Nel panorama teatrale italiano contemporaneo, alcuni territori raccontano il proprio paesaggio interiore con particolare intensità. La Puglia è una regione che è corpo e radice, suono e silenzio, bellezza e devastazione. Due recenti spettacoli – X di Xylella del Teatro Koreja e Cordes di Sara Montanaro – portano in scena, con linguaggi differenti, ma sensibilità affini, la necessità di confrontarsi con una terra ferita, ancora viva, ancora madre.

Non c’è folclore. Non c’è consolazione. C’è il teatro, quello che guarda in faccia le crepe. Che restituisce voce ai paesaggi devastati, che riconsegna dignità alle identità sospese. Entrambe le opere sono state presentate nell’ambito di rassegne attente a intercettare la nuova drammaturgia pugliese: X di Xylella è andato in scena al Teatro Grassi di Cisternino durante Puglia Showcase 2025, mentre Cordes è stato presentato a San Vito dei Normanni nell’ambito di FORI Festival, focus under 35 sulla scena performativa contemporanea.

X di Xylella – Koreja tra ulivi e donne

Sotto la regia di Gabriele Vacis, con la drammaturgia scritta insieme a Letizia Russo e Lucia Raffaella Mariani, X di Xylella – Bibbia e Alberi Sacri è un’opera teatrale che trascende il concetto di spettacolo per diventare rito collettivo. Siamo nel Salento, tra ulivi millenari devastati dal batterio Xylella fastidiosa. Ma in scena non c’è solo una cronaca agricola: c’è un lamento arcaico, un’invocazione alla terra madre.

A interpretarlo sono sei brave attrici: Chiara Dello Iacovo, Luna Maggio, Emanuela Pisicchio, Kyara Russo, Maria Tucci, Andjelka Vulic. Sei presenze sceniche che non recitano, ma abitano il dolore, la memoria, la resistenza. I loro corpi non costruiscono personaggi: diventano sacerdotesse, vestali, testimoni. Provengono da luoghi diversi – Serbia, Sud Tirolo, Francia – ma il loro punto d’approdo è comune: il Salento, la sua linfa, la sua memoria.

In scena, tra veli, zanzariere, trasparenze create da Roberto Tarasco, si compone una coreografia lenta, stratificata. I corpi si vedono a tratti, scompaiono, riappaiono. Le attrici si muovono come in un tempo altro, impastando mito e realtà, sacro e rurale. I costumi di Lilian Indraccolo richiamano una classicità greca rielaborata, impolverata di terra e vento. Nulla è decorativo. Ogni elemento è funzione, evocazione, memoria.

L’ulivo di teli sospesi sulla scena di “X di Xylella – Bibbia e Alberi Sacri”. Foto di Eduardo de Matteis

I canti sono a cappella, curati da Enrica Rebaudo: voci grecaniche, pizziche, lamentazioni in forma corale. È qui che lo spettacolo trova la sua forza più autentica: nella voce che guarisce, nel canto come gesto liturgico. Non ci sono strumenti, ma ci sono ritmi che salgono dal ventre. La Xylella si fa metafora della desertificazione emotiva, dell’erosione culturale, della solitudine dei corpi. Ma la risposta non è la disperazione: è la resistenza, al femminile.

Nel finale, i teli sospesi diventano un albero. Un ulivo ricostruito, simbolico, splendente. Non è una trovata scenica: è un gesto potente, politico e spirituale. Il Salento, ci dice il teatro, può ancora rinascere. La linfa può ancora scorrere.

X di Xylella non è uno spettacolo narrativo. È un’opera atmosferica, sensoriale, dove la parola sacra si fonde con la materia viva. Ha la potenza dell’oracolo e la delicatezza di una nenia infantile. È un’esperienza emotiva che lascia il pubblico in uno stato di silenziosa commozione. Gli applausi – lunghi, partecipati – sono anche una forma di ringraziamento.

Cordes – La danza del nodo

Cordes è un assolo. Una performance sospesa – letteralmente – tra terra e cielo. La protagonista è Sara Montanaro, artista pugliese che unisce la performing art al circo contemporaneo, la coreografia alla scultura del gesto. In scena, un grande lampadario di corde pende dall’alto. È struttura, rifugio, trappola, paesaggio.

Montanaro si muove in uno spazio verticale, tra ascese e discese, in un dialogo continuo con la gravità. Le corde non sono mai semplici attrezzi scenici. Sono filamenti di memoria, vene tese, archeologia relazionale. Ogni nodo è una scelta. Ogni oscillazione, una possibilità.

Il riferimento al tarantismo è sottile ma presente. Non c’è la danza isterica, non c’è il tamburello sfrenato. Ma c’è un morso invisibile che guida il corpo. La necessità del movimento come atto di guarigione. Il corpo cerca una via. Non esplode. Fluisce. La crisi non è spettacolo: è trasformazione.

Montanaro lavora per sottrazione. Nessuna acrobazia fine a se stessa, nessun virtuosismo gratuito. Ogni gesto ha un peso, ogni pausa ha uno spazio. La luce è tenue, accompagna senza invadere. Anche le ombre fanno parte della drammaturgia: disegnano sulle corde una mappa emotiva, un atlante interiore.

Cordes è un lavoro silenzioso, ma potente. Il corpo si racconta senza bisogno di parola. Le corde diventano metafora di legami familiari, affettivi, sociali. Ma anche della città di Taranto, la città madre ferita, sospesa tra pesca e industria. Montanaro non la nomina, ma la evoca. Le corde sono anche cavi d’acciaio, residui industriali, frammenti di una storia collettiva ancora da ricucire.

Il risultato è una danza che non consola, ma interroga. Che cerca nella sospensione un nuovo equilibrio. Che accetta il nodo, ma lo trasforma.

Due voci, un’unica radice

I due spettacoli, pur così diversi nella forma e nella struttura, sono profondamente connessi. X di Xylella è un’azione corale, liturgica, epica. Cordes è un lavoro solista, intimo, calibrato. Ma entrambi nascono dallo stesso bisogno: restituire voce a una terra.

La Puglia che emerge da questi lavori non è folklore da esportazione. È una terra che sa ascoltare le proprie cicatrici. Che sa trasformare la perdita in gesto creativo. Che sa trasformare l’aridità in teatro.

C’è una dimensione rituale che accomuna le due opere. In X di Xylella il rito è collettivo, femminile, comunitario. In Cordes, il rito è interiore, solitario, ma non meno politico. Entrambi gli spettacoli rifiutano la retorica. Non denunciano. Non urlano. Ma scuotono. E ci chiedono di stare dentro la ferita, senza voltare lo sguardo.

Anche sul piano formale, le scelte sono nette: pochi oggetti, niente effetti speciali, niente sovraccarico visivo. Solo corpi, luce, voce, materia. Una grammatica essenziale, ma mai povera. Al contrario: densa di senso, stratificata, profonda.

Teatro come eco della terra

Il teatro pugliese che si affaccia sulla scena nazionale, soprattutto attraverso vetrine come Puglia Showcase o FORI Festival, sta dimostrando una maturità rara. È un teatro che non teme la complessità. Che lavora sulla memoria, ma senza nostalgia. Che sperimenta nuovi linguaggi, ma resta radicato.

Radicato è infatti la parola chiave. X di Xylella affonda le sue radici nella terra rossa del Salento. Cordes si ancora a una città sospesa tra bellezza e dolore. Entrambi gli spettacoli parlano di ciò che resta dopo il trauma. E di come, da quella ferita, si possa ancora creare.

Forse, più che di rinascita, si dovrebbe parlare di trasformazione. Quella che avviene quando la linfa ricomincia a scorrere. Quando il corpo si riannoda. Quando il canto ritorna. E allora il teatro, in Puglia, non è solo rappresentazione. È atto di presenza. Di resistenza. Di cura.