Dal 24 luglio al 30 agosto a Città di Castello (Perugia) presso la Pinacoteca comunale viene esposta Commedia umana. Un dialogo a due voci, con opere di Armando Fettolini e Lorenzo Pacini. Nell’intervista Simona Bartolena, curatrice della mostra insieme a Francesca Barberotti, racconta questo confronto tra due artisti dai linguaggi opposti ma complementari sul tema centrale dell’umanità.

Armando Fettolini (sinistra) e Lorenzo Pacini (destra)
Commedia umana è un rimando ovviamente a Balzac e, quindi, alla sua classificazione dei tipi umani: quali sono, se ci sono, i tipi umani che vengono rappresentati?
Il riferimento è chiaramente a Balzac, però è aperto. Più che dei tipi umani si parla di vizi umani, cioè di quelle pochezze di cui l’uomo è capace e che quasi offendono la sua intelligenza. Ma senza voler criticare, perché entrambi gli artisti sono ben consapevoli che in questa “commedia umana” ci siamo dentro tutti; quindi non è una cosa che puoi imputare agli altri senza guardare te stesso, la considerazione è anche sul fatto che l’uomo sia capace, oltre che di incredibili nefandezze, proprio di sciocchezze, dovute soprattutto a un approccio ingenuo. Tutti quei tranelli in cui l’essere umano cade, che poi sono quelli che scatenano le guerre e riguardano la non comprensione del prossimo, insomma, tutto quello che rende l’uomo “brutto”, molto più di quanto in realtà non dovrebbe essere nella sua natura. Questi sono i temi della mostra.
- L. Pacini, Home. Soldatini su tela (2024)
- A. Fettolini, Randagio. Polimaterico su legno (2006)
Balzac interpretava la Commedia umana come un edificio a tre piani: alla base gli effetti sociali, poi le cause e infine i principi. In questa mostra, che cosa avete voluto mettere in scena?
Noi vediamo messi a nudo i grandi temi in cui l’uomo può scivolare, ma non li vediamo da un unico punto di vista: Pacini ha questo suo modo un po’ illuminista, mi piace dire un po’ alla Goya, cioè di raccontare la stupidità umana con cinismo, con ironia e anche, diciamo, in modo molto tranchant, quasi senza lasciare speranza. Quindi lui va a pungolare anche nella nostra quotidianità. Per cui abbiamo una pistola coperta da un centrino fatto all’uncinetto, cioè come a dire che le armi sono nel nostro quotidiano, è inutile che facciamo finta di niente, no? Piuttosto che un tappetino su cui pulirsi i piedi fatto di soldatini di plastica. Mentre Fettolini ha un approccio più “cristiano” a questo tema, quindi molto più aperto, molto più di comprensione e di analisi di mondi un po’ stereotipati e che lui interpreta da un punto di vista diverso: per esempio ha lavorato molto sulla figura di Giuda, che nell’iconografia classica è il male, ma Fettolini nota anche che Giuda è il male necessario affinché si compia il bene. Quindi in lui c’è spesso un invito a guardare anche là dove apparentemente c’è qualcosa di brutto, di sbagliato, di violento, ma guardarlo con occhi diversi. Per Fettolini, quindi, gli animali randagi, soprattutto quelli più aggressivi, sono certo dei cacciatori, ma rispondono a un istinto naturale, mentre spesso l’uomo quando fa violenza non risponde a un istinto naturale, risponde a delle leggi molto più complesse: economia, potere, ecc. Per cui c’è un’indagine sottile sull’animo umano, disposto anche a perdonarlo o a scorgere, in certi aspetti, anche qualcosa di interessante. Nei randagi di Fettolini c’è questa volontà di dire che il randagio è libero, paga a caro prezzo la sua libertà, però è libero. Ed è la scelta di vita che fanno gli uccellini di Pacini, i quali vogliono, scelgono di entrare dentro la gabbia. È un’indagine un po’ a tutto tondo sull’umanità e i tre piani di Balzac sono assolutamente mescolati: sta a ciascuno ritrovare la linea, perché l’invito è a riflettere su alcune tematiche del nostro quotidiano.
Quello che ho notato osservando queste immagini è un grandissimo senso di vuoto, di solitudine.
Sì, solitudine, che non è la solitudine degli artisti stessi, quindi Lorenzo e Armando, ma è la solitudine dell’artista in generale, che per sua natura è portato a riflettere in modo approfondito, doloroso anche.
- L. Pacini, Uomini istrice. Cartapesta e ferro (2024)
- A. Fettolini, Dal mondo degli strani (il volto). Polimaterico su legno (2005)
Si parla di umanità, ma sembra proprio l’uomo il grande assente. Cioè, ci sono uomini ma non ci sono mai i volti.
L’umanità che è in mostra è un’umanità spersonalizzata: sono più umani i cani di Armando che gli esseri umani. Hanno un accento di umanità quasi più gli animali che le sagome, che sono sagome consumate, pungenti come Gli istrici. Il mondo degli strani e Figli di un dio distratto, due cicli di opere di Fettolini, sono stati fatti pensando ai diversi folli e alle teorie eugenetiche che volevano che queste persone nel nazismo venissero sterminate, perché inutili socialmente. E lui è partito da lì per vedere invece l’umanità profonda che sta in queste sagome, che sono consumate, in qualche modo veramente “figli di un dio minore”. C’è quindi questa idea di umanità o profondamente logorata, oppure talmente arrogante, abbagliata dal potere, che è disumana. L’uomo nel vero senso della parola, quello equilibrato, è in effetti il grande assente della mostra.
Le opere di Pacini sono di grande impatto: prende l’oggetto e lo mette in mostra, lo esibisce in maniera così cruda. C’è questa solitudine che è molto forte, per esempio mi viene in mente Prima classe, un’immagine fortissima in cui c’è questa giostra, di cui è rimasta soltanto la struttura e una sola delle poltrone è rivestita, ma è usurata.
Lorenzo ha un talento straordinario che è quello della comunicazione, lui riesce con un oggetto e il titolo a trasformare l’oggetto stesso, dandoci immediatamente un pugno nello stomaco: nel momento in cui si capisce quello che ci sta dicendo, le opere di Lorenzo sono veramente opere efficaci che arrivano fortissime. Mentre le opere di Armando sono più introspettive, più riflessive, più pittura in senso plastico, più arte tradizionale. Invece quelle di Lorenzo a volte sono sconcertanti e anche disarmanti, di grande aggressività e Lorenzo è bravissimo a creare queste opere disturbanti.

L.. Pacini, Prima classe. Ferro, tessuto damascato (2016)
Il disturbo è fondamentale nell’arte, è quello che poi accende la riflessione… Anche, per esempio, i due Uomini istrice che prima citavi, dicono tanto: c’è la relazione, c’è l’uomo, c’è l’identità, la non comunicabilità tra i soggetti, però si vede che cercano un dialogo.
È proprio così, Lorenzo ha un pensiero piuttosto aggressivo, che non si dà pace, lui è proprio un illuminista, senza volontà di scendere a compromessi, cosa che invece in Armando c’è: è più portato alla riflessione, all’avere speranza comunque nell’umanità, e questo rende più morbido il suo messaggio rispetto a quello diretto e durissimo di Lorenzo. Però i temi che hanno percorso sono molto simili, anche se visti da due prospettive e due linguaggi distanti, il che rende la mostra molto completa e profonda.
L’umano è un tema dell’Arte, con cui ogni artista si scontra, in mostra come avete fatto dialogare tra loro le opere?
I due artisti non sono separati ma abbiamo cercato di creare un immediato “botta e risposta”, per cui il randagio di Fettolini e le pecore di Pacini; gli uccelli che volano di Armando e quelli sulla gabbia di Lorenzo; gli uomini istrice da una parte e gli strani dall’altra. C’è sempre un duplice punto di vista. Poi le sale sono divise per temi, quindi il viaggio, il diverso, lo strano, i luoghi comuni, la guerra, insomma le grandi tematiche in un continuo intrecciarsi.

A. Fettolini, Blasti. Listelli di legno, cartone (2012)
Fettolini insiste molto sull’immagine, quasi fosse una simbologia, del randagio e colpisce molto anche l’utilizzo dei materiali: il legno, la carta, il cartone, materiali che non sono duraturi, che si deteriorano, si sgretolano.
Sì, Armando ha sempre usato materia, ma c’è stato un progressivo alleggerimento dei materiali in vent’anni di lavoro: è passato da una materia molto solida, pesante, come il gesso, alla carta, che è quella di quest’ultimo periodo, ed è un materiale molto più etereo, leggero, sicuramente effimero e la transitorietà della vita che passa anche all’interno dell’opera è una cosa che interessa molto ad Armando. Poi lui ha sempre avuto un privilegio per l’anima vagabonda, perché è molto “zingaro” nel pensiero, gli piace vedere, conoscere, indagare, scoprire. E per lui il randagio è un pittore, un artista, uno che non si pone delle gabbie, è anche chi emargina la società, quindi il randagio è anche un po’ la persona diversa che gli altri guardano con sufficienza o con sospetto, l’emarginato. Anche in Lorenzo c’è l’emarginazione, ma è un fatto socio-politico, per Armando invece è più profondamente umano, e quindi per lui il randagio, così come lo strano, fanno parte di quel mondo che vive un’esistenza libera, senza far male a nessuno, anche quando ci sono lupi, o rapaci, nella sua poetica sono sempre comunque animali liberi che rispondono a un’esigenza di sopravvivenza: il randagio non ti attacca se non lo disturbi, il lupo non ti azzanna se non vai ad attaccarlo o disturbi la sua libertà.
Dicevamo, una mostra sull’umano in cui c’è poca umanità, ma molta solitudine anche in senso concreto: un lupo, una persona, mai un branco o un gruppo. E questo dice molto anche della loro visione della società, quindi non del singolo ma della pluralità in cui il singolo vive.
Assolutamente, sì, il tema in realtà è quello, attraverso la solitudine delle opere si evince una serie di tematiche che afferiscono alla società: la società con i suoi limiti e i suoi vizi. Però, ci tengo a dirlo, c’è un finale di mostra che apre a una speranza: nell’ultima stanza è presente una scultura di Lorenzo che è un personaggio decapitato con ha la testa sotto il braccio, è praticamente una figura umana, sembra quasi un astronauta o un Mercurio, per cui la sua testa è coperta da un casco con le ali. E questa testa portata sotto il braccio guarda da un altro punto di vista. Intorno alla scultura ci sono una serie di opere di Armando, opere sul colore blu, che è un altro dei suoi simboli: il blu artisticamente è spirituale, è mare, è cielo. Armando in questi paesaggi ha tenuto quell’idea un po’ prussiana della terra che si fonde col cielo, che si fonde col mare, dei non orizzonti. Questo per lui è l’approdo, la speranza. L’uomo è capace di guardare le cose da un altro punto di vista, e l’arte aiuta perché può accompagnare alla speranza, alla volontà di miglioramento. Per loro poi il pensiero di fondo è uscire dal pensiero di massa, dalle imposizioni della società, delle mode, della banalità, dell’idea di normalità, a cui noi dobbiamo in qualche modo rispondere.



