Marialuisa Lucia Sergio è professoressa associata di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi Roma Tre, dove insegna anche Storia dell’Europa e delle istituzioni comunitarie. Specialista della storia politica e religiosa dell’Europa contemporanea, ha insegnato come visiting professor a Lovanio, Lione e Parigi. È membro del Comitato scientifico della Fondazione Alcide De Gasperi di Roma, della Fondazione Achille Grandi, del Bollettino dell’Archivio per la Storia del Movimento Sociale Cattolico in Italia e del Comitato direttivo dello CSEI-Centro Studi Europei Internazionali. Presidente della Commissione storica nel processo diocesano di beatificazione di De Gasperi, ha pubblicato sullo statista le monografie scientifiche: Diario di Alcide De Gasperi 1930-1943 (il Mulino 2018) e De Gasperi e la «questione socialista». L’anticomunismo democratico e l’alternativa riformista (Rubbettino 2004). Fra le sue ultime pubblicazioni, i capitoli sulla Chiesa italiana e la teologia pre e post-conciliare nelle opere Das Zweite Vatikanische Konzil – Ereignis und Auftrag [Il Concilio vaticano II – Evento storico e mandato ecclesiale], vol. 6 (Verlag Herder GmbH 2025) e Produire et publier de la théologie dans le monde catholique. Des Restaurations à Vatican II [Produrre e pubblicare teologia nel mondo cattolico. Dalle Restaurazioni al Concilio vaticano II] (Brepols 2025).

Alcide De Gasperi (1881-1954) in compagnia della figlia primogenita Maria Romana (1923-2022). La fotografia è stata scattata nel 1948 in Val di Sella
Oggi è universalmente riconosciuto che il senso di giustizia personale, evangelico “tratta il prossimo tuo come te stesso”, è il principio vitale dell’Italia e del mondo, nonché la premessa indispensabile di quel solidarismo sociale che deve ispirare popoli e governi e che noi contrapponiamo ai miti di razza, di classe o di partito del totalitarismo statale. Solo a queste condizioni di fraternità vos in libertatem vocati estis dice san Paolo (Gal 5, 13)1.
Queste parole fanno parte del cosiddetto “testamento politico” di De Gasperi, per il quale il comandamento evangelico “amerai il prossimo tuo come te stesso” non è un semplice principio astratto ma deve tradursi in scelte personali e decisioni collettive concrete, unica risposta efficace ai messaggi di odio, alle divisioni sociali e alle derive razziste dei regimi totalitari, oltre che un rimedio alle fragilità di una democrazia puramente formale, incapace di rispondere alle necessità delle fasce più deboli della società.
Tale richiamo al primato della giustizia evangelica e della solidarietà sociale appare tanto più significativo alla luce della recente conclusione dell’inchiesta diocesana del processo di beatificazione dello statista, un passo fondamentale nel cammino canonico che riconosce la coerenza tra la vita pubblica del Servo di Dio e i valori cristiani che guidarono il suo agire.
Ispirandosi, durante tutta la sua vita, al Discorso della Montagna, che invita a essere il «sale della terra», il Servo di Dio Alcide De Gasperi dimostra come sia possibile riscoprire le radici cristiane della convivenza civile, in un percorso di fede che lo ha visto discepolo, testimone e maestro.
Cresciuto in un ambiente di modeste condizioni economiche ma intriso di valori cristiani, De Gasperi sviluppa una profonda spiritualità grazie agli insegnamenti familiari, in particolare della madre, del padre e del fratello Mario seminarista. In questo senso, la corrispondenza familiare inedita, utilizzata nell’inchiesta diocesana, consente di ricostruire l’atmosfera domestica che ha plasmato la sua crescita umana e intellettuale. Nonostante le difficoltà materiali e la dura lotta per proseguire gli studi, accompagnata da momenti di scoraggiamento, il continuo dialogo con il fratello rappresenta un insostituibile sostegno morale, che lo aiuta a trovare la forza di perseverare, fondata su un autentico rapporto di fiducia nel Signore: «Dio gioca nel mondo. Egli si sceglie un debole del mondo per confondere i forti. […] Dio è buono, caro fratello, infinitamente buono»2.
Una fede salda, anni fragili
Nell’epoca segnata dall’ascesa dei nazionalismi, De Gasperi osserva con preoccupazione la crisi dell’ideale europeo di unità fondato su comuni radici cristiane. Nei suoi appunti autografi, redatti a ridosso della Grande Guerra, esprime un netto rifiuto delle «teorie di razza», che egli riconduce all’«imperialismo germanico» e al «parossismo nazionale», eredità dell’Alldeutscher Verband pantedesco3. Nei campi-profughi, devastati da miseria, malattie e disperazione, De Gasperi s’impegna, in qualità di delegato del Comitato di Soccorso, per affrontare le emergenze umanitarie, visitando assiduamente gli sfollati con una compassione operosa, senza alcun tornaconto personale. Ancora una volta, una vasta documentazione inedita testimonia, nel primo dopoguerra, la sua incessante attività a tutela dei più vulnerabili, che spaziava dalla lotta contro la povertà al reinserimento lavorativo dei reduci, dalla difesa del diritto allo studio al sostegno delle famiglie dei caduti.
Nel pieno della repressione fascista, quando viene incarcerato a Regina Coeli con il numero di matricola 9777, De Gasperi affida alle lettere scritte dalla cella 549 una testimonianza toccante della sua fede incrollabile pur di fronte alla prova dell’ingiustizia e della sofferenza. Attraverso di esse, emerge una riflessione profonda sul mistero del male e del dolore innocente, vissuto come occasione di crescita interiore.
La politica come vocazione
L’esperienza del carcere e gli anni di isolamento maturano in lui una concezione del dovere civile che, nel secondo dopoguerra, si concretizza in una stringente coerenza tra visione cristiana e politica. Egli concepisce infatti fede e impegno pubblico come due dimensioni inscindibili, unite da un’idea della missione politica come espressione di fraternità e servizio verso la comunità. Lo conferma egli stesso in una lettera a Chiara Lubich, scritta nell’aprile del 1951:
Se non fossi tenuto a partecipare alla responsabilità di quella parte di storia che la Provvidenza deferisce al libero arbitrio degli uomini, me ne starei appartato e rassegnato, comunque, ai voleri di Dio. Ma per il cristiano che intende la politica come estrinsecazione della sua fede e soprattutto come opera di fraternità sociale e quindi di suprema responsabilità in confronto dei fratelli e del Padre comune, quest’angoscioso travaglio diventa un dovere inesorabile4.
Attraverso un’accurata analisi degli archivi degasperiani e un approfondimento dei suoi scritti e pensieri, è stato possibile ricostruire il complesso scenario storico in cui fu chiamato a operare. Un periodo segnato dall’imposizione delle ideologie totalitarie fondate sulla violenza, dalla divisione dell’Europa in blocchi contrapposti e dalle difficili sfide della ricostruzione postbellica. In questo contesto, De Gasperi incarna il principio dell’unità di vita, inteso come armonia tra la dimensione spirituale e le scelte politiche, che trova la sua radice più autentica nella famiglia. Marito fedele e padre affettuoso, considera la famiglia il primo e fondamentale ambito in cui vivere e trasmettere quei valori che egli trasferiva nel suo mandato istituzionale. Il legame con la moglie Francesca e l’amore per le figlie sono per lui un punto di riferimento costante, una scuola quotidiana di dedizione e sacrificio che rafforzava la sua coerenza interiore.
Monsignor Franco Costa, assistente ecclesiastico della Fuci e legato alla famiglia dello statista trentino tramite Suor Lucia, secondogenita di Alcide, evidenziava come «l’assidua pratica cristiana non fosse mai attenuata dalle cure del governo», ma che anzi venisse alimentata da un «senso vivo della preghiera» e dall’abitudine quotidiana della «meditazione delle verità cristiane», con cui De Gasperi iniziava la giornata. Egli trovava ispirazione «nel libro sacro e nei maggiori autori cristiani», selezionati con «il sicuro giudizio di un’anima grande»5. Suor Lucia racconta come egli si affidasse ai piani della Provvidenza, anche nei momenti più critici della sua missione ad gentes pro Ecclesia et mundi.
Dotato di un autentico spirito di riconciliazione, De Gasperi era capace di perdonare: pur conoscendo i nomi di coloro che lo perseguitarono durante il regime fascista, una volta al potere nel secondo dopoguerra, scelse di non cercare vendetta, ma di favorire la pacificazione.
Enrico Medi, giovane esponente della Democrazia Cristiana, membro dell’Assemblea Costituente nel 1946 e deputato nella prima legislatura, testimoniava:
Non ricordo di aver visto mai in De Gasperi quei gesti di autosufficienza, così comuni in tutti coloro che dicono di sapere tutto, che rispondono con frasi fatte demolitrici, con un sorrisetto spumeggiante di sé stessi. Rifuggendo da ogni demagogia, che è il tradimento dell’amore, sotto il taglio deciso della sua volontà, si vedeva riflettere il lampo di un sorriso, in umiltà di amore, come il sole sulle rocce delle sue Dolomiti. La stima per ciascuno, stima personale, diretta, era fondata sulla fede: ognuno è un redento. Qualunque cosa faccia, la Grazia può renderlo Santo in un istante. Egli non condannava mai, non offendeva. Anche nella polemica più forte, sapeva mantenere l’attacco nella grande via maestra della carità6.
1 A. De Gasperi, Testamento politico, in Scritti e discorsi politici, vol. III, il Mulino, Bologna 2008, p. 2836.
2 Carte private della famiglia De Gasperi, Lettera di Luigi Mario De Gasperi al fratello Alcide databile 1905.
3 Archivio Alcide De Gasperi, Istituto Universitario Europeo, Fondo Trentino, F. II., Stf. 2, Appunti di De Gasperi sul tema Popoli dell’Austria e la lotta linguistica nazionale, otto fogli manoscritti databili prima della Grande guerra, probabilmente intorno al 1913.
4 Archivio Alcide De Gasperi, Istituto Universitario Europeo, Lettera a Chiara Lubich, 21 aprile 1951, b. 621.
5 Testimonianza di Mons. Franco Costa, La spiritualità di De Gasperi, in N. Guiso (a cura di), Dovuto a De Gasperi. Testimonianze e documenti nel 50° anniversario della morte, Ares, Milano 2004, p. 246.
6 Testimonianza citata in Maria Romana Catti De Gasperi, Mio caro padre, Morcelliana, Brescia, 1979, p. 164.