Immaginate di trovarvi a New York a Natale. L’albero del Rockefeller Center svetta maestoso, le persone ridono e intonano canti, lo skyline è illuminato a festa, da una strada all’altra potreste imbattervi in bastoncini di zucchero alti tre metri e nell’aria pungente si respira quell’atmosfera particolare che sa di panpepato e aspettative. Esiste un luogo in cui scappare dalla frenesia e rifugiarsi per un momento di tranquillità?

Sembrerebbe di no, ma la risposta ce l’ho io.

Strand Bookstore, where books are loved

Wikicommons

La prima volta che ho sentito parlare della Strand è stato nel primo episodio di Dash & Lily, una miniserie tv Netflix basata sul romanzo Dash & Lily’s book of dares di Rachel Cohn e David Levithan, in cui due adolescenti iniziano a conoscersi tramite un quaderno rosso di sfide lasciato da Lily proprio tra gli scaffali della Strand.

La seconda volta, mentre leggevo New York. Metro per metro di Piero Armenti (Mondadori 2023) e scoprivo che una giovane Patti Smith aveva lavorato lì per alcuni mesi (ma non le era piaciuto).

Ormai mi conoscete: scelta una destinazione, il programma del viaggio inizia dalle sue librerie. E nella città più cinematografica del mondo, potevo saltare la libreria che ha saputo trasformare in un film uno dei sogni più condivisi dalle lettrici, cioè trovare la propria anima gemella mentre si scorre col dito sui dorsi impolverati?

Un “filo” lungo 18 miglia

Come racconta un murales dipinto sulle scale all’interno della libreria, Benjamin Bass aveva solo ventisei anni quando aprì la Pelican Book Shop – poi Strand Bookstore – con seicento dollari. Era un emigrante lituano arrivato negli Stati Uniti a 17 anni, che aveva fatto i lavori più disparati. Ma quando scoprì Book Row, quel tratto leggendario della Quarta Avenue tra Astor Place e Union Square dove si affastellavano ben quarantotto librerie in circa 650 metri, capì di aver trovato la sua vocazione.

Il nome stesso della libreria, cambiato nel 1937, è un omaggio a Londra, alla celebre Strand Street dove si riunivano scrittori del calibro di Dickens, George Eliot e John Stuart Mill, dove fiorivano editori coraggiosi e idee rivoluzionarie. Bass voleva creare quello stesso spirito di comunità letteraria nel cuore di New York, un luogo dove i libri sarebbero stati amati e gli amanti dei libri potessero riunirsi, e ci riuscì. Fin dal ’38 la libreria divenne un posto conosciuto per i suoi tesori nascosti: una libreria dell’usato in cui trovare gemme preziose – come una rara copia dell’in-folio di Shakespeare, venduta nel 2006 a un collezionista per centomila dollari – così frequentata da dover cercare uno spazio più grande in cui ospitare un’offerta di “18 miglia di libri”, come recita lo slogan che campeggia sulle borse di tela, diventate un’icona per le vie di New York dal 1970. L’attuale location, inaugurata nel 1957, si trova sulla Brodway, a pochi minuti da Washington Square Park, in un quartiere vivace frequentato da universitari e famiglie, e da cui parte la celebre Quinta Avenue merlata di negozi di lusso (vi ricordate Colazione da Tiffany?). Ad oggi, in realtà, il “filo” della Strand è più lungo di 18 miglia: con 2,5 milioni di volumi tra usati, nuovi e rari, e un’ampissima gamma di prodotti e regali letterari, il negozio si sviluppa su ben quattro piani. Abbandonata dal mio Teseo in quest’isola piene di meraviglie, ho rubato un’ora abbondante a tutte le altre attrazioni della Grande Mela per vagabondare tra i corridoi consumati da decenni di bibliofili in pellegrinaggio.

Hold me here, in the place to be

Che la Strand possa trovare posto tra le case lontano da casa lo si percepisce sin da subito: le sue vetrine, che fan da sfondo a quei famosi carrelli degli sconti dove con pochi dollari (dai $3 ai $7) si possono portare a casa edizioni fuori catalogo o classici dimenticati, non solo acchiappano gli sguardi grazie a cover magnetiche e colori brillanti, ma sono anche piene di graffiti. Scritte pop che rimarcano la libreria come luogo unico in tutta la city, un rifugio per la community di lettori, in cui stare perché è tanto, tanto bello. Uno stile pop che si scorge anche in altri piccoli dettagli che sorprendono: i libri al buio dagli incartamenti disegnati a mano; una parete dai dorsi arcobaleno che sorride ai clienti dietro le casse; gadget di ogni tipo: dalla borsa di cui prima, a segnalibri di ogni materiale e forma (tra questi un hotdog e un barattolo di ketchup). Adesivi di popstar (mai mi sarei immaginata di trovare una Beyoncé a cavallo in libreria), tazze e tazzine, portachiavi, penne di ogni flessibilità, quaderni di varie dimensioni e ancora altri astucci dalle frasi molto ironiche e shopper nere Get lost in the stacks, che poi è ciò che ho fatto io. Mi sono “persa tra gli scaffali”, tra le innumerevoli storie della Strand. Le istruzioni sono semplici: scegliete una fila e buttatevi a capofitto tra il legno scuro. Lo scorrere del tempo non è più sotto controllo quando si può spaziare dai romanzi mainstream, alle nicchie come l’occulto, la mitologia, la musica, l’architettura (di cui la Strand vanta un reparto senza eguali in città). Tra libri vintage e nuovi di zecca (un’offerta bifrontale attiva dal 1988) sono sicura che qualcosa per voi c’è. Le scale trasportabili sono a vostra disposizione per prendere quel libro che sta proprio lassù in alto, e i carrelli rossi così tipici delle librerie inondate di libri, vi danno preziosi consigli se sostate lì davanti.  Se salite poi al terzo piano, avrete forse l’occasione di scovare anche alcune rarità nella Rare Book Room: poltroncina in cuoio marrone, tappeti persiani, lampadari a bracci, foto incorniciate in bianco e nero: come dicevo, una casa lontano da casa. Infine, ricordatevi che come ogni buona libreria che si rispetti, i (230) librai sono dei “motori di ricerca umani” di cui molto spesso ci dimentichiamo o che abbiamo paura di disturbare, ma che sono in grado di consigliarci quel libro che non sapevamo di voler leggere.

Oggi la Strand Bookstore è guidata da Nancy Bass Wyden, nipote del fondatore Benjamin. È stata proprio Nancy a portare la libreria nell’era moderna introducendo i gadget e altre forme di sostentamento per affrontare, non da ultima, la pandemia del 2020 che ha azzerato il turismo persino nella città più turistica del mondo. Un’idea che risale al 1990 e che continua tuttora è la vendita di “libri al metro” (Books by the foot) che, leggo sulla planimetria letteraria, si trova al terzo piano insieme alla Rare Book Room e allo spazio eventi: un servizio di fornitura di volumi per set televisivi, teatrali e cinematografici, ordinati letteralmente a misura. Un progetto che risale ben prima della realizzazione della serie tv che pur ha contribuito incisivamente negli ultimi cinque anni al rilancio post-Covid19. Un altro modo alternativo per continuare a resistere è la curatela di biblioteche private per clienti facoltosi che vogliono riempire le loro case-vacanza negli Hamptons con volumi dal colore coordinato. Un’idea snob, sicuramente, ma che contribuisce nel permettere alla libreria di rimanere a galla.

La Grande Mela sta chiamando

Il mio Teseo – non tanto tale – è tornato a prendermi e la mia ora è scaduta. Esco dalla libreria con la mia shopper Get lost in the stacks sulle spalle, un libro al buio e segnalibri per tutti: mi ritrovo in un’altra dimensione, di nuovo circondata dal traffico e puntata verso una “sola direzione”, one way. Mi sorprendo a riflettere: quant’è diverso il rifugio di una libreria dove, stando fermi, si può andare ovunque, in tutte le direzioni? Le luci della città riflettono sulle vetrine, i passanti camminano veloci con pacchi e borse strabordanti, la pista di pattinaggio sotto all’albero del Rockefeller Center sarà già solcata da numerose lame d’acciaio, e mi ritrovo a pensare che in fondo, tra tutte le cose che New York sa offrire forse la più preziosa è questa: un luogo dove le storie sopravvivono, resistono, continuano a essere raccontate.

E se vi dovesse capitare di trovare un quaderno rosso, accettereste la sfida, come ho fatto io?