È appena uscito Il mito greco e la manutenzione dell’anima (Giunti, Milano 2021, pp. 432, euro 20), del poeta Giuseppe Conte (Porto San Maurizio, 1945). Abbiamo chiesto una personalissima lettura dell’opera a una classicista di vaglia come Cristina Dell’Acqua (autrice del bestseller Una spa per l’anima. Come prendersi cura della vita con i classici greci e latini, Mondadori, Milano 2021, pp. 114, euro 11). Per inoltrarsi invece nel corpus poetico di Conte, c’è l’Oscar che raccoglie le sue Poesie dal 1983 al 2015 (Mondadori, Milano 2015, pp. XXIX-374, euro 20,94).

Capita a tutti, almeno una volta nell’arco di una vita, di dimenticarsi di avere un’anima. È umano, non c’è nulla di male. Molti di noi perdono di vista l’importanza di restare connessi con la profondità di sé stessi, sono i ritmi e le leggi della società in cui viviamo a impedirci di tenere una adeguata manutenzione di ciò che non è materiale.

Risvegliare l’anima. 

Avere sul nostro comodino Il mito greco e la manutenzione dell’anima, il recente libro di Giuseppe Yusuf Conte e leggerne qualche pagina prima di dormire è un balsamo per l’anima, un modo per risvegliarci e risvegliarla, un’abitudine che può trasformarsi in stile di vita. L’abitudine a manu-tenere (bello il gioco di parole che evoca questa parola che allude al tenere per mano) ciò che abbiamo di più prezioso, la nostra anima appunto.  Bisogna che ora, cara lettrice e caro lettore, ci accordiamo su cosa intendiamo dire quando pronunciamo il termine anima. Anima, in italiano, deriva dalla medesima parola latina, che a sua volta deriva dal termine greco ànemos, che significa soffio, vento e in senso traslato passione sconvolgente, agitazione». Così Giuseppe Conte descrive la fonte di energia che ci portiamo dentro: non sappiamo esattamente dove collocarla, ma con il tempo vediamo gli effetti se non ne teniamo la manutenzione.

Il crollo del ponte.

Proprio come sarebbe stato necessario fare con il Ponte Morandi, la cui essenza prometeica aveva accompagnato la fantasia di Conte quando da bambino lo attraversava con il padre e ha ferito il suo cuore ligure (insieme al nostro) quando crollò all’improvviso nell’agosto del 2018. Un ponte la cui caduta ha provocato morti e dolore e ha troncato la comunicazione tra le due anime di Genova, quella di ponente con quella di levante. E l’autore, proprio come avrebbe fatto Seneca, usa un’immagine potente e nell’immaginario comune per scolpire nella nostra memoria cosa può succedere dentro di noi quando per nostra incuria tronchiamo la comunicazione tra il nostro corpo e la nostra anima. All’improvviso crolliamo senza l’attenzione e l’investimento di tempo che ci faccia rendere la nostra vita più piena, più consapevole dei nostri limiti, delle nostre aspirazioni, dei nostri desideri.

Lo zaino di Bly.

Conte ci ricorda a tal proposito una bellissima immagine contenuta in un libro di Robert Bly. Ciascun essere umano porta sulle spalle uno zaino pesante, racconta Bly, un peso che non siamo in grado di vedere e che non abbiamo in dotazione dalla nascita. Quando siamo bambini abbiamo il dono della spensieratezza ma gli anni che passano e la vita riempiono il nostro zaino del peso delle aspettative che gli altri hanno nei nostri confronti: la mamma, il papà, la maestra, il datore di lavoro in una parola la vita riempie questo zaino sottraendo sempre più spazio al gioco, alla spontaneità, alle passioni, all’anticonformismo, alla fame di Dio. Alla meraviglia. Una buona manutenzione dell’anima, che, come ci tiene a sottolineare l’autore, non è terapia ma prevenzione dei rischi, parte dall’inventario dello zaino, ci aiuta a disporre in fila tutto il suo contenuto. E a guardare il contenuto negli occhi e a raccontarlo, a se stessi prima che agli altri, a osservare quelli che Dante nel Paradiso (nel canto XXXIII) chiama i movimenti umani che vivono dentro di noi. L’amore, il desiderio di equilibrio, la paura della morte, la rabbia, i nostri mostri, la necessità del viaggio e el ritorno. Aspetti della nostra anima. E la nostra anima è connessa con il mito.

Il mito in noi.


L’autore ci ricorda nelle pagine del suo libro, come il mito sia la parte di noi che rimane in ombra e quando lo chiamiamo alla luce diventa una forma di conoscenza di noi stessi. Il mito è conficcato dentro di noi come «un insetto preistorico incastonato nell’ambra» che resiste sempre al fondo di noi stessi come un bisogno atavico e incancellabile. Il nostro istinto di viaggiare è un residuato del mito di Ulisse, un mito che mostra la nostra necessità di sperimentare e sperimentarci per arrivare a conoscerci. Un concerto rock è quel bisogno di dimenticarci e di uscire da noi stessi che porta il nome di Dioniso, come l’affermarsi del web e dei social risponde a un bisogno dell’uomo che ha radici mitiche nel dio Ermes, il messaggero degli dèi. E così che le pagine ci trasportano in una galleria di figure del mito che vivono ancora in ben ventiquattro movimenti umani individuati dall’autore. Miti che raccontano chi siamo, quale divinità ci rappresenta tra le tante che popolano la nostra anima e che a volte lottano tra di loro per emergere in noi. Un esempio? Il contrasto che ci abita per definizione, quello tra Afrodite e Atena. La dea dell’amore e la dea della saggezza strategica. Afrodite, la dea dell’amore che salva, che fa rinascere e che dà gioia ma ci fa anche soffrire. E Atena nata dalla testa di Zeus, la dea saggia e della saggezza, la dea che non ci permette di deragliare. Citando l’autore «il politeismo greco fa bene all’anima, dà la misura delle nostre sfaccettature con cui occorre convivere. La dilata.

Ma in noi c’è anche l’intelletto che è uno e che ci  spinge a mettere ordine in quel mare magnum – aggiunge Conte con raffinata profondità – e a scegliere liberamente cosa vogliamo diventare: potremmo chiamarlo il “monoteismo della ragione e della volontà”». Una descrizione della dignità del nostro pensiero e della nostra libertà come se ne leggono raramente e che trova la sua radice nella libertà di scelta. Quando si legge il libro di Giuseppe Conte si trova anche una ampia riflessione sul rapporto tra mito e natura, una natura squassata da una crisi ecologica che sta mettendo in pericolo la pianeta stesso, attraversato da pandemie che stanno modificando il corso delle nostre esistenze. Una crisi che ci sta imprigionando con le catene di diseguaglianze economiche e sociali mai viste prima. Ancora una volta il mito è lì a colmare un vuoto. Il mito che non è contro la scienza, la medicina o la storia. Il mito è prima e torna a mostrare la sua essenza con evidenza, cioè un modo di conoscere che esprime il nostro bisogno di un nuovo Umanesimo, di una nuova bellezza e di una rinnovata capacità di meravigliarsi. Chi lo sa fare più? A che questo punto non ci resta che lasciarci guidare dalla saggezza delle pagine di questo libro e domandarci, a qualunque età: noi, quale mito stiamo vivendo? Provare a capirlo è un insostituibile esercizio di manutenzione.Dell’anima propria e di quella di chi ci circonda. E lo stupore che ne deriva è fonte di vita.