la rubrica che punta gli occhi sulle nuove voci artistiche, per colpi di fulmine visivi

Sembrano scarabocchi, ma sulle pagine le linee si estendono verticalmente al ritmo sincopato di un elettrocardiogramma, si propagano verso forme spaziali, o bucano il supporto per materializzarsi in un groviglio di fili di ferro cotto. Andrea Mirra (Montepulciano, 1999), artista emergente dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, riprende nelle sue opere quel gesto di scarabocchiare che l’uomo compie in maniera istintiva fin dall’infanzia, custode di un messaggio segreto ignoto alla stessa coscienza.

A. Mirra, “Propagazioni #1”, 2024. ph A. Mirra

L’interesse dell’artista per questo atteggiamento di abbozzare e non risolvere l’immagine dà vita a opere come Propagazioni (2024), in cui la reiterata insistenza del segno crea flussi di linee ininterrotte, in una ricerca del proprio Io. Come nelle dolcissime opere dell’“outsider artist” Judith Scott (1943–2005), dove bozzoli di fili colorati racchiudono al cuore oggetti – tra i più disparati – che non si devono perdere e che diventano il suo ponte con l’esterno.

Quando l’Io esce da sé, la riflessione si proietta nella relazione con l’Altro e la sua corporeità: per cui lo spettatore interagisce precariamente con fili di ferro che rivestono le stanze. E, in un rapporto più intimo, Mirra racconta la tensione generata da due corpi forzatamente uniti in un punto per produrre un’immagine.