Lo scorso 24 novembre, colpita da una malattia improvvisa, Eva Ruth Palmieri Billig è tornata alla casa del Padre. Non potrei cominciare questo editoriale se non così, con un caldo abbraccio ai genitori Franco Palmieri e Lisa Billig, cari amici e storici collaboratori della nostra rivista, che partecipa al loro dolore e condivide la gratitudine per quello che Eva Ruth è stata, ha fatto e ci ha lasciato.

«Dio non agisce come un cacciatore», diceva san Josemaría  «in attesa della più piccola negligenza della preda per colpirla. Dio è come un giardiniere che cura i fiori, li irriga, li protegge; li coglie soltanto quando sono più belli e rigogliosi». E quella di Eva Ruth è stata una vita (breve: era nata a New York nel 1967) protesa al dialogo e alla costruzione di ponti tra persone e comunità. Nell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha guidato con passione la Commissione Minoranze, sostenendo iniziative per la leadership femminile. Con visione ha contribuito alla fondazione dell’associazione Dialogue, di cui è stata copresidente, impegnandosi contro ogni forma di discriminazione religiosa. Nel Consiglio dell’Amicizia ebraico-cristiana di Roma è diventata punto di riferimento per chi crede nella forza dell’incontro. Religions for Peace Italia la ricorda come «una grande promotrice del dialogo e della cooperazione interreligiosa» dalla passione contagiosa.

Consegno a Franco e Lisa quest’altro pensiero di san Josemaría: «Dove la mano sente la puntura delle spine, gli occhi scoprono un mazzo di splendide rose, piene di profumo».

Ma abbiamo occhi che sappiano scoprire? Si fa di nuovo, in questi giorni, un gran vociare intorno alla questione del presepe-sì-presepe-no-pre­se­pe-sì-però (esemplare non­­­­­sense quello dell’artista Vic­toria-Maria Geyer allestito nella Grand-Place di Bruxelles: figure senza volto, maschere tragiche di un’umanità disincarnata dove il sacro non può attecchire). Polemiche sacrosante, purché non ci si fermi alla superficie della “tradizione” e si vada all’essenziale; abbiamo – ciascuno di noi ha – occhi per scorgere in quel bambino quello che vi scoprirono per primi i pastori, e poi generazioni di donne e di uomini di ogni cultura e latitudine? O prevale, sul nostro sguardo, l’erosività social dove solo l’effimero giganteggia?

Lorenzo Lotto, Natività

Giusto cinquecento anni fa Lorenzo Lotto dipingeva una piccola Natività, esposta in questi giorni al Museo Diocesano di Milano, che si potrebbe definire come l’istante del Big Bang della nuova creazione. Centro gravitazionale della tavola (ritagliata rispetto alla misura originale, ma la struttura compositiva portava comunqui lì) è Maria. Il bambino, con quel suo scatto a ritrarsi dall’acqua del bagnetto, è davvero “uno di noi”, ma è da lui, il Dio-Bambino, che scaturisce una luce che strappa alla tenebra Maria, la madre di un nuovo genere umano.

Il presepe getta luce su questo genere umano che passando la mano sulla storia, sulla vita di ciascuno di noi, avverte le spine delle proprie miserie personali la cui somma fa le guerre, il disprezzo per la vita, l’indifferenza e l’insofferenza verso gli altri, a cominciare dal prossimo più prossimo – il coniuge, i genitori, i figli – con i loro bisogni, e anche le loro fragilità. Ma, ed è questa la novità cui non possiamo assuefarci, gli dà anche occhi che sanno scoprire le rose.

Buon Natale, buon Anno!