Un primo grande pregio del recente saggio di Vicente Bosch¹, Santificare il mondo dall’interno. Corso di spiritualità laicale (Rialp, Madrid 2025, pp. 346, € 24,96), è l’impostazione, manifestata con chiarezza dalle prime tre parole del titolo, “santificare il mondo”, che ridanno il genus subiectum, il tema generale su cui verte la trattazione, mentre la parola-chiave del sottotitolo, “spiritualità laicale”, esprime la ratio obiecti, l’angolazione prospettica secondo cui il tema viene esaminato. Infine, l’espressione “dall’interno” specifica la peculiarità del modo in cui i laici cristiani possono santificare il mondo: vivendo in esso e finalizzando a tale fine il loro stesso lavoro.

Chiamata universale alla santità e diversità di vocazioni

Il genus subiectum è tematizzato nel cap. II, dedicato alla Chiesa quale mistero di comunione e alla distinzione tra sacerdozio comune o regale dei fedeli e sacerdozio ministeriale o gerarchico, e nel cap. IX, che esamina i contenuti della chiamata universale alla santità (Lumen gentium) come chiamata alla contemplazione, alla Croce, all’apostolato e le sue conseguenze: il senso vocazionale dell’esistenza cristiana; il valore santificante delle realtà terrene; la validità dei diversi stati in vista di ottenere la santità.

Alla ratio obiecti sono dedicati i restanti capitoli. L’analisi parte dalla considerazione dell’origine e dello sviluppo della nozione di spiritualità, pervenendo a intenderla «come la vita spirituale del cristiano elevato dall’azione dello Spirito Santo» (p. 22), al fine di precisare il concetto di spiritualità laicale. Bosch tratta ampiamente della formazione ed evoluzione del significato del termine “laico”, dal greco laós, dall’antichità all’età contemporanea, evidenziando che tra i secc. VI-IX «si consuma una distinzione tra due gruppi di cristiani: chierici e monaci, da una parte, dediti alle cose di Dio e della Chiesa e, dall’altra, i laici dediti agli affari del mondo» (p. 62). È la causa dello spostamento del significato di “laico” a quello di secolare. «Così facendo, col passare del tempo, si è perso di vista che i laici possono vivere una vita di piena dedizione a Dio, possibilità che adesso appare polarizzata nella vita religiosa e nel clero» (p. 63). L’umanesimo cristiano rinascimentale cerca un riequilibrio tra il teocentrismo medievale e la rivalorizzazione antropologica che afferma la dignità della persona, la bontà delle cose create e la loro autonomia dall’àmbito ecclesiastico, ma prevale lo spirito laicista (illuminismo, liberalismo, socialismo) che mira alla scissione Chiesa-mondo. In realtà, laicismo e secolarismo sono deformazioni della laicità e della secolarità volute da Dio.

Si esamina poi la teologia del laicato elaborata dal Magistero del secolo XX, che trova espressione in particolare nella costituzione dogmatica Lumen gentium e nel decreto Apostolicam actuositatem del Concilio Vaticano II, ma che prosegue nel post-concilio, con riferimento anche alla nozione di “dimensione secolare della Chiesa”, intesa come «la responsabilità che hanno tutti i fedeli – sacerdoti, laici e religiosi – nei riguardi delle realtà temporali, perché la Chiesa non vive in un mondo che le è estraneo, ma in un mondo al quale annuncia e comunica la vita divina» (p. 156). L’esortazione apostolica Christifideles laici di san Giovanni Paolo II dichiara che la secolarità del laico non si sovrappone alla secolarità della Chiesa, ma nasce da essa come modo peculiare di parteciparvi. Se ogni vocazione partecipa della dimensione secolare della Chiesa, tuttavia il modo in cui il laico la vive riceve il nome di “indole” quale carattere che definisce un soggetto.

Unità di vita e santificazione del lavoro

Negli oltre 25 anni trascorsi dalla pubblicazione di Christifideles laici non sono avvenute novità di rilievo nello studio del laicato. […] Tuttavia, in buona parte della letteratura esistente si rileva una tendenza a distinguere – con il probabile rischio di separare e anche di contrapporre – l’attività del laico nella Chiesa e nel mondo, come se fossero due realtà o àmbiti nei quali il laico opera alternativamente (p. 159).

Per evitare un tale dualismo, che implica la frattura della necessaria unità di vita, nella terza parte del libro Bosch individua i lineamenti peculiari della spiritualità laicale. Il laico è un cristiano chiamato all’unione con Dio non malgrado sia immerso nelle attività secolari, ma proprio in e attraverso queste ultime. I 30 anni di vita nascosta di Gesù a Nazareth danno un fondamento cristologico al valore della vita quotidiana. Dato che il mondo è il luogo in cui egli si santifica,

la competenza professionale e la capacità tecnica necessaria per compiere la missione del laico nel mondo occupano un posto centrale nella sua vita spirituale, insieme con l’indispensabile formazione dottrinale e teologica che gli permettano di giudicare cristianamente le realtà che deve affrontare (p. 224).

Così come nessuno dubita del carattere ecclesiale dell’educazione cristiana dei figli data dai genitori, neppure si dovrebbe dubitare dell’ecclesialità del lavoro compiuto da un operaio o da un professionista cristiano che cerca la santità nell’impegno della propria attività, perché la santificazione del mondo […] costituisce uno degli aspetti dell’unica missione della Chiesa. Perché, allora, dotare di ecclesialità esclusivamente la collaborazione dei laici alle funzioni dei ministri ordinati, lasciando nell’ombra il valore ecclesiale dell’attività professionale che cerca la santificazione propria e quella del mondo? (p. 243).

Ecco perché i capp. 13-14 del volume trattano, rispettivamente, dell’evangelizzazione della cultura e della vita sociale e della santificazione del lavoro. Riguardo al secondo tema, oltre alla costituzione Gaudium et spes e all’enciclica Laborem exercens, Bosch si sofferma sulla rilevanza che esso acquisisce in san Josemaría Escrivá, che sin dal 1928 ha predicato la chiamata universale alla santità nella vita ordinaria proprio attraverso il lavoro professionale. La sua “formula ternaria” è: santificare il proprio lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare gli altri con il lavoro.

Se qualcuno ci domandasse «quali sono le condizioni per poter santificare il lavoro?», si dovrebbero indicare queste quattro: 1) essere in grazia di Dio (nello stato di peccato non si può santificare nulla); 2) che il lavoro sia onesto e non sia contrario alla fede e alla morale; 3) che abbia un motivo soprannaturale, l’intenzione di santificare questa attività per la gloria di Dio; 4) che dimostri perfezione umana e competenza professionale. […] La capacità che ha il lavoro santificato di perfezionare la persona che lo compie si estende anche a coloro che sono testimoni di questa attività e a coloro che traggono beneficio dal prodotto di questo lavoro. Ogni lavoro comporta una rete di relazioni personali – colleghi, clienti, rappresentanti, utenti, consumatori, ecc. – che costituiscono i potenziali ricettori del messaggio cristiano presente in un lavoro ben fatto per amore di Dio e degli altri, e canale diretto per l’apostolato personale (pp. 291-293).

Infine, nell’ultimo capitolo è studiata la santificazione del laico nell’àmbito familiare, includendo il celibato apostolico. «Nulla impedisce che anche i laici ricevano il dono del celibato apostolico, santificandosi in mezzo al mondo ed edificando la Chiesa senza perdere la loro condizione secolare», ossia senza consacrarsi a Dio pubblicamente.

Un altro apprezzabile pregio del saggio di Bosch è proprio il saper valorizzare la ricchezza dei modi possibili di partecipare alla missione della Chiesa, manifestazione della comunione ecclesiale nella diversità, senza la quale andrebbe persa «la bellezza dell’unità sinfonica delle diverse voci che risuonano nella Chiesa» (p. 315).