L’argomento migrazioni continua a essere presente nel dibattito e nei media del nostro paese, con toni meno accesi degli anni scorsi ma sempre suscitando sgomento di fronte al ripetersi delle tragedie nel Mediterraneo e in altri mari. A mantenere vigile l’attenzione sul fenomeno migratorio si aggiungono inoltre le politiche di deportazione e di innalzamento di muri praticate in varie aree del mondo.
In questa nota la realtà del fenomeno migratorio è considerata solo sotto il profilo numerico, mentre per le politiche migratorie e le sfide da affrontare rinviamo all’analisi puntuale che Massimo D’Angelo ha svolto in Studi cattolici (768, febbraio 2025).
I migranti internazionali
La Divisione della Popolazione delle Nazioni unite ha pubblicato nei mesi scorsi un Rapporto che stima il numero totale di migranti internazionali per sesso, luoghi di origine e di destinazione1. Pur con diverse limitazioni, si tratta di un’informazione assai utile: nel 2024 il numero di migranti internazionali è arrivato a 304 milioni, valore quasi doppio di quello –154 milioni – registrato nel 1990, l’anno iniziale di registrazione dei dati della pubblicazione dell’Onu.
La maggior crescita di migranti si è registrata soprattutto nel periodo 2010-2024: a causa delle crisi umanitarie esplose in diversi Paesi del mondo sono infatti aumentati i rifugiati, i richiedenti asilo, le persone sotto protezione internazionale.
Tra le aree geografiche l’Europa – anche per effetto della guerra in Ucraina – ha il più alto numero di migranti internazionali, 94 milioni, seguita dal Nord America con 61, dal Nord Africa e dall’Asia Occidentale entrambi con 54.
Delle aree di destinazione l’Europa rappresenta il polo di maggiore attrazione con valori cresciuti del 70% negli ultimi 20 anni. Nello stesso periodo l’Asia occidentale ha visto più che raddoppiato il numero di migranti internazionali: negli Emirati Arabi Uniti sono ormai il 74 % della popolazione, in Arabia Saudita il 40,3. Elevata è anche la percentuale di immigrati sulla popolazione in Australia (30,4) e Canada (22,2). Con l’11 % l’Italia si colloca al di sotto di Francia (13,8), Regno Unito (17,1), Spagna (18,5), Germania (19,8).
Come ha rilevato il demografo Bonifazi, nello scenario europeo, attualmente, da più di un decimo a un quinto della popolazione è composto da persone nate in un altro Paese. Un «modello migratorio che nei Paesi del Golfo ha raggiunto livelli elevatissimi, arrivando anche a rappresentare i tre quarti della popolazione»2.
La dinamica migratoria in Italia
Come è noto, il bilancio demografico naturale del nostro Paese – rapporto nascite/decessi – è negativo e tende ad aggravarsi di anno in anno, solo in parte compensato dall’immigrazione.
Nel 2024 le immigrazioni dall’estero (435mila) sono state più del doppio delle emigrazioni (191mila), con un saldo migratorio positivo di 244mila unità3.
Rispetto all’anno precedente l’incremento dei flussi di cittadini stranieri ha interessato in modo particolare quelli provenienti da Paesi africani (Marocco, Tunisia, Egitto, Senegal, Burkina Faso, Nigeria). Quelli dal continente americano hanno riguardato soprattutto l’Argentina e il Brasile (a motivo delle richieste di cittadinanza italiana jure sangunis); i 65mila immigrati asiatici provenivano in prevalenza da Bangladesh, Pakistan e India. Dall’Europa si è avuto un netto rallentamento dei flussi, diminuiti del 16,4% rispetto al 2023: dall’Ucraina ancora numeri significativi (25mila), superati solo dall’Albania (27mila) che è il principale Paese di origine europea degli stranieri che giungono in Italia.
Significativa la distribuzione territoriale di questa massa di immigrati: le regioni del nord ne accolgono 204 mila (53,4% del totale), il Mezzogiorno il 26,4%, il centro il 20,2%.
Gli ultimi rapporti dell’Istituto Italiano di Statistica hanno dedicato più attenzione alle emigrazioni dal nostro Paese in forte aumento rispetto al 2023: +20,5%. Mentre stabili sono quelle di cittadini stranieri (poco meno di 40mila), l’incremento è trainato esclusivamente dagli espatri di cittadini italiani, 156mila nel 20244.
Allarme hanno suscitato i numeri degli espatri di giovani laureati in cerca di migliori condizioni lavorative ed economiche e di prospettive professionali: fenomeno oggetto di indagini statistiche e motivazionali. Per il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli «i circa 97mila laureati di cittadinanza italiana che hanno lasciato il Paese nel corso dell’ultimo decennio sono un significativo deficit di capitale umano qualificato». Nel 2023 i laureati tra i 25 e i 34 anni espatriati sono stati 21mila, i rientri in patria solo 6mila5. Analoga preoccupazione ha espresso nelle considerazioni di fine maggio il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta.
Le migrazioni interne
Nell’ultimo decennio si è registrata una crescente tendenza ai riposizionamenti di popolazioni all’interno del Paese. Nel 2024 queste migrazioni hanno coinvolto un milione e 413mila individui. Il Mezzogiorno ha un saldo migratorio interno negativo e una popolazione che rispetto alle altre aree diminuisce in modo molto marcato. Al contrario, la dinamica migratoria positiva comporta nel centro-nord un calo di popolazione contenuto e un incremento al nord.
Nel biennio 2023-2024 i movimenti interni dal Mezzogiorno al centro-nord sono stati 241mila, quelli che hanno compiuto la traiettoria opposta sono stati 125mila, con conseguente perdita di residenti a vantaggio del centro-nord e un saldo migratorio complessivo di ben -116mila unità. Quasi 3 su 10 confluiscono in Lombardia, meta preferita dei flussi in partenza da molte regioni del Sud; il tasso di emigratorietà più alto lo registra la Calabria, seguita da Basilicata e Molise. Viceversa, le regioni del centro-nord con il più elevato tasso di immigratorietà sono l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Lazio.