È una verità universalmente riconosciuta che la lettera scritta rivesta un fascino senza tempo, parole destinate a rimanere, talvolta ben oltre la vita dei corrispondenti, consegnandola all’eternità. Ma è altrettanto evidente che, nella vita di tutti i giorni, la scrittura epistolare sia percepita come un retaggio del passato, materia di storie ambientate in epoche ormai lontane. Eppure, c’è un mondo nascosto dove le lettere sono ancora l’unico strumento di comunicazione con l’esterno, con la vita, la famiglia, il passato e il futuro, e rivestono il ruolo insostituibile della relazione, della speranza, della libertà. Questo luogo è il carcere.

Preziosa è quindi la sezione “Lettere dal carcere”, la categoria speciale del Festival delle lettere diffusa nelle Case Circondariali di tutta Italia grazie al Ministero della Giustizia. Il Festival, giunto ormai alla sua XIX edizione, nasce per celebrare la scrittura epistolare come forma d’arte e di espressione dell’umano, attraverso un concorso a cui ogni anno vengono indirizzate pile di lettere, frammenti di vita trasformati in frammenti d’arte. Il tema dell’edizione 2025 è “Lettera a una donna”, e pervade anche la scelta di sostenere quest’anno il progetto Women With Gaza, attraverso la vendita delle opere della collezione “Buste dipinte”, realizzate da giovani artisti dell’Accademia di Brera. Per la prima volta il Festival ha accolto un programma variopinto di mostre ed eventi, che hanno animato l’estate della Fabbrica del Vapore di Milano.

Tra questi, il reading Parole oltre le sbarre. Lettere dal carcere, condotto dalla doppiatrice Elisabetta Spinelli, al fianco dell’attrice Eleonora Cicconi della compagnia teatrale Opera Liquida, attiva nella Casa di Reclusione Milano Opera, che hanno prestato la loro voce alle lettere più belle e significative di questa sezione del concorso, vinta da Mario Ruggiu. Dall’annuncio di ricerca di un curioso compagno di cella evaso, un ragnetto rivelatosi un buon ascoltatore, alla lettera dedicata, inaspettatamente, a quel carcere che forse è stato salvezza più che sconfitta, passando per un simpatico racconto della vita in uno strano “condominio” di Opera dove le chiavi sono rigorosamente custodite dai portinai.

La lettura si è alternata alla testimonianza degli ex detenuti della Casa Circondariale di Busto Arsizio, dove dal 2019 è attiva la Valle di Ezechiele, cooperativa sociale sognata dal cappellano don David Maria Riboldi, che ha fatto del reinserimento nel mondo del lavoro la propria vocazione e missione. Accompagnati da don David e dalla presidente Anna Bonanomi, hanno raccontato la decisione di proseguire il loro lavoro per la cooperativa anche dopo la scarcerazione. Negli occhi la meraviglia e la commozione di ritrovare negli altri la fiducia, nella voce l’emozione di presentare e offrire ai partecipanti all’evento le birre distillate con le loro mani dai prodotti del loro frutteto, e che da loro prendono il nome, Antonio e Jonathan.

Ma, soprattutto, raccontano cosa significhi, da prigionieri, ricevere, e non ricevere, una lettera. Lo sforzo di chiedere aiuto a un compagno di cella per scrivere quelle righe che sanno tanto di casa, l’attesa, il vuoto dopo lo smistamento della posta, la speranza che forse quella risposta tanto agognata sia solo andata persa, ma che sì, deve essere stata scritta. Il dubbio che invece non sia mai esistita, la busta marchiata dal carcere mai aperta.

La scrittura diventa, più che platonica “evasione”, introspezione, una lettera a sé stessi e, talvolta, al carcere stesso, espressione di una nuova libertà, consapevole, responsabile e aperta all’altro. E, come scrive una concorrente, di una rinascita.