno nel 1966 sulle rive del lago di Como in collaborazione con la rivista francese La Table ronde rappresentata tra gli altri da intellettuali come Charles Bourbon Busset, Henry Cavanna e Stanislas Fumet, il quale fu direttore del settimanale Temps present in cui collaboravano Francois Mauriac e Jacques Meritain. Da parte italiana, oltre a molti di noi della redazione Sc, parteciparono un giovanissimo Gianni Vattimo e Vincenzo Filippone Taulero.

Dal “Corriere” ad “Avvenire”

Dicevo che fu nostra preoccupazione stabilire rapporti con giornali, riviste e istituzioni culturali, soprattutto cittadine. Naturalmente, in primo luogo, essendo una testata cattolica, con la curia di Milano dove il vescovo ausiliare Teresio Ferraroni ci accolse cordialmente e ci affidò a mons. Riboldi, professore di Storia della Chiesa, per avere il nihil obstat allora richiesto prima della pubblicazione di ogni numero. Mai ci fu chiesto di correggere od omettere alcunché di quanto scritto. La Cassa di Risparmio della Lombardia era già un inserzionista nelle pagine di pubblicità di Sc, per cui Cesare e io siamo andati a visitare il presidente di allora, il prof. Dell’Amore, che comprese e apprezzò fattivamente nostro lavoro. Fummo invitati a presentare la rivista nei circoli Rotary di Milano centro, Como e Lecco. Ci furono presentati i dirigenti del Circolo Carlo Puecher, l’ing. Ancarani e il dott. Cesare Grampa, e organizzammo insieme alcune conferenze nella sede del Circolo. Lo stesso accade con il circolo-libreria La corsia dei servi diretto da Peppino Ricca il quale diventò collaboratore della rivista. Nella loro sede don Giambattista Torellò fece una conferenza da noi promossa dal titolo “Tentazioni dei laici” che con altri articoli suoi fu pubblicata nella collana Sagitta.

Vicedirettore del Corriere della Sera era allora Gaspare Barbiellini Amidei, conosciuto da me a Roma quando dirigeva la rivista Elsinore, di matrice liberale. Avevamo pubblicato su Sc un suo articolo su Simone Weil. Ci venne a trovare in redazione a Milano e propose a Cesare di scrivere sul Corriere, ma la sua collaborazione durò poco a causa di un suo articolo molto critico su Adele Fazio, allora portabandiera della campagna a favore dell’aborto. Molto diversamente andò con Avvenire. Nel 1965 il quotidiano cattolico di Milano era L’Italia diretto da don Carlo Chiavazza che ci accolse molto bene affidandoci una pagina mensile su un tema da noi scelto; ne abbiamo fatta una sull’Eucaristia in concomitanza con il Congresso eucaristico nazionale e un’altra su matrimonio e famiglia. Affidò anche a Cesare la rubrica Tv. Paolo VI decise di fondere i vari quotidiani cattolici italiani in una sola testata, Avvenire, con sede e strutture de L’Italia. Il nuovo direttore fu Valente, che conferma Cesare nell’incarico.

Cesare e io abbiamo fatto alcuni viaggi per stabilire contatti con altri riviste e nuovi collaboratori. A Torino per incontrare la direzione della recentemente costituita Fondazione Agnelli e la redazione del settimanale Nostro Tempo che durante l’episcopato del cardinale Pellegrino ebbe un certo prestigio. A Firenze siamo andati in occasione di un congresso promosso della rivista Testimonianze diretta da padre Balducci sul tema del laicato nel post Concilio e in quella occasione abbiamo conosciuto don Carlo Bello, storico del modernismo che diventò nostro collaboratore e del quale pubblicammo anche un libro nella collana Sagitta sul modernismo italiano. A Bologna siamo andati a trovare il cardinale Poma, il primo presidente della conferenza episcopale italiana, al quale portammo, appena da noi edito il libro di mons. Alvaro del Portillo Fedeli e laici nella Chiesa che il porporato aprì subito con grande interesse. Siamo andati a trovare anche il cardinale Lercaro di recente sostituito alla guida della diocesi che trovammo un po’ desolato e lo invitammo a partecipare a uno dei convegni di teologia pastorale. Incontrammo a Bologna Alfonso Prandi, della direzione della rivista Il Mulino, che fu relatore a uno dei convegni di teologia pastorale. Un’altra rivista significativa di quell’epoca post conciliare era Il Gallo di Genova, spesso in contrasto con l’arcivescovo cardinale Siri, che allora aveva come importante collaboratore Giovanni Baget Bozzo, diventato da poco sacerdote. In un viaggio a Genova ci siamo incontrati con il fondatore e direttore di Il Gallo, Nando Fabro, per appianare un malinteso sorto da un articolo di Mario Di Palma che citava la sua rivista. Nella stessa occasione abbiamo incontrato Baget Bozzo che aveva fondato la rivista di teologia Renovatio e lo invitammo a un convegno di teologia pastorale.

Un lavoro “nascosto”

Vorrei citare per ultimo un’attività insolita che ci fu affidata in quegli intensi anni. Mons. Mistrorigo, vescovo di Treviso, autore di uno dei messali per i fedeli più diffuso in Italia, ci chiese, attraverso Adriano Belloto, originario di Treviso, di parlare a una riunione plenaria del clero diocesano alla presenza del vescovo, forse un centinaio di sacerdoti, della Contestazione giovanile, cosa che abbiamo fatto, trattando Cesare e io un diverso aspetto del tema. Ne seguirono molte domande.

Il lavoro che Cesare portava sulle spalle era quindi enorme. La direzione dell’ufficio, i rapporti con l’Associazione Ares, proprietaria delle Edizioni Ares e quindi di Sc, con gli autori dei libri e i redattori della rivista, con le tipografie, la gestione economica e commerciale. Tutto ciò non gli impediva di mantenersi aggiornato e creativo in ogni ambito riguardante i contenuti della rivista e il progressivo sviluppo dell’editrice. È da tener presente che in quei primi anni di Milano in ufficio eravamo fissi oltre lui e me, con frequenza assente per impegni pastorali, Mario Di Palma, un saltuario fac totum e un garzone magazziniere. Quando ci venne a trovare l’anticonformista padre Nazareno Fabbretti, prolifico e perciò onnipresente rappresentante della pubblicistica conciliare e postconciliare, rimase sorpreso della nostra povertà di mezzi e di persone, e commentò ammirato: «Siete ancora nelle catacombe».