Cristina Dell’Acqua è insegnante di latino e greco al liceo San Carlo di Milano, autrice di libri per Mondadori e Solferino, e per noi ha scritto l’invito alla lettura di Antigone. Ora cura la nuova collana “I Classici” di Roi Edizioni, a cui ha dato un taglio particolarmente contemporaneo. In questa intervista, Chiara Finulli le ha chiesto di raccontarci questa novità e perché leggere i Classici oggi ci arricchisce ancora.
Cristina, da sempre ti occupi a scuola e con i tuoi libri di “far ascoltare” i classici dell’antichità anche a noi donne e uomini moderni. Hai scritto tre testi: Una spa per l’anima, titolo evocativo, Il nodo magico e La formula di Socrate (Mondadori). Ora curi la nuova collana di Edizioni Roi dal titolo semplice ed eloquente “I Classici”. Ci spieghi i motivi di questa scelta? Quali sono gli obiettivi che si pone?
L’obiettivo della nostra nuova collana è quello di riproporli in una nuova traduzione. Per farlo abbiamo pensato di partire con gli autori più amati e più letti, attraverso traduzioni moderne e contemporanee per arrivare sia alle persone che hanno studiato i classici al liceo, ma poi hanno fatto altro, sia a chi non li ha mai studiati, e a loro sono dirette le nostre attenzioni perché il testo avvicini e non intimidisca.
Le traduzioni sono fatte da colleghi studiosi, classicisti, insegnanti, quindi da persone esperte e fedeli al testo, che però si sono assunti la responsabilità di essere il più possibile comprensibili. I testi degli autori non invecchiano mai, ma le traduzioni, fatte salve quelle più blasonate, sì.
Anche la scelta di non mettere il testo a fronte va dunque in questa direzione?
In coda a ogni volume c’è il riferimento all’originale, però l’idea è quella di mettere tra le mani dei nostri lettori un libro snello. Ognuno ha una mia introduzione, che è un invito alla lettura, la traduzione e delle note di accompagnamento in fondo, dettagliate e legate alle curiosità che l’autore greco o latino propongono.
Le prime quattro uscite riguardano quattro “grandi” della letteratura antica, Cicerone, Ovidio, Seneca e Plutarco: perché la scelta è caduta proprio su questi autori e su questi loro testi? Inoltre, tra i titoli, il più curioso è quello di Plutarco: Come rispettare gli animali, composto da due saggi: Gli animali usano la ragione (rigorosamente senza punto di domanda, è un’affermazione), una riscrittura dell’incontro tra Ulisse e Circe e della famosa vicenda dei compagni trasformati in maiali, e il breve trattato Sul mangiar carne, un argomento dei nostri giorni. Che cosa ci dice in proposito Plutarco?
Sono partita dalle mie passioni, incrociate con le passioni dei traduttori. Ci sono due testi molto noti che sono il De amicitia di Cicerone e De vita beata di Seneca. Poi i Remedia amoris di Ovidio, ci piaceva questa sfida, e una chicca, Come rispettare gli animali, di Plutarco; effettivamente un testo molto particolare. È composto da due opuscoli interessanti perché trattano un tema attuale: l’intelligenza degli animali, che coinvolge anche il nostro amore per gli animali. Siamo una generazione di persone che ama averli in casa, ama avere la loro compagnia. E poi, legato all’amore nei loro confronti, c’è il tema dell’essere vegetariani.
Il primo opuscolo (Gli animali usano la ragione) parla proprio di questo. Plutarco è un autore molto colto e fantasioso e immagina un incontro tra Ulisse e Circe. Il riferimento è l’episodio famoso che conosciamo dal decimo libro dell’Odissea, dove però succede una cosa molto curiosa: la scena vuole che gli uomini di Ulisse siano già stati ritrasformati in umani, però l’eroe greco dal multiforme ingegno chiede a Circe che vengano ritrasformati in uomini anche tutti gli altri greci che lei ha ancora prigionieri.
Circe si mostra assolutamente favorevole alla proposta, però – aggiunge – deve essere Ulisse in persona a chiedere loro se lo desiderano realmente. Nell’Odissea questi animali non hanno il dono della parola. Invece Plutarco dà questa capacità a Grillo, che è stato trasformato in un maiale, il quale alla fine manifesta il suo punto di vista: non ha nessuna intenzione di tornare uomo perché ha apprezzato la natura degli animali.
Mi hanno colpita le due motivazioni principali del diniego di Grillo: gli animali non conoscono l’ambizione sfrenata, la sete di potere e di denaro; e poi che gli animali combattono fra di loro ma per difendersi, per difendere la loro famiglia, non per il gusto della guerra e o di conquista, come invece fanno gli esseri umani.
Nel secondo testo perché si dichiara proprio favorevole al fatto che la carne non vada mangiata. Non solo perché l’atto di mangiar carne viola gli animali stessi, ma perché fa anche male alla salute. Plutarco anticipa di millenni un argomento attualissimo.
Nella tua introduzione al De vita beata (Come vivere felici) di Seneca affermi che «ogni maestro del passato può diventare una guida spirituale del presente». Sebbene siano stati scritti di secoli fa, la letteratura ci parla ancora. In fondo dinamiche e desideri degli uomini e delle donne sono sempre gli stessi?
Come si nota ci è piaciuto anche tradurre i titoli delle opere in maniera che si capisca il taglio. Il De vita beata vuole raccontarci come si può fare per vivere felici o quantomeno sereni, come dice Seneca. Alcune dinamiche dell’animo umano sono le stesse e forse per questo diciamo sempre che i testi classici non sono né antichi né moderni: sono perenni e ci parlano sempre.
Inoltre, questo testo è particolarmente interessante, innanzitutto perché parla di felicità. E poi perché è stato pensato da un uomo ben inserito nella realtà in cui viveva: era un oratore molto famoso, era un uomo molto benestante, anche chiacchierato. E quest’uomo ha trovato nella filosofia un rifugio, un modo per ricercare un equilibrio laddove ne aveva bisogno. E a me piace molto perché ci consegna un’idea di filosofo lontana dall’immaginario legato all’asceta, che vive scollato dalla realtà. Ma è l’idea di un uomo (e di una donna) che all’interno della propria vita si pone delle domande, cerca il proprio equilibrio e lo cerca anche nelle parole di maestri antichi. Certi testi possono farci da psicologo.
Seneca ha scritto un testo sulla vita felice nel periodo peggiore della sua esistenza, appena esiliato da Roma. Come?
Certo, perché è una ricerca. Probabilmente quando siamo felici non ci facciamo caso. Ma quando le cose ci vengono a mancare, componiamo i pensieri per trovare una nostra strada. Seneca era uno stoico, però le filosofie ellenistiche, sia lo stoicismo sia l’epicureismo, erano degli aiuti per trovare la felicità, strade spirituali da un certo punto di vista.
Ci sono delle pagine bellissime in cui Seneca scrive che uno dei nemici peggiori della felicità è l’essere conformisti: proprio qualcosa che potresti sentire oggi.
Oppure racconta del rapporto col denaro: il punto non è avere o non avere denaro (lui era un uomo ricco). Il nodo è possederlo e non esserne posseduti. Una bella differenza. Ecco, proprio qui [nel De vita beata, ndC] ci sono pagine dove sviluppa temi che si possono trovare anche nelle sue Lettere a Lucilio (altro capolavoro di Seneca) che però qui il filosofo sviluppa in una maniera ancora più calata nella sua realtà e nella sua vita
Mi ha colpito l’uso dell’aggettivo «spirituale». In una società come quella moderna che ha completamente smarrito o relegato all’ambito privato la dimensione spirituale, quali insegnamenti possiamo ricevere da autori così antichi (oltreché pagani)?
È vero, sappiamo bene dove è collocato Seneca cronologicamente, anche se lui vive comunque nel periodo dell’affermazione del cristianesimo. Ci sono delle fonti accreditate che ci raccontano di rapporti tra Seneca e san Paolo. Questo non significa che stiamo parlando di cristianesimo per Seneca ma che al suo tempo si stava diffondendo un certo tipo di spiritualità.
Spirituale è ciò che ci aiuta ad andare in profondità, tutto quello che ci aiuta nella conoscenza di sé stessi e nell’apertura verso gli altri. Non dimentichiamoci che Seneca tra le molte Epistole ne ha dedicata una, bellissima, al tema della schiavitù, gli schiavi erano una terribile realtà della società antica. Il filosofo, con uno spirito nuovo, contesta il fatto che non vengano trattati come degli esseri umani. La dimensione umana, una dimensione dell’altro, accomuna ogni essere vivente.
Gli altri due testi sono il De amicitia di Cicerone, grande classico, e Come guarire dalle pene d’amore (Remedia amoris) di Ovidio. Amicizia e Amore, due sentimenti da sempre al centro della grande letteratura. Quali sono i punti forti di questi due testi?
Il primo (De amicitia, ndC) ha a tema l’amicizia come valore. È curioso, perché è un testo filosofico. Cicerone racconta dell’amicizia partendo da come era considerata a Roma. Per lui e per i suoi contemporanei l’amicizia non era vista tanto come bene per l’altro, ma come purtroppo troppo spesso è intesa anche da noi, come uno strumento politico di scambio di favori. Cicerone ha una sensibilità personale, cultura filosofica, apertura mentale che gli arriva dai suoi studi approfonditi e in particolare dallo studio del greco. Il suo punto di vista introduce uno sguardo sull’amicizia che sino a quel momento a Roma non era considerato: l’amicizia è una forma d’amore, la scelta di una persona con cui è bello dividere le pene, moltiplicare le gioie. Una persona che entra nella tua vita perché ti fa da specchio, perché ti somiglia oppure perché è completamente diverso da te. Per Cicerone è uno dei fondamenti della felicità. E a me piace sempre dire che quando due amici parlano fanno filosofia.
Come guarire dalle pene d’amore è un testo particolare e ben tradotto. Ovidio, l’autore delle Metamorfosi, già ai suoi tempi era un outsider, e con questo testo ironico e leggero tocca le corde di un argomento importante: l’amore è una cosa meravigliosa ma porta anche tante sofferenze.
Il protagonista del suo testo è proprio Amore in persona e Ovidio immagina che vengano scambiati così dei consigli su come superare certi momenti terribili rivolgendosi sia agli uomini sia alle donne.
Alleggerisce il cuore vedere che sono i consigli di sempre: distrarsi, fare viaggi, conoscere altre persone, sfuggire alla tentazione di idealizzare chi ci ha lasciato. È un testo ricco di miti che raccontano diverse storie d’amore, un decalogo interessante. Si parla di dolori d’amore che non hanno a che vedere con la morte dell’altra metà, comunque molto dure da superare. È una lettura che alleggerisce senza essere superficiale.
I classici hanno affrontato le questioni chiave dell’esistenza: ci dai una chiave per leggere il nostro presente?
Il mondo antico ci offre riflessioni molto importanti per guardare alla nostra quotidianità. Penso che uno spunto interessante, che cerco anche di raccontare ai ragazzi, arrivi dall’Iliade, un poema basato sulla guerra che non perde mai la dimensione umana. Coltivare la dimensione umana vuol dire riuscire a vedere sempre nell’altro una persona. È una delle chiavi per ragionare sulla pace. L’episodio a cui faccio riferimento dell’Iliade è quello in cui Achille e Priamo si trovano uno di fronte all’altro. La storia di come siano arrivati a quell’incontro la conosciamo, da un lato abbiamo Achille, un giovane eroe, ferito, che ha appena fatto una strage di uomini per vendicare l’onore, per vendicare Patroclo l’amico morto. E nella strage di uomini ha ucciso Ettore, l’assassino di Patroclo, il figlio di Priamo. Dall’altra abbiamo Priamo, un padre ferito a sua volta dalla morte del figlio. Due generazioni, un figlio e un anziano.
Gli antichi dicevano che il dolore più grande è quando le generazioni degli anziani vedono morire i propri figli. E in questo abisso di dolore che si apre tra i due uomini, ecco una luce di umanità: Achille concede a Priamo una tregua nella lunga guerra di Troia che i due eserciti stanno combattendo, uno squarcio di umanità perché Priamo possa rendere gli onori funebri al cadavere di Ettore.
Siamo davanti a dei versi immensi, perché all’interno della logica dell’Iliade, c’è un momento dedicato allo sguardo verso l’altro. Achille, pur essendo nel colmo della sua sete di vendetta, non dimentica che ha davanti un padre, un uomo, un essere umano. E questa è una chiave di lettura importante per i nostri giorni. Purtroppo, le nostre pagine di giornale sono piene di notizie dove sembra che la pietas sia sparita. Non dimentichiamoci che una forma di felicità, come diceva anche Erodoto, è quella di poter vedere le generazioni che si susseguono in modo naturale.
C’è quella storia bellissima nelle Storie di Erodoto di un tale che si chiamava Tello l’ateniese. Erodoto racconta che un giorno il greco Solone si reca in visita da Creso, il re più ricco per antonomasia, che gli chiede se ha mai incontrato un uomo più felice di lui. Solone risponde di averne conosciuto uno, Tello l’ateniese. E gli racconta anche il perché: Tello è un uomo semplice però ha avuto una forma di felicità. Lui la chiama olbios, ricopre tutto l’arco di una vita. Tello è un uomo che ha avuto dei figli, ha amato, è stato amato ed ha avuto la fortuna di essere stato seppellito dai suoi figli.
Queste sono le due lezioni che possiamo tenere presenti: finché si leggono questi testi in cui ogni pagina parla di un essere umano, finché teniamo presente l’umano che c’è in ognuno, costruiamo una pagina di pace.
Puoi darci qualche anticipazione sulle prossime uscite in programma?
Posso anticipare che uscirà un nuovo titolo per Natale, il resto sarà una sorpresa in cui verrà rispettata l’idea dell’editore di tre titoli l’anno per creare una biblioteca di riferimento per curiosi e innamorati dei classici.
Prima di chiudere: quale autore o opera consiglieresti per chi vuole avvicinarsi al mondo dei classici, greci e latini, o per chi desidera riannodare un filo cominciato per tanti alle superiori? Che cosa possono dire i classici a un ragazzo che guardasse con incertezza il futuro?
Oltre questi quattro di cui abbiamo parlato, per par condicio ne consiglierei uno greco e uno latino. Per quanto riguarda il latino, consiglio Seneca, mentre per quanto riguarda il greco sceglierei Sofocle. E consiglio le stesse cose anche ai ragazzi. Con loro le leggo il più possibile in classe. Quello che dico loro è che certe pagine di autori greci e latini aiutano ad avere uno sguardo critico. A vedere le cose da diverse angolazioni. Vale per qualunque testo, in particolare per una tragedia greca come Antigone la mia passione di sempre e palestra di punti vista, una chiave importante per il futuro. Quando si è giovani – e non solo a dire il vero – è giusto credere di poter cambiare le cose e avere quella dimensione dei sogni, del desiderio e della critica. E i Classici irrobustiscono questo sguardo a una generazione con delle sfide tecnologiche davanti alle quali non possiamo permettere che siano spettatori passivi. E quello che i giovani hanno di attivo è la loro testa, il loro cuore, il loro modo di essere. La letteratura può aiutare a decifrare le dinamiche del mondo sempre più complesso e connesso che li attende e regalare loro strumenti e fiducia.
Gli strumenti e la fiducia…
Strumenti e fiducia, il saper fare delle domande, il sapere che esistono più punti di vista, il sapere che ogni cosa contiene anche il suo contrario, il ricordarsi che si deve ragionare sulle cose. Anche questo è essere filosofi nella propria vita. Sapere che sulle cose si deve ragionare, trovare anche uno spazio per farsi delle domande, perché nel momento in cui si fanno delle domande a sé stessi, le domande poi viene naturale farle agli altri. Al momento saranno gli amici, un giorno saranno i figli e un’intelligenza artificiale generativa.
Questo l’elemento più importante di certe pagine ben scritte, ben pensate. Perché le pagine ben scritte e ben pensate aiutano a pensare bene.