«Allora siamo intesi» dice il vecchio, che si chiama Antonio, a uno dei tre adolescenti che gli stanno vicino. «E mi raccomando: acqua in bocca»

Il ragazzo segnala di avere capito. Di nome fa Giovanni o Giuseppe – ossignore se è difficile distinguere questi giovani, hanno tutti il taglio di capelli identico, vestono magliette nere su calzoni militari – poi sbotta: «Tranqui, mica siamo scemi».

Si stringono la mano con aria solenne per suggellare il patto. Antonio fa del suo meglio, data l’artrosi che gli ha storto le dita. E comunque, a 85 anni compiuti deve andarci piano: mani e braccia reclamano cautela.

«Ci vediamo domani alle 7».

«7?» domanda Antonio per sicurezza.

È un po’ presto, ma lui sarà sicuramente pronto. Alle 5 apre gli occhi, e al più tardi alle 6 comincia a farsi la barba. L’orario non è un problema. C’è solo, ecco, che alla Rsa non servono la colazione prima delle 7,20. Antonio preferisce non dirlo, non vuole creare difficoltà. Ma Giovanni, o Giuseppe, dovrebbe tenerne conto.

«Facciamo le 7,30», propone Davide. È sveglio, lui, forse perché è suo nipote. Ha capito che il nonno aveva bisogno di qualche minuto in più.

«Va bene» dice Alfredo, il terzo ragazzo. Stasera è più silenzioso del solito. Il che vuol dire che non apre bocca: guarda nel vuoto, preso da chissà quali pensieri.

«Tutti d’accordo?» domanda Antonio.

 

Non sa bene come regolarsi con quegli adolescenti in perenne crisi ormonale. Un giorno si presentano allegri, disinvolti e disponibili, pronti a dare una mano al poveretto chiuso in una casa di riposo. La settimana dopo si trasformano in istrici che ti pungi solo a guardarli. Adesso però sembra che si sentano cavalieri senza paura, più del famoso Lancillotto. Davide ha spiegato bene la situazione. Sanno che Antonio è finito nella Rsa perché Nando, il figlio maggiore aveva bisogno del suo villino, e in pratica lo ha messo alla porta. Per favore, certo, ma al più presto. Del resto, la casa è troppo grande per una persona sola, ora che i figli sono tutti lontani e la mamma non c’è più, come si dice con pudore per non usare la parola morte.

E così lo zio Nando ha chiuso il nonno a vegetare nella residenza Bella Vista affacciato sui magazzini di un ipermercato Sempreverde a destra, e su una montagna di vecchi pneumatici alla sinistra.

«In pratica lo ha condannato a una specie di galera», ha spiegato Davide agli amici. «E pensare che fino allo scorso anno andava a passeggiare in compagnia, e poi a pesca nel laghetto di Giussano e una volta la settimana giocava a bingo in viale Marche, a Milano, e vinceva pure».

 

Qualche sacrificio era pronto ad accettarlo per aiutare Nando e la sua famiglia. Il guaio è (oltre all’odore di minestrone e alla vista squallida) che al Bella Vista ci sono tanti vecchi brontoloni che parlano perlopiù dei loro problemi di digestione.

Potesse avere un pomeriggio di libertà la settimana sarebbe già un regalo, ma chi si prende la responsabilità di lasciarlo andare in città, o magari al cinema? E se poi si perde o ha un malore? La direzione della Rsa ha cassato l’idea prima ancora che la figlia di Antonio, intenerita, si offrisse di accompagnarlo in libera uscita.

A questo punto al povero vecchio – che non vuole essere chiamato povero, né vecchio – rimane un ultimo sogno: festeggiare il Natale sulla neve. Come quando era ragazzo, e dal 23 al 27 dicembre andava a sciare con i genitori e la sorella a Serrada di Folgaria, in una pensioncina a gestione familiare dove si pagava poco e si mangiava benissimo. Peccato che i proprietari abbiano chiuso una quarantina d’anni fa. Ma dopo la morte della nonna, che faceva da cuoca, trovare uno chef all’altezza era diventata una missione impossibile, e i parenti avevano rinunciato.

 

Era da un po’ che Antonio non pensava a Serrada e agli gnocchi della pensione (gli gnocchi sono il suo primo preferito), ma all’improvviso la voglia di un Natale Bianco si è rifatta viva, tanto che ne ha parlato con Davide quando il ragazzo è andato a trovarlo per l’Immacolata.

«Vuoi mettere come sarebbe bello», ha sospirato bevendo il suo bicchiere di acqua minerale naturale temperatura ambiente e facendo subito presente con una scrollatina di spalle che quel Natale avrebbe potuto essere l’ultimo per lui, anche se sperava di averne diversi altri ancora. Due suoi cugini hanno superato i 100, e macinano mesi che è una bellezza.  Lui non sarà da meno. Ma giusto per sicurezza preferisce esaudire i desideri che gli restano. Anzi, quell’unico desiderio che gli pesa sullo stomaco.

Comunque sia, il buon Davide che gli somiglia anche troppo, è partito per la tangente. «Il Natale non te lo garantisco», gli ha detto. «Facciamo la Vigilia, se ti va bene. E nel pomeriggio del 25 ti vengo a trovare con un pandoro».

La settimana dopo si è presentato con quei due amici e insieme hanno confezionato un piano quasi perfetto. Così, sui due piedi, parlando a fior di labbra per paura che qualche vecchietto li scoprisse e pretendesse di seguirli rischiando di mandare tutto a monte.

 

È rimasto solo un problema. Reperire un’auto e qualcuno che la guidi, senza parlare troppo della fuga di Antonio dalla Rsa. Che poi se la famiglia lo venisse a sapere, sai quante storie al pensiero del nonno sulla neve, magari senza le sue medicine e senza un adulto che l’assista.  Perché di testa loro i ragazzi dimenticano la metà delle cose importanti e di quelle che contano poco se ne infischiano addirittura.

In realtà, Davide sarebbe in grado di pilotare una vettura, ma farà l’esame per la patente tra 6 mesi – e perciò non conviene che si metta al volante e incappi in un guaio da far tremare le vene ai polsi.

«Potrei guidare io», ha proposto Antonio dopo una notte insonne. Aveva rinunciato alla patente il giorno dell’ottantesimo compleanno, non sa più perché. Sarebbe capace di arrivare fino al Polo Nord senza problemi.

«Potresti farlo ma non lo farai», lo ha corretto Davide trascinandosi dietro gi altri ragazzi, preoccupati che una gita con lui finisse malissimo.

Poi però, all’improvviso, il problema di auto e guidatore si è risolto.

Sul come, i ragazzi non si sono sbilanciati.

«Sorpresa», ha detto sorridendo Giovanni o Giuseppe.

«Lo scoprirai», ha aggiunto il sempre conciso Alfredo.

«Fidati nonno, sarai contento», ha concluso Davide facendogli l’occhiolino.

E ancora una volta, la quinta o la decima, Antonio si era stupito della facilità con la quale quei giovani scioglievano tutti i nodi. Li avesse avuti in ufficio lui, quando gestiva assicurazioni per la società
Allianz, sarebbe rimasto estasiato da collaboratori tanto intraprendenti.

Comunque, era felice anche così, all’idea di lasciare la residenza Bella Vista per un intero giorno e liberarsi nel frattempo di quell’insistente odore di minestrone e trascorrere il suddetto giorno sulla neve. Non più sugli sci, naturalmente, ma piuttosto su uno slittino. Che poi, a essere sinceri, gli basterebbe guardare la neve da una finestra infine godere per almeno 24 ore della compagnia di quei “ragazzotti” scalmanati, ma tanto allegri da rendere felice chiunque fosse nelle vicinanze. Non avrebbe retto più a lungo le emozioni e la paura. Ma volete mettere i bei ricordi che gli sarebbero rimasti?

 

E allora coraggio. Davide ha portato via già la sera prima una borsina con medicine e spazzolino da denti. Insomma, tutto è pronto per il 24 mattino. «A Dio piacendo ce la caveremo», ha detto Antonio facendo sorridere Davide con quella frase antiquata. Infatti: il vecchio ha bevuto il caffè latte e si è riempito le tasche di merendine per i ragazzi. A questo punto resta solo da superare l’uscita dal Bella Vista senza essere bloccato dal portiere o da uno degli inservienti.

Antonio, tutto rinfrancato, agita davanti alla faccia dell’assonnato portiere un pacchetto stropicciato di Marlboro rosse che gli serve da alibi. Ha smesso di fumare una trentina di anni fa, ma il portiere ha preso servizio da pochi giorni e prende per buona la scusa di una fumatina mattiniera. Così Antonio si dirige verso il parcheggio dove l’attende Davide che lo indirizza a un camioncino grigio, piazzato in prima fila, ammaccato sul paraurti sinistro.

«Sali nonno, tranqui», dice il ragazzo prelevando il sacchetto delle merendine che divide con gli amici.

Antonio siede, allaccia la cintura e sbircia la persona al volante. È una donna. Giaccone scuro, fazzoletto grigio in testa, mani forti con unghie cortissime al naturale.

Sembra una suora, pensa vagamente stupito mentre Davide fa le presentazioni. «Questo è mio nonno Antonio» annuncia. E prosegue: «Questa è suor Rosaria che ha gentilmente accettato di accompagnarci».

«Suora?»

«Ha qualcosa contro la categoria?»

Antonio ride per mascherare l’imbarazzo. Non ha frequentazione con preti e suore. Chiedo scusa se non l’ho detto prima.

«La categoria mi sta bene finché sta dalla mia parte», borbotta.

«Non metterla giù dura, nonno. Suor Rosaria ha affrontato un bel po’ di problemi per aiutarci.»

«Problemi?» Antonio è in modalità allarme moderato.

«Ho dovuto raccontare un po’ di storie per liberarmi», precisa la suora.

Alfredo ride. «Guarda che il buon Dio non gradisce le bugie.»

«Eccetto quelle a fin di bene» lo corregge la suora rifiutando metà della merendina di Davide. «Si fa di tutto per accontentare un povero vecchio.»

«Che sarei io» mormora Antonio che apprezza la gentilezza, ma si sente ugualmente umiliato.

«Di te non ho nemmeno parlato. Il motivo ufficiale del viaggio è portare vestiti e cibo a un orfanatrofio che ha accolto bambini ucraini e palestinesi».

«Quindi è una vacanza giustificata?», domanda Alfredo.

«Più che una vacanza è una missione di solidarietà. Sarà comunque di una trasferta lampo. Torneremo a casa stanotte».

«Alla Rsa ti aspetteranno con ansia», osserva Davide.

«Mi auguro che nella confusione della Vigilia nessuno noti la mia assenza».

«Come sarebbe…», protesta Giovanni-Giuseppe. «Non hai avvisato il direttore?»

«Se gliene avessi parlato, non sarei qui a parlarti».

«Mi meraviglio di te, nonno. Certe cose le fanno gli adolescenti, non i…».

«Risparmia alle mie orecchie l’obbrobrio della parola», incalza Antonio. «E comunque noi vecchi siamo i nuovi adolescenti».

Davide arrossisce. «E magari qualcuno ci accuserà di averti rapito.»

Antonio ride. Suor Rosaria imbocca l’autostrada. Adotta una guida veloce, ma non spericolata per affrontare il traffico in aumento. «Meglio spicciarci. Abbiamo quattro ore di strada davanti, a essere fortunati», mormora.

«Già pentita?», domanda Davide.

«Ti rispondo tra un po’».

 

Antonio non sente il resto. Stressato com’è chiude gli occhi e prima di rendersene conto si addormenta.

E sogna. Si rivede bambino a preparare il presepe con la mamma. Hanno molte statuine in una scatola foderata di carta rossa. Gesù bambino, la Madonna, san Giuseppe e tanti pastori e soldati romani. Ogni anno devono cercare i re Magi che amano nascondersi tra i pastori e diventa sempre più difficile trovarli.

«Metti bene il muschio, Antonio. È importante».

Il bambino Antonio si concentra su quel lavoro essenziale per il loro presepe. Il vecchio Antonio riapre gli occhi e a tutta prima non si raccapezza.

«Che succede?»

Sono fermi sul lato destro dell’autostrada e suor Rosaria ha lasciato il volante. Sta montando con una certa abilità le catene.

«Ha bisogno d’aiuto?», domanda Antonio.

«Neanche un po’. Mio padre aveva un’autofficina. Se non avessi preso i voti sarei lì a dargli una mano.»

«Dove siamo?»

«Tra mezz’ora saremo a Rovereto».

Bene, pensa Antonio. Intanto però vede che non va così tanto bene. Nevica di brutto. «Non sarà facile andare avanti di questo passo», dice senza rivolgersi a nessuno in particolare.

«Tranqui nonno», scherza Davide. «Abbiamo la neve, come volevi tu».

«Infatti sono contento», dice Antonio. Anche se la bugia gli esce parecchio male.

Suor Rosaria scuote la testa: «I miei vivono da queste parti, ho una certa pratica di neve».

Antonio vuole crederle, i ragazzi sono meno sicuri. Le ruote slittano, i tergicristalli arrancano, il traffico va a rilento. Il camioncino procede in un silenzio carico di tensione.

«Saremo a Serrada per mezzogiorno», annuncia la suora.

«Serrada? È lì che andiamo?»

«L’orfanotrofio è sulla strada tra Serrada e Folgaria. I bambini ci aspettano e le mie consorelle hanno preparato un piccolo rinfresco con le nostre specialità».

«Che sarebbero?» Antonio dimentica la paura. Sa che nei conventi si mangia bene. A lui hanno detto “da Dio” ma non vuole ferire la sensibilità della suora.

«Minestra di patate con tagliatelle e arrosto di carne affumicata».

Non è quello che Antonio si aspettava, ma si guarda bene dallo smorzare l’entusiasmo dei ragazzi che non badano tanto alla qualità, quantità piuttosto alla quantità del cibo. E sperano basti a placare il loro appetito non smorzato dalle merendine del nonno.

«Tutto bene?»

«Certo. Il navigatore ci dà l’arrivo tra due ore appena».

I ragazzi ridacchiano: «Solo due ore? Sai che regalone».

La suora non commenta. «Fatevi una pennichella, il tempo vola».

Antonio obbedisce. Sta al caldo, comincia ad avere un po’ di appetito, ma nulla di troppo pressante. È quasi contento. Almeno fino a quando l’auto davanti al camioncino slitta paurosamente e suor Rosaria deve frenare di brutto andando fuori strada.

«Non è grave», dice dopo avere studiato per bene la situazione. «Siamo bloccati, ma l’officina di mio padre è a pochi chilometri. Ci penseranno i miei fratelli ad aiutarci».

Infatti. I soccorsi arrivano in un baleno. I ragazzi e Antonio sono invitati a scendere mentre il camioncino viene rimesso a forza sulla carreggiata.

Seguono alcune solide strette di mano accompagnati da cordiali arrivederci, e prima che se ne accorga sono a destinazione.

«Pare un sogno», mormora Antonio avviandosi verso la grande casa che accoglie gli orfani delle due guerre d’Europa. La direttrice, Vittorina Tiengo, è già alla porta ad accoglierli.

Bianchi e biondissimi, bruni e con i ricci, i bambini fanno una grande festa alla suora che, a quanto pare, conoscono bene, e lei li coccola distribuendo carezze e cioccolatini che estrae da un sacco di juta
in stile Babbo Natale. Non è il primo viaggio della religiosa all’orfanotrofio. E forse, ragiona il nonno, non è neppure il primo viaggio per i ragazzi che mostrano di avere grande confidenza con i piccoli e a un certo punto, tirandosi dietro Antonio, escono nel giardino per fare una battaglia a palle di neve.

«Breve però», raccomanda suo Rosaria. «Mica vorrete raffreddarvi e magari prendervi la febbre proprio a Natale».

Le minestra di patate con tagliatelle è davvero squisita, ma i viaggiatori apprezzano anche l’arrosto e la frittata ai tre formaggi e una piccola fetta di panettone.

Tra una cosa e l’altra si sono fatte le sei del pomeriggio. Antonio vuole far riposare la suora che si è fatta tutto il viaggio da sola, sotto la neve, e che più tardi vuole tornare.

«A che ora si riparte?» è la domanda che lo interessa di più.

«Non c’è fretta», dice la suora. «Ho promesso alle sorelle di restare per una messa anticipata della Vigilia».

«Una messa?» Antonio rabbrividisce. Avrebbe una certa fretta di tornare al Bella Vista, e comunque sono diversi anni che non va in Chiesa, almeno da quanto è mancata la sua Vilma. Con lei non mancava alla messa delle feste, più per accompagnare la moglie che per una sua esigenza.

«Le pare strano?», domanda la suora che forse sta sorridendo, ma vai a capire se è davvero così.

«Confesso che non me l’aspettavo».

«Forse avrei dovuto avvisarla alla partenza. Ma francamente non ci ho pensato. Le chiedo perdono, però ho promesso ai bambini di fermarmi. Non posso deluderli, lei mi capisce? Don Pietro arriva a breve. Molti di loro non sono cattolici, per loro il Natale è solo una festa dell’amicizia, invece per noi…»

Antonio vorrebbe dirle che odia le sorprese: ma a cosa servirebbe?

«Naturalmente non voglio costringerla ad assistere».

«Non si preoccupi. Mi trovo un angolino tranquillo. Ho l’intero giornale da leggere».

«Non sarò io a proibirglielo».

Infatti.

 

Un paio d’ore più tardi, mentre tutti i presenti si riuniscono nel refettorio della casa, preparata per la messa, e le sorelle fanno una gran festa a don Pietro arrivato come da accordi a dispetto della nevicata, Antonio siede col suo cellulare a leggere le ultime notizie del Corrierone della Vigilia. È tranquillo, rilassato, lucido, nient’affatto stanco. Ha dormito un po’ all’andata, il viaggio di ritorno non lo turba. Tanto più che, a giudicare dai rumori, gli spazzaneve stanno facendo un ottimo lavoro.

D’un tratto sente le voci. Graziose quelle dei bambini, già profonde quelle dei ragazzi. Cantano. Sono bravi, le suore hanno fatto un buon lavoro.

Antonio abbassa il cellulare, si alza in piedi, fa qualche passo e si ferma per ascoltare meglio. Si commuove, gli scappa una lacrima che asciuga in fretta, constatando sollevato che tutt’intorno non c’è nessuno a vederlo. Gli seccherebbe essere sorpreso a piangere, alla sua età. Si riprende un poco, avanza di qualche passo fin dentro il refettorio, ma resta in fondo, accanto alla porta. Un po’ per timidezza, per pudore e poca voglia di farsi notare. È lì fermo impalato, si rivede giovane con la Vilma, quanto era bello starle accanto. E ancora più bello, qualche anno dopo, andare alla messa di Natale con i tre figli piccoli, due maschi e una femmina. Ora sono cresciuti, più o meno bene, e lui non sente più il bisogno di andare a messa. Del resto, non sarebbe la stessa cosa andarci da solo. Pensa queste cose quando sente un braccio sulle spalle. È una sensazione bella, gli dà conforto.

«Ciao nonno».

Subito dietro c’è suor Rosaria che sorride: «Venga, le sorelle hanno preparato un ultimo spuntino prima di lasciarci andare».

Alla faccia dello spuntino, pensa Antonio, ammirando i panini imbottiti e i biscotti con la glassa.

«Però continua a nevicare», interviene la direttrice. «Vi converrebbe fermarvi da noi per la notte, e partire col chiaro».

«Ecco», Antonio si schiarisce la gola «forse sarebbe meglio che io tornassi».

«Come mai?»

«A dire il vero sono un po’ fuggito dal Bella Vista».

«Non si fugge un po’. O tutto, o niente».

Antonio arrossisce. «Ecco…»

«Ho pensato io a sistemate le cose», dice suor Rosaria. «Possiamo partire domattina, ma davvero presto perché i ragazzi devono tornare alle famiglie».

«Diavolo di una suora», borbotta Antonio.

«Guarda che ti abbiamo sentito tutti», sussurra Davide.

«Meglio andare a dormire prima di litigare», ride la suora, passando un bicchierino con un dito di grappa al vecchio e offrendo camomilla a ragazzi e bambini.

«Buona notte», si congeda Antonio.

Si accomodano alla bell’e meglio nella foresteria.  Antonio chiude gli occhi. Con mezz’occhio aperto vede Davide che gli stende una coperta sulle gambe, e per la prima volta da quando la sua Vilma se n’è andata è un po’ felice.

«Buona notte Davide», sussurra. «E buon Natale. Anche se forse è un po’ presto per dirlo».

«Non fare lo sparagnino nonno: sereno Natale a tutti!»

L’ultima cosa che vede è una stella. Non è una stella cometa, ma una stellina piccola che però si vede bene a dispetto della neve.

Ma forse sta già sognando.