Come sapete, all’indomani di quei tragici fatti che sono l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin e la strage di civili israeliani compiuta da Hamas, abbiamo appuntato due “memento” che mensilmente, ossessivamente, presidiano i margini di questa pagina, perché quei fatti rappresentano due snodi nel riassetto geopolitico che, al di là del futuro incerto, al presente sta tragicamente lasciando sul campo un numero impronunciabile di vittime innocenti.

Non sono gli unici, e forse nemmeno i più efferati, i fatti su cui i nostri “memento” gettano mensilmente l’allarme, ma da lì tutto nasce, o quantomeno lì già tutto covava, come tragicamente dimostra la strategia dell’annientamento perseguita da Benjamin Netanyahu con l’operazione “Spade di ferro” lanciata nella striscia di Gaza ai danni della popolazione palestinese, perfettamente speculare a quella seguita da Hamas il 7 ottobre: impossibile non vedere che in entrambi i casi la strage di civili (ma, per quel che valgono i numeri, Israele supera Hamas di decine di migliaia di vittime) non è affatto un “danno collaterale” del conflitto, ma un’arma di guerra se non addirittura il suo obiettivo: un solo popolo, un solo Stato.

Pare andare proprio in questa direzione il raid aereo condotto da Israele lo scorso 9 settembre contro la leadership di Hamas a Doha, in Qatar: secondo le ricostruzioni della stampa internazionale, l’operazione – denominata “Fire Summit” o “Giorno del giudizio” – ha colpito una villetta nel quartiere residenziale di Qatara dove si trovavano riuniti alti esponenti di Hamas per discutere una proposta di cessate il fuoco avanzata dagli Stati Uniti. Il che significa: non vogliamo nessun accordo.

È la logica della polarizzazione che sembra infettare come un virus i rapporti tra le persone, le istituzioni, gli Stati, e forse siamo alla vigilia di una “pandemia” i cui effetti nessuno è in grado di prevedere, ma certo saranno gravi. Lo conferma quanto è avvenuto il 9-10 settembre, quando almeno 23 droni militari russi hanno attraversato il confine polacco, provenienti in gran parte dalla Bielorussia, durante un massiccio attacco russo contro l’Ucraina occidentale. I droni sono stati rilevati in diverse località, tra cui Wyryki-Kolonia, dove uno ha colpito un edificio residenziale; nessuna vittima, ma quattro aeroporti sono stati temporaneamente chiusi e la Polonia ha invocato l’Articolo 4 del Trattato Nato, che prevede consultazioni immediate tra gli alleati in caso di minaccia alla sicurezza. Il premier Donald Tusk ha parlato di «provocazione su larga scala» e di «minaccia reale alla sicurezza dei cittadini»; Ursula von der Leyen e Mark Rutte hanno condannato l’atto come «sconsiderato e pericoloso». Putin, com’è suo stile, nega tutto. Si tratta della violazione più grave dello spazio aereo europeo dall’inizio della guerra in Ucraina nel 2022, violazione che ha indotto il nostro prudentissimo presidente Sergio Mattarella a evocare l’estate del 1914, avvertendo che «si può scivolare verso il baratro».

Il mese di settembre, del resto, è iniziato con il 25° vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai che ha riunito a Tianjin, in Cina, oltre 20 capi di Stato presieduti da Xi Jinping; tra questi gli aspiranti esponenti del nuovo ordine mondiale Vladimir Putin, Narendra Modi, Recep Tayyip Erdoğan e altri leader eurasiatici che il 3 settembre si sono poi trasferiti (Kim Jong-un e Putin in testa, non però il primo ministro indiano, leader del Bharatiya Janata Party, un partito nazionalista di destra, che vuole evidentemente tenere la porta aperta all’Occidente) in Piazza Tienanmen, alla grande parata militare per la commemorazione dell’80° anniversario della vittoria sul Giappone nella Seconda guerra mondiale, dove Xi Jinping ha mostrato per la prima volta la triade nucleare cinese e nuovi missili ipersonici.

Memento: papa Leone XIV ha detto e ridetto: «La pace nasce dal dialogo, non dalla vittoria».