Lettera di Natale da Edizioni Ares

Lettera di Natale

Cari amici,

con questa lettera di Natale volevo farvi i miei più sentiti auguri con due testi che mi hanno felicemente sorpreso nei giorni scorsi. Anche se non propriamente natalizi, mi hanno toccato profondamente per la loro umanità e perché entrambi legati all’attività editoriale.

Il primo è di Elio Fiore (1935-2002), autore caro a Cesare, che diventò una sorta di “poeta di redazione” di Studi cattolici pubblicando per diversi anni sul numero di dicembre una sua poesia inedita.
Il testo che vi propongo apre la raccolta Il cappotto di Montale, pubblicata da Scheiwiller nel 1996 e poi confluita nell’Opera poetica di Fiore (Ares 2016). Il titolo del libro ha un’origine curiosa: il cappotto cui si fa riferimento, un Aquascutum di Londra con fodera scozzese, fu regalato a Elio Fiore dalla governante di Montale.
È una poesia dedicata a un giovane poeta, ma è in fondo un invito a riscoprire l’importanza dell’umiltà e della capacità di ascolto.

“Ascolta, giovane poeta, anch’io lascio
poco da ardere, ma ho visto l’azzurra luce
di Leopardi. Matto per questo mi hanno preso,
ma visionario significa essere fisso e attento
alla chiamata del mistero dell’Universo,
alla parola che tempera l’alto disegno
svelato del Creato. Ed io sono qui, per questo,
povero e solo, ma nel mio cuore il Verbo dell’Universo,
il canto, non calcolato come di certi nuovi credenti
del mio tempo. Ungaretti, Montale, Sbarbaro,
Bertolucci, Sibilla e Luzi, li ho cercati e mi hanno
riconosciuto. Vivo e attento ad ogni loro verso,
infiammato e fedele alle loro vite, riconosciuto
nel profondo del mio essere, scavo alla radice
della poesia, mente da mente. Che dirti,
poeta che muovi i primi passi? Vivi intensamente,
stai lontano dai letterati infidi, ama i versi
dei poeti che hanno pagato con il sangue
la salita suprema, dopo la selva oscura e il principio
dell’anima smarrita. Sii fedele alla musica segreta,
alla chiamata del Creato, ai segni invisibili,
e drizza l’occhio alla visione improvvisa,
alla chiamata. Nella notte dell’anima, sentirai
l’umiltà d’Iddio, la parola semplice, ispirata.
Altro non posso dirti, io che sono tra i vivi
e prego i morti, solo, ma resuscitato.”

[Elio Fiore ]

Il secondo testo è invece tratto da Max Perkins. L’editor dei geni (Elliot, 2013) di Andrew Scott Berg, un libro straordinariamente interessante sulla vita e le opere dell’uomo che scoprì e lanciò personaggi come Scott Fitzgerald o Hemingway e che, in fondo, inventò la figura dell’editor moderno. (Se non l’avete visto, vi raccomando il film Genius di Michael Grandage).

Una delle sfide più difficili (e appassionanti) di Perkins fu di preparare la pubblicazione del secondo libro di Thomas Wolfe, Il fiume e il tempo, un manoscritto “fiume” di tremila pagine, alto 60 cm. Perkins era assolutamente deciso a pubblicarlo, ma confidò al suo giovane e irrequieto autore: “Abbiamo di fronte un lavoro molto disperante…”.

I due lavorarono per mesi, gomito a gomito, dalle 20.30 fino a tarda notte per riuscire nell’impresa. Fu un travaglio durissimo, ma alla fine ci riuscirono e il libro fu un grande successo. Nacque una grande amicizia, oltre a un grande rapporto professionale. Poi, poco tempo dopo, l’incanto si spezzò, perché qualche giornalista aveva insinuato che Wolfe non sarebbe esistito come autore senza il suo editor. Wolfe cedette ad altre lusinghe e lasciò la casa editrice di Perkins. Fu un addio triste, che lasciò entrambi feriti. Poi Wolfe, che aveva solo 38 anni, si ammalò d’improvviso di “tubercolosi cerebrale”. La situazione precipitò, ma prima di morire Wolfe chiese (contro il parere dei medici) carta e penna per scrivere al suo vecchio amico un ultimo messaggio. È la lettera che vi riporto e che mi ha davvero toccato, perché in un certo modo rappresenta quello che è il mio “sogno” di casa editrice, un luogo dove si possa “presidiare la bellezza”, dare le ali a nuove idee, ma anche stringere bellissime amicizie. Ed è per questo che un testo così può essere un intenso augurio di Natale:

“Caro Max, sto facendo questo di nascosto contrariamente agli ordini; ma “ho una sensazione”, e volevo scriverle queste parole. Ho fatto un lungo viaggio e sono stato in un paese strano, e ho visto l’uomo nero da molto vicino; e non credo di aver avuto troppa paura di lui, ma la mortalità mi sta ancora tanto attaccata – volevo disperatamente vivere e ancora lo voglio, e ho pensato a tutti voi 1000 volte, e volevo rivedermi con tutti, e c’era l’impossibile angoscia e rimorso di tutto il lavoro che non avevo ancora fatto, di tutto il lavoro che dovevo fare – e adesso so che sono solo un granello di polvere, e mi sento come se una grande finestra fosse stata aperta sulla vita. Questo non lo sapevo prima. E se ne vengo fuori, spero in Dio che sarò un uomo migliore, e in un certo strano modo che non posso spiegare so che sarò un uomo più profondo e saggio; ma se mi rimetterò in piedi, tornerò. Qualsiasi cosa succeda – avevo questa “intuizione” e volevo scriverle e dirle che, indipendentemente da quello che succede o che è successo – io penserò sempre a lei e sentirò per lei quello che sentivo il 4 luglio di tre anni fa quando è venuto a prendermi alla nave, e siamo saliti sulla cima di quell’alto edificio e sotto c’era tutta la stranezza e la gloria e la potenza della vita e della città. Sempre suo Tom”.

 

Alessandro Rivali
Direttore editoriale Edizioni Ares