Neri Pozza ha portato in anteprima al Salone del Libro di Torino Il velo di Lucrezia, il nuovo romanzo storico di Carla Maria Russo, autrice, tra gli altri, de La sposa normanna (Piemme 2005, Neri Pozza 2024) e L’acquaiola (Piemme 2018), presentato anche al Premio Strega. Il velo di Lucrezia racconta la storia di un dipinto, la Madonna col Bambino e due angeli, nota al mondo come Lippina; ma è anche la storia dell’uomo dietro l’artista, il grande Filippo Lippi, della donna che si cela dietro il volto della Vergine, e di una terra, la Toscana, e di un’epoca, il XV secolo, che nutrivano già in sé, pulsante in tutte le arti, scienze e mestieri, il seme di un nuovo mondo, il Rinascimento. Ma soprattutto, quest’opera dipinge uno scorcio dell’universo creativo, con il suo intrinseco legame tra arte e vita, ispirazione e amore, perfezione e ossessione.
Sulla soglia del romanzo troviamo ad accoglierci in copertina un dettaglio della celebre Madonna di Filippo Lippi e, in esergo, una citazione di Abraham Verghese: «È la letteratura! La grande bugia che dice la verità su come va il mondo!». Queste parole sono una preziosa guida ai naviganti che ci suggerisce di ricercare nella finzione del romanzo la verità non tanto, o non solo, del dato storico o della critica d’arte; piuttosto, ci invita a cogliere la verità dei temi universali ed eterni che una storia, come un’opera d’arte, porta con sé, e in cui ritroviamo noi stessi.
Ci sono opere di fronte alle quali non possiamo non emozionarci per la loro bellezza, né esimerci dall’interrogarci sulla loro storia, sulla loro verità. Sono i capolavori. Momenti di grazia per l’artista e per noi che ci troviamo a esserne i destinatari, e che forse, almeno per un momento, riempiti di questa travolgente forza creativa, siamo diventati persone migliori. Magari proprio nella Galleria degli Uffizi, contemplando la Lippina, dove la sacralità del soggetto ritratto lascia spazio alla commozione per l’intimità e la spontaneità di una scena di vita quotidiana, la dolcezza di una mamma con il suo bambino.
Difficile non credere che dietro la tela non si nasconda una storia degna di essere raccontata, che dietro l’artista e la sua Madonna non ci siano Filippo e la sua modella, due vite realmente vissute, che insieme hanno dato vita a un’opera senza tempo.
Il velo di Lucrezia ci racconta tre grandi storie: la storia di un uomo e di una donna, la storia di un amore, e la storia di un capolavoro, intrecciate a tal punto da non poter più esistere l’una senza l’altra.
La storia dietro il genio: Filippo Lippi e la “magia nelle mani”
Incontriamo Filippo nei primi anni del Quattrocento, quando era solo un bambino, un orfanello cresciuto nella Firenze popolare “diladdarno” dalla zia Lapaccia: donna burbera ma dal cuore d’oro, lascia al nipote grandi spazi di libertà, in cui il futuro artista sperimenta. E così scopre di avere quella che lui tra sé e sé chiama la “magia nelle mani”, uno straripante talento per il disegno che sembra possederlo come i demoni a quell’epoca tanto temuti.
Questa libertà gli sarà però sottratta quando la zia, da tempo malata, lo affiderà al convento dei carmelitani. Disancorato e segnato dalla perdita di ogni affetto e dell’indipendenza tanto agognata, crescerà imparando il mestiere di pittore alla bottega del Bicci, e prenderà, suo malgrado, i voti, diventando fra’ Filippo. Voti che non sentirà mai suoi e che non rispetterà, inseguendo in ogni donna sedotta e abbandonata quell’ideale di perfetta bellezza che brama di consegnare all’eternità attraverso la sua arte, insieme al proprio nome.
La sua vita sregolata ci viene raccontata come il prezzo da pagare per il genio, l’altra faccia della medaglia di un sogno, quello della perfezione e del bello, forse irraggiungibile, ma che orienterà la sua ricerca fin dall’apprendistato con Masaccio, maestro e ispiratore di una nuova poetica della pittura; e che percorrerà come una corrente sotterranea confronti e rivalità con i grandi artisti del suo tempo, da Donatello a Brunelleschi, da Masolino a Beato Angelico, nonché la lunga amicizia con l’illuminato mecenate Cosimo de’ Medici. Fino allo scandalo.
La storia dietro lo scandalo: l’amore di Filippo e Lucrezia
Che la bellezza sia nascosta nei luoghi dove meno ci aspetteremmo di trovarla, Filippo lo sapeva bene. Era un’intuizione che aveva avuto fin da bambino, quando studiava la natura per farne scaturire arte.
Eppure la bellezza lo colse con rinnovata meraviglia, quando trovò la perfezione che aveva inseguito per tutta la vita nascosta sotto il velo di Lucrezia, tra le mura di un convento dove era stato inviato come cappellano e artista responsabile della realizzazione di una pala d’altare. Lucrezia aveva una storia per certi versi simile a quella di Filippo, ma estremizzata dalle barriere della condizione femminile dell’epoca: scelta come modella, vide in quell’artista fuori dal comune, che la guardava come se volesse leggerle dentro una verità che nemmeno lei conosceva, una via d’uscita, quella libertà a cui il suo spirito anelava, ma di cui non aveva mai fatto esperienza.
E così assistiamo al famoso rapimento della monaca Lucrezia Buti da parte di fra’ Filippo Lippi, uno scandalo che però la coppia ebbe il coraggio di affrontare in nome non solo del loro amore, ma anche della libertà finalmente conquistata e dell’ispirazione artistica che la bellezza di Lucrezia prometteva. E che infatti alimentò, giorno dopo giorno, fino a trasformarla in qualcosa d’altro, il capolavoro a cui Filippo aveva votato l’intera sua esistenza. E, forse, addirittura in qualcun altro, una entità nuova, la “donna del dipinto”.
La storia dietro il capolavoro: l’etica della bellezza
Nacque un figlio e, negli stessi anni, anche quello che per Filippo fu il figlio prediletto: il capolavoro, la Lippina. Un dipinto per cui Filippo iniziò a nutrire un attaccamento quasi ossessivo, morboso, tanto da rischiare di incrinare il rapporto con Lucrezia, la cui bellezza risentiva dello scorrere del tempo, senza che però questo sembrasse rivelare, dopo tanti anni, una verità nascosta, quasi divina, dietro l’umanità della donna. Non così la creatura del dipinto, che faceva convergere in sé, come un punto di fuga, tutte le aspirazioni e le visioni dell’artista.
Un’opera senza committente e senza pubblico, celata agli occhi del mondo e del piccolo universo di affetti di Filippo, compresa la sua musa. Lasciarla andare avrebbe significato raggiungere il sogno, la vetta, ed essere destinato a nient’altro che a una lenta, inesorabile discesa.
Solo l’amicizia di Cosimo, e una promessa, poterono spezzare questa catena: il mecenate desiderava essere il primo a vedere il capolavoro del suo protetto, e la sua malattia non poteva più aspettare. Così Filippo Lippi consegnò sé stesso, la sua amata e la sua arte all’eternità.
Nessuno saprà mai come si svolsero realmente queste vicende e quali sentimenti albergassero nei cuori dei loro protagonisti, ma proprio tramite il velo della finzione Carla Maria Russo ci racconta una storia in potenza universale, di come anche da uno scandalo, da due vite irrisolte e incatenate da un amore proibito, possa nascere qualcosa di bello, e quindi, di buono:
Perché è questo, in fondo, il senso ultimo, l’utilità pratica di un capolavoro: un dono all’essere umano di ogni epoca, perché contemplare la bellezza fa bene al cuore. Nutre i buoni sentimenti che in esso albergano. E alimentandoli, li moltiplica.
