Canto. Salmo. Dei figli di Core.

Al maestro del coro. Sull’aria di Macalàt Leannòt.

Per canto. Maskil. Di Eman l’Ezraita

Signore, mio Dio, mia sola salvezza,

giorno e notte grido davanti a te.

Ti possa toccare la mia preghiera,

accosta l’orecchio al mio grido.

La mia anima è lacerata dai mali,

la mia vita sopra la terra dei morti.

Sono destinato a scendere nella fossa,

sono un uomo senza più forze.

Sono vivo, ma sul letto dei morti,

come i trafitti nel sonno dei sepolcri, 

quelli che tu hai dimenticato,

che hai reciso dalla tua mano.

Mi hai gettato nelle viscere della terra,

in una grande tenebra sotterranea. 

Su di me rovesci la tua ira,

mi anneghi tra i gorghi e le onde.

Mi hai tolto tutti gli amici,

sono un mostro ai loro occhi.

Sono rinchiuso, senza scampo,

ho gli occhi bruciati dal pianto.

Signore, tutto il giorno ti cerco,

a te stendo le mie mani. 

Fai forse miracoli per i morti?

O gli spettri si alzano per lodarti?

Chi narra la tua bontà nella tomba?

La tua fedeltà negli abissi?

Chi conosce le tue meraviglie nel buio?

La tua giustizia nella terra dell’oblio?

Ma io Signore continuo a cercarti,

ti inseguo fin dalle luci dell’alba.

Perché mi respingi sempre?

Perché mi nascondi il tuo volto?

Sono infelice e stremato dall’infanzia:

sono sfinito sotto i tuoi terrori. 

Mi hai arato nella tua ira: 

i tuoi spaventi mi accecano. 

Sono come grandi onde intorno a me,

una muraglia che mi annienta.

Mi hai strappato l’amore e gli amici,

solo le tenebre mi sono compagne1

Marc Chagall,”Psaume”, litografia su carta marrone, 1960

Commento

Quando mi è stato chiesto di tradurre un Salmo compreso tra il numero 80 e 90, ho scelto subito l’88 (87), quel “canto del sepolcro” presentato da Gianfranco Ravasi come «il più cupo del Salterio, la più tenebrosa di tutte le lamentazioni, il più drammatico De profundis, il Cantico dei cantici del pessimismo». E, in effetti, questo testo è un tuffo nella tenebra. Sembra che l’orante faccia solo in tempo a salutare per l’ultima volta il suo Dio prima di essere precipitato in un imbuto senza scampo, nelle profondità degli inferi, dove i trapassati sono larve senza speranza.

È un testo misterioso che mette a fuoco il dolore dell’uomo e non è facilmente incasellabile. Succede lo stesso con le parole martoriate di Giobbe o con quelle nere e lucenti del Qoelet. Personalmente, sono sempre stato attirato dalla poesia che guarda frontalmente il buio. Penso alla lontana inquietudine di Gilgamesh, ai frammenti straziati di Ungaretti, sino al lamento di Pound prigioniero nella gabbia di Pisa. 

Cosa può insegnare questo Salmo lacerante? Intanto, mette in guardia dalle risposte consolatorie di fronte a quanto non riusciamo a decifrare della nostra vita. A tutti prima o poi tocca di sentirsi in un pozzo senza uscita. E, per fortuna, ci sono testimoni che hanno scritto una sorta di “biografia della tenebra” senza perdere la speranza. Penso alle opere di Giovanni della Croce o ai diari – così crudi, così veri – di Madre Teresa di Calcutta.

Testimonianze che non danno l’ultima risposta sul perché del buio, ma aiutano a capire che anche il buio, in qualche modo e molto faticosamente, può essere orientato verso una ricerca di senso.

Come insegnava Viktor Frankl che trovò un orizzonte di senso anche in quel lager in cui aveva perso i genitori, la giovane sposa e il manoscritto del suo primo libro. Uno psicologo nei lager è forse la sua opera più celebre e andrebbe fatta leggere nelle scuole, perché spiega, tra l’altro, che il cuore dell’uomo può restare libero e incontaminato anche nell’inferno di un campo di concentramento. Forse il Salmo 88 (87), questo “canto del buio”, è anche un invito a fermarsi. A ritrovare la pietà nel nostro tempo smemorato. Può essere un memento per accostarci con rispetto ed empatia a chi è immerso nel dramma.

In questo senso, mi ha sempre fatto riflettere il fatto che gli amici di Giobbe prima di parlare con lui restino in silenzio e lacrime «sette giorni e sette notti» perché intuiscono lo strazio del suo cuore. Chi è trafitto dal dolore ha bisogno di affetto, non di parole di circostanza. Chi ha passato ore nelle corsie degli ospedali sa il conforto di una mano che stringe con tenerezza quella di un uomo in agonia. Per entrare nel laboratorio di questo testo ho letto più volte lo splendido commento di Gianfranco Ravasi che ai Salmi ha dedicato un’opera memorabile, una specie di cattedrale dello spirito (Il libro dei Salmi in tre volumi pubblicato nel 1983 per le edizioni Dehoniane). Il portale delle definizioni per avvicinarsi al dramma di queste pagine è una folgore: «Una delle testimonianze più sconvolgenti dello stato dell’anima generosa abbandonata nella notte» (Steimann); «Un lungo grido di desolazione sul modello di quello di Giobbe ma che all’opposto di quello rimane senza risposta» (Dubarle); «Se, come diceva A. Musset, i canti più disperati sono i più belli, al Sal 88 sarebbe da decretare la palma della bellezza» (Jouon)<2

Il Salmo 88 (87) è una sferzata per l’anima della persona insensibile. Per l’uomo che «se ne va sicuro», come scriveva Montale, per le strade del mondo. Vale per questo testo quanto disse lo stesso Ravasi commentando il Qoelet come un invito a non avere paura delle domande per vivere la fede in modo autentico: 

Il terreno umano dell’interrogativo amaro, come quello della sofferenza di Giobbe, in cui sembra più facile parlare di vuoto o di assenza di Dio, può in realtà essere misteriosamente fecondato da Dio. Così la rivelazione passa anche attraverso le oscurità di un uomo come Qoelet in ricerca sconsolata, di un uomo in crisi, pericolosamente vicino alla frontiera del silenzio e della negazione. Il silenzio di Dio e della vita non è necessariamente una maledizione ma è una paradossale occasione di incontro per strade sorprendenti anche se difficili e non comprensibili logicamente. 2

1.Un appunto per la traduzione. I testi principali di riferimento sono stati la Vulgata, le diverse versioni Cei, la traduzione poetica di David Maria Turoldo e l’opera di Ravasi. Il verso «in una grande tenebra sotterranea» è un omaggio alla versione di Guido Ceronetti Torna su

2.Gianfranco Ravasi, Il libro dei Salmi, commento e attualizzazione, vol. II, 51-100, p. 805.Torna su

3.Gianfranco Ravasi, Qohelet, Paoline, Cinisello Balsamo 1988, p. 16.Torna su